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03/03/2006
Istanbul Cafè
Squinzano (Le)
Kawabata Makoto
Venerdì 3 e Sabato 4 marzo doppio appuntamento all'Istanbul Café di
Squinzano (Le) con Kawabata Makoto e i due dj del DEATH DISCO di Londra:
Calamity Jane and Dr.Kiko.
Venerdì l'Istanbul, in collaborazione con Coolclub, ospita il concerto
del polistrumentista giapponese Kawabata Makoto, il leader e chitarrista
del bizzarro collettivo psichedelico Acid Mothers Temple, un ensemble
decisamente atipico stanziato in quel del Giappone che ha all'attivo
alcuni dei più affascinanti collages acidi reperibili nel panorama
contemporaneo.
Una verve che ha il proprio leitmotiv nella pratica psicoattiva, ca va
sans dir, ma che sarebbe estremamente riduttivo relegare all'ambito
sterile della semplice drug-inspired music: piuttosto, sono rimarchevoli
i richiami - talvolta espliciti, talvolta lessicalmente celati - alle
tradizioni mistico-religiose orientali ed a una forma che mi sento di
definire senza dubbio sciamanica se per questo intendiamo
un'irrefrenabile spinta assolutista che invade prepotentemente la
creatività, l'alterazione della coscienza, la ricerca del sacro e della
propria interiorità. Non solo: Makoto era pienamente operativo sul
finire degli anni settanta, con il progetto Ankoku Kakumei Kyodotai. Si
trattava di esperimenti con i sintetizzatori, di primordiali drones
ottenuti con il lavoro sulle frequenze e sull'uso funzionale della
reiterazione di frasi e cicli sonori. Questo "Jellyfish Rising" è
certamente più figlio di quell'esperienza che dei trascorsi a nome Acid
Mothers Temple, e con quello condivide l'approccio all'improvvisazione
ed alla struttura delle composizioni. Il disco è diviso in due lunghe
tracce il cui unico elemento costituente è la chitarra di Makoto,
adeguatamente supportata da riverbero e delay: quest'ultimo in
particolare è il vero e proprio strumento cardine con cui il chitarrista
elabora le proprie stratificazioni successive, accavallando progressioni
armoniche pastorali e lisergiche. Sono variazioni minime quelle che
costruiscono nei minuti "Astral Aurelia Aurita Lamarck" e "Meditation of
Pelagia Panopyra Perea", arpeggi minimali e densi cui il delay permette
una polifonia che sembra scivolare come acqua tra le mani. In sostanza,
l'album è da vivere come un trip: in questo il pregio ed il difetto
principale di "Jellyfish Rising". Un pregio, perché l'ascolto può ben
diventare una spirale continua e fortemente lisergica dai cui
avvolgimenti è difficile districarsi, rimanendo ipnotizzati dalle
minime, innumerevoli micro-variazioni delle colate di chitarra di
Makoto. Un difetto, perché l'album rimane fruibile nella sua interezza
soltanto dal suo stesso compositore, di cui è impossibile rivivere il
momento creativo e, perché no, il viaggio che ne costituisce
l'ispirazione portante. Una questione di sintonia tra l'autore e
l'ascoltatore, ed in più un lavoro che risente inevitabilmente dei
momenti, delle situazioni d'ascolto, della predisposizione
all'esperienza. Ma costruito con il talento e l'esperienza di un
musicista ispirato e genuinamente originale.
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