[Lecce-sf] Fw: JAMES BOND A SAMARRA

Borrar esta mensaxe

Responder a esta mensaxe
Autor: Rosario Gallipoli
Data:  
Para: forumlecce
Asunto: [Lecce-sf] Fw: JAMES BOND A SAMARRA
IRAQ LIBERO - COMITATI PER LA RESISTENZA DEL POPOLO IRACHENO



Bollettino del 25 febbraio 2006



http://www.iraqiresistance.info




Questo bollettino contiene:

1. JAMES BOND A SAMARRA - Gli Usa vogliono la guerra civile

2. HAJ ALI A RAI NEWS 24: MERCENARI ITALIANI AD ABU GHRAIB

3. IL 18 MARZO A ROMA PARLERA' LA RESISTENZA IRACHENA - Uniamo le voci del Movimento e della Resistenza nella lotta di liberazione dalla guerra e dall'oppressione imperialista

4. "KAMIKAZE CONTRO I MARINES, NON E' TERRORISMO" - Le motivazioni della sentenza di Milano

-------------------------------------------------------------------



JAMES BOND A SAMARRA

Gli Usa vogliono la guerra civile



"Hanno buttato giù la moschea d'oro di Samarra, come in un film di James Bond". Si apre così, con questa frasetta involontariamente rivelatrice, l'articolo del Corriere della Sera sull'attentato di mercoledì scorso.



Tre giorni fa un'esplosione di enorme violenza ha distrutto la cupola della moschea di Samarra dove si trovano i mausolei degli imam Hadi ed Askari, uno dei più importanti luoghi sacri degli sciiti, in una città che è tra le capitali della Resistenza all'occupazione americana.

Le modalità di questo attentato sono alquanto insolite. Non lo diciamo noi, lo dicono i fatti.

E' la prima volta che un simbolo religioso di questa importanza viene colpito in quanto tale. L'attentato non ha fatto vittime, perché questo non era il suo obiettivo. In questo modo la provocazione è stata ancora più grande ed ha generato violenze in tutto il paese, disegnando quel quadro di una possibile guerra civile che gli americani amano tratteggiare da tempo.



Non sempre il "cui prodest" facilita le analisi, ma in questo caso pensiamo che si debba partire da qui. L'attentato giova, eccome, alla strategia americana, messa in difficoltà oltre che dalla forza della guerriglia dallo stesso esito delle elezioni del 15 dicembre. Gli Stati Uniti, non essendo riusciti a "normalizzare" l'Iraq come nei loro piani, preferiscono il caos nel timore che perfino il futuro governo di Bagdad possa sfuggirgli di mano.

Mentre la stampa occidentale mette l'accento sullo scontro interreligioso, altri eventi ci dicono chiaramente quali altre forze stiano agendo in questi giorni. Giovedì scorso, 50 persone di ritorno da una manifestazione unitaria sunnita-sciita contro la distruzione della moschea di Samarra, ma anche contro il tentativo di Usa e Israele di spingere l'Iraq verso la guerra civile, sono state fermate ad un check point, falso o vero della polizia non si sa, e massacrate sul posto.



L'attuale strategia americana, pur essendo figlia di una evidente difficoltà, non deve essere sottovalutata. Come non deve essere sottovalutata l'iniziativa sionista tendente ad impedire in tutti i modi la rinascita di un Iraq unito ed indipendente.

Le forze della Resistenza e dell'opposizione agli occupanti sono chiamate ad una prova difficile, quella di riuscire a respingere la trappola mortale dello scontro interreligioso tra sciiti e sunniti. Fortunatamente vi sono forze, in entrambi questi campi, che mettono al centro la lotta antimperialista, la difesa degli interessi nazionali, la priorità della cacciata degli occupanti.

Se in Iraq si svolge una partita decisiva per il futuro della lotta di liberazione, in occidente è necessario denunciare con forza la matrice imperialista della provocazione di Samarra, una provocazione che si inserisce appieno nella logica dello "Scontro di civiltà" continuamente alimentata da Washington e ripresa in Italia da importanti cariche dello Stato come il presidente del Senato Marcello Pera con il suo "Appello per l'Occidente".



Contro le criminali provocazioni degli imperialisti americani e sionisti



Con la Resistenza, per la liberazione dell'Iraq unito ed antimperialista




*************************



HAJ ALI A RAI NEWS 24:

MERCENARI ITALIANI AD ABU GHRAIB



Un pò di memoria

Ali Shalal al Kaisi, più noto come Haj Ali, è l'uomo incappucciato simbolo dei torturati di Abu Ghraib.

Affinché potesse venire in Italia ed in Europa per parlare della sua vicenda e delle terribili condizioni dei prigionieri nelle carceri americane in Iraq, ci siamo battuti in tutti i modi, anche con lo sciopero della fame che 8 nostri compagni hanno fatto per 15 giorni davanti alla Farnesina nel settembre scorso.

Come noto, il governo italiano gli negò il visto con assurde motivazioni burocratiche. Un mese dopo anche l'Austria gli impedì di arrivare in Europa. Un'Europa ormai senza principi, senza dignità, subalterna agli Usa arrivava così ad imbavagliare un torturato pur di prostrarsi ai voleri di Washington.

Ma se gli italiani hanno potuto ascoltare Haj Ali solo con un'intervista realizzata ad Amman, dove vive attualmente, non lo si deve solo allo smisurato servilismo del governo Berlusconi, lo si deve anche alla sordità del centrosinistra che ha accuratamente evitato di prendere posizione su questo scandalo, su questa incredibile violazione dei più elementari diritti umani.



La novità

La novità di questa intervista è la denuncia del ruolo di torturatori svolto nel carcere di Abu Ghraib da "contractors", cioè mercenari italiani assoldati da ditte americane.

La prima risposta del governo italiano a questa accusa è stata quanto mai debole: "Non risulta la presenza di nostri connazionali in quella prigione". Ancora peggiore la successiva dichiarazione di Berlusconi: "Il governo non è al corrente di nulla. Se poi c'è qualche mercenario non è un problema che ci riguarda". Ma come, non erano i mercenari, pardon "contractors", eroi che sanno morire (e torturare?) da "italiani"? Personaggi ai quali intitolare vie e corsi di paracadutismo?

C'è poco da fare, è la solita ipocrisia italiana, largamente bipartisan, per cui le truppe sono a Nassyria in "missione di pace", ma guai a parlare della strage (più esattamente delle stragi) dei ponti.

Meglio allora ascoltare cosa dice Haj Ali (intervista a Radio Popolare che chiede spiegazioni sulle affermazione fatte a Rai News 24).

"Quando hai sentito parlare di interrogatori fatti da italiani?" chiede l'intervistatore. Ed Haj Ali risponde: "L'ho sentito da persone di fiducia delle quali ho la certezza della loro serietà. In ogni caso le torture sono avvenute anche da parte degli italiani. Ex poliziotti e militari in pensione che hanno provveduto alle operazioni di interrogatorio e tortura. Loro strappavano confessioni ai detenuti per poi rivenderle agli americani. C'era una società olandese, il cui proprietario è stato anche denunciato dalla nostra associazione, che si chiama Kaisi Group che ha provveduto alla raccolta e alla gestione del personale di Abu Ghraib in merito a quello che era il servizio di mensa e in merito a quello che riguarda la tortura".

Non sarà anche per queste ragioni che l'Italia e l'Europa, molto più coinvolte di quel che appare nella guerra americana, hanno negato il visto al torturato Haj Ali?



Haj Ali conclude l'intervista facendo appello al popolo italiano perché impedisca il coinvolgimento del paese nella repressione degli iracheni.

A questo proposito ci sembra utile ripubblicare la lettera che Haj Ali ci inviò nel novembre scorso (dopo la negazione del visto anche da parte dell'Austria) affinché la diffondessimo.



LETTERA DI HAJ ALI



Ai popoli dell'Italia e dell'Austria

Dalle ferite della terra tra i due fiumi,

la nazione che chiama a lottare per la dignità e la libertà

delle vittime irachene - donne, bambini, anziani e giovani.



Avrei voluto ricevere un visto per entrare in Italia e in Austria, ma non me lo hanno concesso. Mi fa male, e si aggiunge al doloro psicologico e fisico che ho sofferto ad Abu Ghraib. A quanto pare, negare la parola a chi difende la propria dignità, la propria casa e il proprio onore fa parte della democrazia che ci vogliono portare.

Il mio cuore è pieno di pace e di amore, anche se mi hanno rifiutato l'opportunità di venire nei vostri paesi, dove avrei potuto esprimere quello che pensavo mentre venivo reso invalido sotto le torture delle forze occupanti americane.

Decine di migliaia di vittime delle prigioni americane parlano alla vostra coscienza. Tutti voi sapete quello che è successo in queste carceri, come in quelle gestite dalle milizie di alcuni dei partiti attualmente al potere. Ma questa è solo una piccola parte degli orrori commessi nel nome dell'umanità e della religione.

Per chi si trova in carcere a dover affrontare diversi tipi di tortura, umiliazione e offesa, essere detenuti si trasforma in una scuola di resistenza, come reazione alla sofferenza.

Nell'occasione della visita del presidente iracheno ai vostri paesi, ci vorremmo rivolgere ai vostri popoli, parlamenti, governi, organizzazioni, partiti e movimenti politici nel nome delle vittime irachene. Talabani dovrebbe immediatamente rilasciare tutti gli arrestati e i detenuti nelle carceri dell'occupazione statunitense e anche nelle carceri di alcune delle milizie che lavorano con il governo. Vi chiediamo di ricordargli la solidarietà che i popoli del mondo hanno offerto al popolo curdo.
La prova che ho perdonato il rifiuto del visto sta nel fatto che io chiedo ai vostri popoli di agire per fermare la tortura e l'occupazione.

Lo spirito della rivoluzione è come un seme che cresce nel cuore e nella mente dell'essere umano, come ci ricorda il grande rivoluzionario Ernesto Che Guevara.

Potete avere tutto l'amore, il rispetto e ancora il rispetto.

Nel nome della libertà e della pace per tutti i popoli del mondo.


Haj Ali, fondatore e coordinatore

Associazione delle vittime delle carceri dell'occupazione americana

registrata come 1h1050 ngo



(novembre 2005)



*************************



IL 18 MARZO A ROMA PARLERA' LA RESISTENZA IRACHENA

Uniamo le voci del Movimento e della Resistenza nella lotta di liberazione dalla guerra e dall'oppressione imperialista



Il 18 marzo, terzo anniversario dell'inizio dell'aggressione all'Iraq, il movimento contro la guerra sarà nuovamente in piazza per manifestare contro l'occupazione dell'Iraq e per il ritiro immediato di tutte le truppe straniere.

Sarà questa l'occasione per accomunare la voce del movimento a quella della Resistenza popolare.



Al termine del corteo di Roma, in piazza Venezia, parlerà Jabbar al Kubaysi, presidente dell'Alleanza Patriottica Irachena, da sempre impegnato nella costruzione di un ampio fronte di liberazione nazionale che unisca le forze dell'opposizione e della Resistenza in un progetto di liberazione ed autodeterminazione del popolo iracheno.

Per questa sua attività, al Kubaysi, dopo essere stato sequestrato dalle forze speciali americane il 3 settembre 2004, è stato detenuto per un anno e tre mesi in un carcere USA a Bagdad fino alla sua scarcerazione avvenuta nel dicembre scorso.



Per la prima volta dunque, dopo l'incredibile negazione del visto ad Haj Ali, simbolo dei torturati di Abu Ghraib, un prigioniero iracheno potrà finalmente parlare in Italia.



I Comitati Iraq Libero sono impegnati per la massima riuscita della manifestazione, particolarmente importante quest'anno nel nostro paese anche per dare vita ad un'opposizione politica e sociale assolutamente necessaria chiunque vada al governo con il voto del 9 aprile.



La sfida che il movimento contro la guerra è chiamato a raccogliere è quella della costruzione di ampio fronte antimperialista internazionale come quello proposto al Forum Sociale di Caracas dal presidente del Venezuela Hugo Chavez.

Le resistenze all'imperialismo crescono, in varie forme, in diverse parti del mondo. In Medio Oriente, anche come riflesso dei risultati raggiunti dalla resistenza irachena, il popolo palestinese ha detto a chiare lettere, con le elezioni del 25 gennaio scorso, di voler continuare a lottare per i propri diritti, rifiutando il negoziato a perdere (la cosiddetta "Road Map") imposto dagli Usa.



Ma l'agenda della guerra infinita scatenata da Bush non conosce soste. Ora è la volta dell'Iran, deferito all'Onu in palese contrasto con le norme del diritto internazionale ed applicando ancora una volta - nella maniera più plateale - la politica dei "due pesi e due misure", dato che (limitandoci al Medio Oriente) l'incredibile arsenale atomico detenuto da Israele non viene messo in discussione da nessuno.

Se negli ultimi tre anni il bellicismo americano è stato frenato ciò è dovuto soltanto alla straordinaria resistenza opposta dal popolo iracheno agli invasori.



Una ragione di più per unire idealmente e politicamente questa lotta con quella di chi si batte contro la guerra, contro chi la fa in nome del proprio "diritto" al dominio planetario, per affermare invece i diritti dei popoli alla libertà ed all'autodeterminazione.



Roma - 18 marzo 2006

Movimento contro la guerra e Resistenza irachena:

due voci, un'unica battaglia



Comitati IRAQ LIBERO



*************************



"KAMIKAZE CONTRO I MARINES, NON E' TERRORISMO"

Le motivazioni della sentenza di Milano



«L'instradamento di volontari verso l'Iraq per combattere contro i soldati americani non può essere considerato sotto alcun aspetto un'attività terroristica». E questo nemmeno quando, come in questo caso, «appare chiaro il reclutamento di kamikaze».

Le motivazioni della sentenza di appello dei giudici di Milano confermano l'ormai famosa "sentenza Forleo" che tanto scandalizzò un anno fa il "politicamente corretto" di centro, destra e sinistra. Ma, soprattutto, la chiarezza delle motivazioni mette ancor più in evidenza la gravità della campagna contro la Resistenza, che ha visto in campo nelle ultime settimane (caso Ferrando, polemiche sulla manifestazione del 18 febbraio sulla Palestina) un fronte bipartisan che va da Fini a Bertinotti. Questa campagna non solo mira a cancellare il diritto di resistenza dei popoli, essa è in tutta evidenza contro il diritto internazionale e contro le stesse leggi del nostro paese.



Dal Corriere della Sera del 16 febbraio 2006



LA GUERRA E IL TERRORISMO
LA SENTENZA DI MILANO

«Kamikaze contro i marines, non è terrorismo»

Caso Daki e guerra in Iraq, le motivazioni dell'appello rafforzano le assoluzioni decise dal giudice Forleo

MILANO - «L'instradamento di volontari verso l'Iraq per combattere contro i soldati americani non può essere considerato sotto alcun aspetto un'attività terroristica». E questo nemmeno quando, come in questo caso, «appare chiaro il reclutamento di kamikaze».

Le motivazioni del verdetto d'appello non solo confermano, ma addirittura scavalcano la sentenza del giudice Clementina Forleo, che il 24 gennaio 2005 fu pesantemente contestata per aver assolto tre integralisti islamici dall'accusa di terrorismo internazionale, pur ritenendo dimostrato che reclutavano mujaheddin per la guerra in Iraq.

L'imputato diventato più famoso, il marocchino Mohammed Daki, è in realtà l'unico assolto da tutti i reati: per i giudici «condivideva le ragioni per le quali un musulmano doveva andare in Iraq a combattere» e le intercettazioni ne dimostrano «la disponibilità ad aiutare un aspirante combattente somalo» che gli chiedeva di «cedergli il suo passaporto», ma poi non l'ha fatto (anche perché si è accorto che la polizia stava per arrestarli), per cui «è stato solo occasionalmente coinvolto». Per gli altri due imputati, i tunisini Alì Toumi e Maher Bouyahia, la corte d'assise d'appello considera «provato che dal febbraio al marzo 2003 hanno collaborato con l'egiziano Merai e il mullah Fouad» (i due ex imam di Milano e Parma arrestati come capicellula) «aiutando i volontari musulmani a trasferirsi dall'Europa in Iraq per andare a combattere contro gli americani e munendoli di documenti d'identità falsi», ma neppure questo è terrorismo.

Il verdetto di primo grado aveva messo in dubbio l'intercettazione chiave sul reclutamento di kamikaze. La sentenza d'appello, firmata dal giudice Rosario Caiazzo, lo considera invece pienamente provato (tanto da fare i nomi di tre kamikaze: Habib Waddani, Morchidi Kamal e Habib Sekseka) ma irrilevante: «Un atto può essere definito terroristico, in tempo di pace, anche quando determina solo un pericolo indiretto per la popolazione civile. Ma in una situazione di conflitto armato» questo rischio «ricorre con grande frequenza», ad esempio «in occasione dei bombardamenti», per cui contano «solo gli atti esclusivamente diretti contro la popolazione civile». «Non può quindi condividersi la tesi dell'accusa», cioè l'obiezione del procuratore Spataro secondo cui «le azioni suicide costituirebbero sempre (e di per se) un pericolo per la popolazione civile».
La sentenza non cita la strage di militari italiani nel novembre 2003 a Nassyria, ma indica due diverse date-spartiacque che lasciano il giudizio (forse volutamente) incerto: il giudice considera «fatto notorio» che «fino all'agosto 2003 in Iraq non si è verificato alcun attentato terroristico», perché solo da allora «le azioni suicide» hanno colpito «anche civili»; ma a metà sentenza sottolinea che «il periodo di occupazione militare» (parificabile a quello «stato di guerra» che legittimerebbe i kamikaze) «si è formalmente concluso solo il 30 giugno 2004 con il primo governo provvisorio iracheno».
Per il giudice Caiazzo inoltre è provato che «i volontari dall'Europa venivano inviati in campi di addestramento militare gestiti da Al Ansar Al Islam», che era «una vera e propria organizzazione combattente islamica» con «frange favorevoli al terrorismo», ma questo «non basta» a provare l'accusa «individualmente per ciascuno» dei «reclutatori».

Toumi e Bouyahia dunque meritano solo tre anni di carcere per i passaporti falsi e l'invio di clandestini in Iraq, mentre Daki va scarcerato con tante scuse.



Paolo Biondani

16 febbraio 2006