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Quel fragoroso silenzio della politica intorno a noi

ILVO DIAMANTI




da Repubblica - 26 febbraio 2006

L´enfasi mediatica della campagna elettorale non riesce a coprire il
fragoroso silenzio della politica sul territorio. E nella società.
Nonostante la scadenza elettorale si avvicini. E il dibattito si
infiammi. Nonostante la costruzione, complessa, delle coalizioni e
delle candidature, proceda faticosamente. Un giorno dopo l´altro. In
vista della presentazione definitiva delle liste, fra una settimana.

Quel fragoroso silenzio della politica intorno a noi

Guardatevi intorno. Scoprirete, lungo le strade, megamanifesti con la
faccia di Berlusconi, sempre uguale. Immobile come sugli schermi. E
quella degli altri leader più importanti. A fianco, slogan
intercambiabili. Neppure serve più collezionarli, i manifesti, per
denunciare, fra cinque anni, l´inadempienza delle promesse fatte.
Perché nessuno, ormai, li guarda con attenzione ai contenuti.
Nessuno. Prevale lo spirito "estetico". Come di fronte alla campagna
pubblicitaria, per promuovere un dopobarba, un aperitivo o un
´automobile. Mancano solo i testimonial. La più amata dagli italiani,
l´uomo che non deve chiedere mai, la bella ragazza dal sorriso
ammiccante. Ma è solo questione di tempo. Invece il fragoroso
silenzio della politica nel nostro territorio – che risuona nelle
piazze, sulle strade, nei teatri. Non è passeggero. Ma destinato a
protrarsi, fino al 9 aprile. Certo: è da nostalgici dei partiti di
massa («quando la politica era passione e mobilitazione») immaginare
un ritorno della campagna porta-a-porta. Delle riunioni affollate,
nei bar, nelle piazze, dietro a casa nostra. Però, in fondo, ci
avevamo fatto la bocca, nelle ultime campagne elettorali. Alle
regionali, ma anche alle europee di due anni fa. C´eravamo un po´
illusi. Perché avevamo assistito a una presenza visibile della
"politica", intorno a noi. Però, ovviamente, non bisogna confondere
le elezioni politiche con quelle amministrative – comunali,
provinciali e regionali – che propongono una competizione impostata
su base "locale", intorno a temi e persone collegate al territorio.
Le stesse elezioni europee, per quanto si riferiscano a un´entità, la
Ue, sempre meno popolare, e a una sede istituzionale, il parlamento
europeo, con pochi poteri, "costringono" i candidati a misurarsi con
gli elettori, nell´ambito delle – pur ampie – circoscrizioni. Non ci
sono, in questa consultazione, parlamentari che debbano conquistare o
confermare il loro seggio in un collegio. Ma neppure partiti e
candidati che debbano "entrare" nelle case, nei quartieri.
Coinvolgere interessi e associazioni, lobbies e circoli. La nuova
legge elettorale – proporzionale con premio di coalizione – rende del
tutto accessorio il rapporto con la società e con il territorio.
Prevede, infatti, che si voti il partito. E basta. Automaticamente,
si vota anche lo schieramento. E si eleggono i candidati. Nell´ordine
imposto dalle liste. Deciso dai partiti, a livello nazionale. Perché
il "premio" di maggioranza verrà "conquistato" dalla coalizione che
otterrà più voti, a livello, appunto, nazionale. Oppure regionale,
per quel che riguarda il Senato.

Da ciò, alcune conseguenze, che riguardano il confronto elettorale,
già avviato da tempo.

1. Il rafforzamento dei gruppi dirigenti centrali dei partiti, da cui
dipende la scelta dei candidati e, soprattutto, la loro posizione in
lista. In altri termini: la possibilità di essere eletti. Questa
tendenza è moltiplicata dalla totale assenza di partecipazione degli
elettori alla formazione delle liste. Visto che i partiti, tutti o
quasi, non hanno più organizzazione, a livello territoriale. E il
ricorso alle primarie, in questo caso, è stato escluso.
2. Il consolidarsi delle logiche di partito. (Luigi La Spina, sulla
Stampa, ha parlato di "strapotere dei partiti"). Induce ad aggregare
"tutti" i partiti, utili agli interessi delle coalizioni. Anche i più
estremi, come i neofascisti, se in grado di "attrarre" quote
"aggiuntive" di elettori. Mentre induce a contrastare l´ingresso di
liste che potrebbero allargare la platea degli elettori della
coalizione, sottraendo, però, qualche consenso ai partiti maggiori.
Motivo per cui, ad esempio, la Margherita vede come il fumo negli
occhi il movimento delle Liste civiche, promosso da esponenti
autorevoli, a livello locale, come Riccardo Illy.
3. La "personalizzazione" e la "mediatizzazione" della campagna
elettorale. Visto che i partiti, lontani dal territorio e dalla
società, si concentrano sui media. E, per questo, ricorrono ai
"volti" e ai "personaggi". Come un lungo reality, che ha, come posta
conclusiva, il governo del Paese. Per cui, i partiti vengono, per
semplicità, associati al nome e al volto dei leader. Che agiscono
come protagonisti, che comunicano per slogan, battute, ammiccamenti,
sorrisi. Secondo le regole del marketing. E del linguaggio televisivo.
4. Le figure-chiave della campagna elettorale non sono più i
"volontari", i "militanti". Ma i consulenti di immagine. Gli esperti
di sondaggi. Gli spin doctor. Accanto ai responsabili centrali dell
´organizzazione di partito.
5. Invece, la presenza politica sul territorio rischia di
desertificarsi. Perché non c´è motivo, non c´è incentivo che spinga
partiti e candidati ad andare sul territorio. Incontro alla società.
I partiti, in conclusione, in questa fase, tendono ad agire come
macchine elettorali centralizzate, fondate su leadership
personalizzate, largamente autonome e indifferenti, rispetto alla
società. In grado di "riprodursi" (secondo il modello del "partito di
cartello", delineato da Richard Katz e Peter Mair) perché il loro
controllo sulle risorse, sul potere istituzionale e mediatico è forte
e si allarga.
Queste considerazioni ci inducono a immaginare che, nelle prossime
settimane, la politica, nonostante la par condicio, dilagherà sul
video. E si affaccerà solo timidamente sul territorio e nella
società. Con un evidente svantaggio per il centrosinistra. (Lo
abbiamo già scritto. Ma non temiamo di ripeterci, in questo caso).
Perché, se la campagna si risolve in tivù, c´è un solo attore di
successo, oggi. Silvio Berlusconi. Il quale guarda con sospetto "l
´altro modello". Ispirato il rapporto stretto fra politica, società e
territorio. Che preferisce, non a caso, dipingere a tinte fosche e
demoniache. Quell´intreccio incestuoso fra comunisti, giunte e coop
rosse. Denunciato per ragioni che superano specifiche vicende
bancarie. Ma riguardano il legame fra partito, associazioni,
interessi. Che fa pulsare il "cuore rosso" dell´Italia (come lo
definisce un suggestivo saggio scritto da Francesco Ramella per
Donzelli). È la "politica senza territorio" che sfida, demonizza la
tradizione della "politica nel territorio".
Ci inducono, ancora, queste osservazioni, a temere che il futuro
partito Democratico incontrerà molti ostacoli. Disseminati sul suo
cammino dai "partiti" di centrosinistra. Domani. Se l´Unione dovesse
vincere.
Ci è chiaro che questo scenario apparirà, ad alcuni, viziato da
sentimento antipartitico. Ma il sospetto non ci inquieta. La stessa
esperienza italiana (ed europea) degli ultimi vent´anni, d´altronde,
suggerisce come proprio questo processo – la centralizzazione dei
partiti – alimenti, semmai, tendenze di segno opposto. Disseminando,
nella società, il sentimento antipolitico. Favorendo il successo di
leader e di "partiti antipartito". Insomma: lo "strapotere" dei
partiti ne corrode l´autorità. La legittimità. Il consenso.
Il vizio antipartitico. Non ci appartiene. Noi, semmai, soffriamo del
male opposto. Abbiamo nostalgia di partiti radicati nella società.
Dotati di identità e di idee. E il silenzio fragoroso della politica
intorno a noi, in questa campagna elettorale, ci inquieta. Non solo
per il presente: per il futuro.