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da " il manifesto" del 23/02/2006 GIULIANA SGRENA
Chi potrà ancora sostenere che se si ritirano le truppe straniere dall'Iraq
scoppierà la guerra civile? Quello che è successo ieri a Samarra - un'esplosione
ha distrutto la cupola d'oro della moschea al Aksari, luogo santo sciita,
cui sono seguite proteste e rappresaglie contro imam e moschee sunnite -
toglie ogni velo di ipocrisia ai fautori dell'occupazione. Non è la prima
volta che vengono attaccati i luoghi santi sciiti e probabilmente non sarà
l'ultima. Bisogna fermare il massacro non alimentarlo, come hanno fatto finora
gli occupanti acuendo la divisione fra le varie componenti etnico-confessionali
irachene. Il ritiro dall'Iraq toglierebbe ogni alibi a coloro-che non sono
interessati alla sua liberazione dall'occupazione ma alla destabilizzazione
del paese sfruttando le diverse appartenenze religiose (sunniti e sciiti)
per perseguire il proprio disegno terroristico. Non si può assistere al dissanguamento
di un popolo sfuggendo alle proprie responsabilità. Che non sono solo americane,
ma anche italiane.
La testimonianza resa a Rainews 24 da Ali Shalal al Kaisi, «l'incappucciato»
di Abu Ghraib, ci rivela qualcosa che purtroppo non ci può sorprendere: tra
i torturatori del tristemente famoso carcere c'erano anche italiani. Non
i soldati in «missione di pace» a Nassiriya, ma i mercenari. Perché ci sono
anche italiani tra i mercenari presenti in Iraq, insieme a sudafricani, cileni,
bosniaci, colombiani, francesi, etc. etc. Io stessa a Baghdad avevo cercato
di intervistarne uno ma" non sono riuscita perché, da " vero mercenario,
voleva essere pagato. Sono quei contractors che costituiscono il secondo
esercito di occupazione in Iraq, il cui numero è di decine di migliai*. Sono
i fautori della privatizza-zione della guerra sostenuta dalle americane Balckwater,
Caci, Titan corp e altre società che così rimpinguano i loro bilanci.
E' la parte più sporca della guerra: sono infatti i contractors a fare quello
che nemmeno i soldati regolari possono permettersi di fare. E sono superpagati.
Tanto da far nascere tensioni con soldati americani che si erano ribellati
a questo doppio trattamento. Non si può certo impedire a chi vuole fare della
guerra una propria fonte di reddito di farlo, ma almeno potremmo evitare
di celebrarli come eroi. Possiamo invece evitare che i nostri soldati continuino
a essere compiici di un'occupazione che non può avere nessuna giustificazione.
L'Iraq è in guerra, per questo gli americani hanno sparato un anno fa alla
macchina su cui viaggiavamo verso l'aeroporto uccidendo Nicola Calipari.
E anche i nostri soldati sono in guerra e non in «missione di pace». Ancora
una volta è stata Rainews 24 a svelarci una realtà che solo l'ipocrisia poteva
farci ignorare: la guerra è la guerra e chi si trova su un teatro di guerra
imbracciando le armi non svolge attività umanitaria. E spara anche sulle
autoambulanze, lo ha confessato il caporalmag-giore Raffaele Allocca confermano
le affermazioni del giornalista americano Micah Garen. Di fronte a tanta
barbarie come è possibile che la campagna elettorale non faccia della posizione
sulla guerra e l'Iraq un punto qualificante?