[NuovoLab] Ali Rashid su Violenza - Nonviolenza

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著者: brunoa01
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題目: [NuovoLab] Ali Rashid su Violenza - Nonviolenza
il manifesto 22.2.06

PALESTINA
La non violenza? «È un punto di arrivo»
Ali Rashid: «La mia generazione ha perso, bisogna avere il coraggio di cambiare»
Scontro Prc-Pdci «Un corteo dannoso, ma sull'occupazione spietata e illegale da parte di Israele tutta la sinistra è d'accordo Si parte da qui»
MATTEO BARTOCCI

La non violenza? «E' un punto di arrivo. E per la causa palestinese oggi è l'unica strada praticabile».
Ali Rashid, per lunghi anni segretario della delegazione palestinese in Italia parla con cognizione di causa.
Oggi è candidato per Rifondazione in Umbria.
In quest'intervista non nasconde lo sconforto per la sconfitta della Palestina laica, né i dubbi su Hamas e l'Iraq.

Non ti sembra che il riferimento assoluto alla non violenza demolisca anche il diritto di resistenza?

Resistere a un'occupazione in forme diverse dalla lotta armata sarebbe l'ideale. Ma troppo spesso si dimentica che la resistenza non è un «privilegio» ma una terribile costrizione.

Non pensi che una sinistra divisa sia controproducente soprattutto per la causa palestinese?

Ho seguito a distanza la manifestazione di sabato e l'ho trovata molto triste. Davvero in Italia sono solo poche centinaia di persone a sostenere la nostra causa? Si poteva ben trovare una piattaforma comune, una convergenza per condannare tutti insieme l'occupazione israeliana. Invece no, c'è stata la volontà di escludere il Prc, perfino con l'aggressione, avvenuta l'anno scorso, a Gennaro Migliore. Questi episodi danneggiano soprattutto i palestinesi.

Come te li spieghi?

Per me e per molti c'è una data precisa: è la manifestazione di tre anni fa, quando hanno sfilato dei ragazzi che fingevano di essere kamikaze. Fino ad allora a questa manifestazione lavoravamo tutti insieme.

Una parte consistente di Rifondazione e dei Verdi però c'erano.

Sì, ma che servizio stiamo facendo ai palestinesi?

Da dove si può ripartire dunque?

Innanzitutto dalla violazione del diritto e della legalità commessi da Israele. Su un'occupazione particolarmente spietata tutta la sinistra è d'accordo.

E la non violenza?

E' un punto di arrivo. Per noi il bilancio della lotta armata contro Israele è terribile. Abbiamo perso la nostra generazione più bella, quella nata a ridosso della «catastrofe» del `48. Una generazione di palestinesi che fino al `67 aveva investito nell'istruzione dei propri figli, che si era laureata nelle migliori università, che aveva un peso culturale enorme in tutto il mondo arabo e non. Era questa la nostra forza.

Poi?

Non so dire cosa abbiamo ottenuto con la lotta armata dal `67 a oggi. L'uso della violenza provoca danni irreparabili non solo in chi la subisce ma anche in chi la pratica. Accettando il terreno dello scontro militare abbiamo subito la violenza israeliana ancora di più e contemporaneamente abbiamo perso anche tutto ciò che ci contraddistingueva. Non abbiamo impedito l'occupazione e abbiamo un quadro sociale devastato. Nella condizione specifica dei palestinesi credo che sia necessario cercare altri strumenti di lotta. Se sul piano militare il confronto è impossibile, sul piano etico e culturale gli spazi di azione sono immensi.

Poi c'è la vittoria di Hamas.

La vittoria di Hamas e la crescita della cultura religiosa sono la conseguenza della povertà materiale e della sconfitta della cultura laica. Hamas ha rappresentato un freno in una società in cui ogni giorno vengono distrutti tutti i punti di riferimento, dal governo alla famiglia. Per anni abbiamo avuto scuole, università e ospedali chiusi. Hamas ha colmato un vuoto, ma ha innescato un arretramento culturale. Chi ama la Palestina dovrebbe aiutarci, obbligando Israele a rispettare il diritto internazionale e non isolandoci, informando bene su quello che accade.

In Iraq invece? Anche in quel caso vale la non violenza?

In Iraq ci sono diverse forme di lotta: c'è il terrorismo, la lotta armata militare, i kamikaze. Sinceramente penso che il progetto americano della guerra permanente e dell'esportazione della democrazia con le armi sono in difficoltà grazie a chi ha resistito anche militarmente. Ma tutto questo si poteva ottenere prima e meglio in forme civili, politiche. Quasi due terzi dell'umanità era contraria a questa guerra e nonostante tutto è stata fatta. Mi sembra la prova più evidente di una crisi della democrazia e della rappresentanza. Se avessimo dato ascolto a chi chiedeva la fine dell'occupazione ed elezioni democratiche subito oggi non saremmo in questa situazione. Un popolo punta tutto sulla mobilitazione civile e politica a condizione che ci sia una comunità internazionale attenta.

La guerra chiude ogni discorso.

Per questo sono per una lotta non violenta: perché è un atto di fiducia nelle donne e negli uomini. Mentre la violenza dilaga ovunque bisogna avere la lucidità di evitare scorciatoie che non esistono. Israele è il più acerrimo nemico del suo popolo. Non vorremmo anche noi fare lo stesso per il nostro.



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