Szerző: massimiliano.piacentini@tin.it Dátum: Címzett: forumlucca Tárgy: [Forumlucca] una mosca bianca
In un momento in cui c'è chi ammazzerebbe la mamma pur di essere
ricandidato, chi passa da un partito all'altro per essere rieletto, e
chi, come Domenico Fisichella, fondatore di AN, salta il fosso (nel
giro di un mese) e si presenta con la Margherita, persone come Gigi
Malabarba sono davvero delle mosche bianche...
Da “Liberazione della
domenica”, 19 febbraio 2005
“LASCIO IL SEGGIO AD HAIDI, TORNO IN
MOBILITA’”
Della serie: quando cinque anni bastano e avanzano. Magari
ancora qualche mese, due, tre al massimo. Come ha promesso e come ha
concordato con Haidi Giuliani. Ma poi basta. E di questi tempi è una
"notizia". Una "notizia" anche dentro Rifondazione comunista. Perché in
settimane dove le cronache politiche sono dominate da nomi, da quei
lunghi elenchi di nomi che formano le liste dei candidati, in giornate
in cui il dibattito politico è fatto quasi solo da liti su chi dovrà
andare alle Camere (più le polemiche sulla par condicio, ma quelle non
mancano mai), diventa un caso chi sceglie di "rinunciare". Al seggio
sicuro. Si parla di Gigi Malabarba. Cinquantaquattro anni, milanese,
una vita in fabbrica, l'Alfa di Arese, e nel sindacato - prima la Fiom
e poi quello di "base" - una figlia, due nipotine, nell'immediato
futuro un nuovo matrimonio o forse un Pacs. Ammesso che l'Unione vinca
le elezioni e che poi dia seguito a ciò che c'è scritto nel programma.
Gigi Malabarba è capogruppo di Rifondazione al Senato. Lo sarà ancora
per qualche mese. Il calcolo dei tempi è facile. Gigi Malabarba,
nonostante gliel'abbiano chiesto davvero tutti (da Bertinotti ai
dirigenti di tutte le componenti del partito, ai suoi compagni della
minoranza di "Sinistra critica", passando addirittura per i leader
degli altri partiti d'opposizione al Senato) ha deciso di dire basta
alla vita di "rappresentante nelle istituzioni". Ha accettato però, se
così si può dire, tre mesi di proroga dopo il voto di aprile. Perché
sarà ancora lui il capolista di Rifondazione in Liguria e, in base ai
voti probabili, dovrebbe risultare eletto. Solo che ha già deciso di
dimettersi. Lascerà il posto ad Haidi Giuliani. Lo farà in una data
simbolica: il 20 luglio. Cinque anni dopo la morte di Carlo. E la sua
candidatura, ci tiene a precisarlo, non è un "favore" che fa ad Haidi.
Semmai il contrario. «Comunque è un ringraziamento per il coraggio
dimostrato in questi anni «da!
questa esile e straordinaria donna»,
che ha accettato solo grazie a questa "staffetta" di essere nelle liste
di Rifondazione. «Nonostante sia altrettanto schiva dalle istituzioni
quanto me». «Mi ha detto che probabilmente anche lei si troverà
spaesata, in un ambiente che non è il suo, che non è il nostro. Mi ha
chiesto, insomma, in qualche modo di starle vicino. Fra di noi c'è un
legame politico ed umano assai forte. E mi fa piacere se posso aiutarla
inizialmente a districarsi dentro quegli splendidi e terribili corridoi
di Palazzo Madama».
*Insomma, Malabarba te ne vai. Qualcuno però
parla di motivi politici. E' davvero così difficile fare il capogruppo
venendo da una minoranza?
*No, e francamente non ho sentito nessuna
"voce" in proposito. Anzi, devo dare atto a Fausto Bertinotti di non
aver mai voluto neppure prendere in considerazione l'idea di una mia
sostituzione solo perché ho sostenuto e sostengo delle tesi critiche.
Lo disse anche davanti al congresso, a Venezia, provocandomi un certo
imbarazzo, lo confesso. Sono stati anni difficilissimi per tutti, ma
tutto questo ora non c'entra. La tua domanda comunque mi obbliga a fare
una premessa tutta politica....
*Falla.
*Lo sai benissimo che sono
stato e sono contrario alla scelta di integrarci nel centrosinistra. E
parlo esplicitamente di centrosinistra, perché il nuovo nome non ha
mutato la sostanza ed è bene non ingannarsi e non ingannarci. Sono
stato e sono contrario all'idea che sia possibile per noi far parte di
un governo Prodi. Ovviamente anch'io, come tutti, sento la necessità di
mandare a casa il governo delle destre. Ma credo che la strada più
opportuna sarebbe stata quella di un accordo politico-elettorale senza
impegnarsi in un improbabile accordo con settori del capitalismo
neoliberista. Settori oggi magari insofferenti davanti agli eccessi di
Berlusconi ma con i quali credo sia impossibile avere un progetto
unitario.
*Insomma, la desistenza c'è già stata alle elezioni del
1996. Riproponi quella?
*Si potrebbe pensare anche a qualcosa di più.
Ad una vera e propria convergenza su alcuni punti simbolici. Come per
esempio l'abrogazione tout court delle leggi liberticide e antisociali
di questo governo. Per il resto dell'attività legislativa sarei per
andare a vedere in sede parlamentare cosa accade. Prodi dovrebbe
guadagnarsela la maggioranza, non deve sentirsela garantita a priori,
ricattandoci con i discorsi sul "menopeggio".
*Rifondazione però, e
non da oggi, ha scelto altro.
*Ecco il punto. Le mie divergenze
politiche non c'entrano nulla con la scelta di lasciare l'incarico.
*Cosa c'entra allora?
*Semplicemente che penso di dovermi impegnare
diversamente e forse - perché no? - più utilmente.
*Quando l'hai
deciso?
*La verità? Cinque minuti dopo la mia proclamazione a
senatore, nel maggio del 2001. Non era quella la mia priorità, non era
quello il futuro politico che avevo progettato. Perché sai, io sono
stato candidato tante altre volte. Nel '99 per esempio, al parlamento
europeo anche come capolista nel nord-ovest. Ma non ho mai pensato
seriamente ad un impegno parlamentare. Il mio lavoro politico è sempre
stato, era lì: fra gli operai dell'Alfa di Arese fin dagli anni '70.
*Perché era?
*Molto semplicemente perché in quella fabbrica tutta la
produzione è cessata, sono rimasti pochi impiegati, ma gli operai come
me sono stati tutti a casa. Definitivamente.
*Invece? Cosa è accaduto
poi nel 2001?
*Che un po' a sorpresa sono stato eletto. Al Senato,
presentandoci da soli nei collegi, si pensava di avere al masismo un
paio di eletti in tutta Italia e non era possibile fare previsioni dove
sarebbe avvenuto. Qualche voto in più dai quartieri operai della
periferia milanese, il gioco dei resti e così mi sono ritrovato
senatore. Anche allora non volevo restare a lungo. Ne parlai con
Bertinotti, con Giordano e altri della direzione, quando si annunciava
una delle stagioni più buie del nostro paese ma anche di grandi
movimenti sociali. Pensavo di restare per un paio d'anni. Poi, invece,
Berlusconi che dura, le necessità del gruppo, l'agenda politica, le
battaglie da fare, anche un po' di routine, ed eccoci arrivati fino ad
oggi. Ma ora smetto davvero.
*La cosa più brutta di questi anni?
*Tutto. E' stata davvero una sofferenza. Perché vedi il lavoro
istituzionale è quello più lontano dal mio modo di vivere la politica,
di fare le battaglie. Ti assorbe, ti distrae, ti fa pensare ad altro.
E' come una specie di melassa che avvolge tutto, attenua tutto. Diventa
autoreferenziale.
*Scusa, stai dicendo che la sinistra d'alternativa
non deve entrare nelle istituzioni? Non ti sembra così di riportare
parecchio indietro il dibattito a sinistra?
*No, non dico affatto
questo. E' importante, decisivo che la sinistra, e quella decisamente
anticapitalistica ancora di più, sia rappresentata, sia presente. Dico
però che queste istituzioni sono pensate per essere assolutamente
impermeabili a ciò che avviene fuori dal Palazzo. E questa
impermeabilità la si può mettere in discussione solo se,
contemporaneamente, si mettono in gioco altre forme di rappresentanza.
Solo se - contemporaneamente - si organizza il sociale, si dà voce e
struttura ai conflitti. Solo se insomma le istituzioni sentono il
"fiato sul collo" dei movimenti. Questa credo sia l'unica strada per
aprire una piccola porta e rompere l'isolamento di quelle sedi
istituzionali.
*Lì dentro, da soli, non si può fare nulla. Stai
dicendo questo?
*Dico di più: anche senza volerlo ti ritrovi dentro
meccanismi che si perpetuano col tempo. Senza l'intervento di nessuno:
semplicemente vanno avanti da soli. E rischiano di farti diventare un
estraneo rispetto a chi ti ha dato il mandato. Rischiano di corromperti
la testa e il cuore prima ancora che il portafoglio.
*Ma ci sarà pur
stato qualcosa che ti rimarrà dentro? Qualcosa di positivo?
*Sì.
Quella brevissima stagione che seguì il G8 di Genova. Quando i
movimenti davvero furono capaci persino di fare breccia dentro le
grigie stanze del Senato. Oppure, i giorni della vertenza Fiat, a
cavallo tra il 2002 e il 2003. Quando portai un gruppo di operai in
Senato con la loro tuta blu e furono ricevuti da Pera. Erano i giorni
in cui facevo lo sciopero della fame, in un camper fuori da Palazzo
Madama, erano i giorni in cui intervenni in aula su quella vertenza,
ogni giorno e per dieci giorni. Fuori dal Senato non se ne seppe quasi
nulla, nessuno ne ha scritto. Ma nel Palazzo il clima di rispetto verso
Rifondazione cambiò radicalmente.
*Per il resto, nulla?
*Ci sono
state anche altre cose. Che però non definirei belle.
*E come
allora?
*Piuttosto, interessanti.
*A cosa ti riferisci?
*Per
esempio all'esperienza che ho fatto nel Copaco, nel comitato di
controllo sui servizi. E quello è un osservatorio, composto da
pochissimi parlamentari (quattro di maggioranza e quattro di
opposizione), con poteri anche insignificanti, ma è un osservatorio
privilegiato dal quale si è potuto guardare ad alcuni fatti importanti
per la vita del nostro paese: la guerra in Iraq, l'assassinio di
Calipari, la gestione dell'ordine pubblico, e così via.
*E un uomo di
sinistra che idea s'è fatto dei servizi segreti visti da vicino? Quegli
apparati possono essere ancora un pericolo?
*Credo che chiunque abbia
in mente, chiunque lavori ad un progetto di alternativa debba
osservare, capire quel che matura dentro questo mondo e più in generale
in tutti gli apparati di sicurezza. E' importante. E non per cercare
eventualmente nostri amici. Perché se è questo che vuoi sapere ti
rispondo assai semplicemente: no, ai vertici non ce ne sono di "nostri
amici". Però bisogna saper osservare, bisogna saper capire che anche lì
esiste una dialettica - forse di più: uno scontro - difficile da
spiegare. Per capire: lo scontro non è riconducibile fra chi concepisce
la sua attività sotto il controllo democratico e chi no. Ma lo scontro
è tra chi comunque, per tante ragioni, mantiene un'autonomia
dall'Impero e chi, in sintonia con i dettami della "guerra permanente"
di Bush, vorrebbe esautorare le forme della democrazia e della
sovranità nazionale. Per imporre - meglio: per sovrapporre a tutto - la
propria rete di comando.
*Immagino tu stia parlando del Prefetto De
Gennaro, delle tante denunce che hai fatto sulla sua rete di
fedelissimi filo americani piazzati nei ruoli chiave, non è così?
*Esattamente. Lo so che per qualcuno potrebbe sembrare un'ossessione la
mia. Ma vista da lì, da quell'angolo di visuale, la manovra è
chiarissima. E a me sembra davvero assai pericolosa.
*Perché allora
vuoi disperdere queste competenze, queste conoscenze? Questa
"professionalità" acquisita?
*E qui si arriva ad un altro discorso.
Riguarda i criteri per la rappresentanza nelle istituzioni.
*Comincia.
*Ricordo che appena qualche tempo fa, allo scorso
congresso, il segretario di Rifondazione spiegò esattamente la
filosofia - che io condivido - in base alla quale deve esserci una
netta separazione fra il gruppo dirigente del partito e il suo gruppo
parlamentare. Una scelta ovvia per chi vede il rischio di derive
istituzionaliste. Ora però quella scelta è stata contraddetta: gran
parte del gruppo dirigente attuale entrerà in Parlamento dopo il 9
aprile.
*Una critica alla maggioranza?
*Certo, ma non solo. Una
critica rivolta a tutto il partito. Se vuoi te lo sillabo: a-tut-to-il-
par-ti-to. Perché vedo una tendenza brutta, di più: una tendenza
drammatica, a considerare residuale il lavoro nel partito per
costruire, sostenere i conflitti sociali. L'area dei nostri militanti,
che non è enorme - non è quella del Pci, insomma - la vedo sempre più
impelagarsi nelle discussioni su chi dovrà andare alla Regione, alla
Provincia, al Comune, e giù, giù fino al Municipio. Vedo che quella è
diventata l'aspirazione, la sola aspirazione di tanti, di troppi.
Diffusa, diffusissima. Purtroppo la scelta odierna del gruppo dirigente
nazionale e gli stessi comportamenti di chi ha fatto già molte
legislature finiranno con l'alimentare questi atteggiamenti. Anche se -
ti ripeto - non nascono a Roma, ma sono diffusi ovunque. In qualsiasi
struttura del partito.
*Detto questo, la domanda resta: e le tue
competenze? Davvero pensi non valesse la pena metterle ancora a
frutto?
*Ti rispondo con un'altra domanda. E chi l'ha detto che dopo
l'incarico parlamentare occorra rispettare una legge non scritta,
inventata non si sa bene da chi, per cui bisogna avere per forza
incarichi dirigenti, di prestigio, ecc? Perché non recuperiamo invece
l'idea del ritorno alla semplice militanza e anche della semplice
collaborazione? Te ne potrei dire una: tra i collaboratori del nostro
gruppo al Senato, in questi cinque anni, una delle figure più preziose
è stata una ex parlamentare, Angela Bellei. Senza la quale avremmo
fatto meno, molto meno. Le sue competenze sono state a disposizione di
tutti. Un partito, un partito di sinistra d'alternativa, è anche
questo.
*Che consigli daresti ad Haidi Giuliani?
*Non ne ha bisogno,
credimi. E comunque di non rassegnarsi davanti all'ambiente e alle
prime difficoltà, ma - ripeto - non è nel suo carattere. Temo semmai le
crisi di rigetto, di cui ho sofferto anch'io. Deve solo tener presente
che grazie al lavoro, alla rete che ha saputo costruire in questi anni
nel movimento e nella società, non sarà da sola. Basta ricordarsi
questo per trovare la forza di andare avanti. Non sarà sempre facile.
Perché ricordo bene quando proponemmo la commissione d'inchiesta sui
fatti di Genova. Da oltre tre anni la discussione in aula era collocata
al secondo posto nell'ordine dei lavori, ma, pur essendoci spazio per
proposte d'iniziativa dell'opposizione, mai veniva considerata
prioritaria dal centrosinistra, una vergogna. Parlavi con i colleghi di
altre forze, coi diesse, coi loro responsabili. "La prossima volta lo
chiediamo tutti insieme, non ti preoccupare", dicevano. Poi però ti
spiegavano che, purtroppo, c'era la necessità di discutere di questo!
e di quell'altro. Non sarà semplice, quindi, anche se vorrei vedere
qualcuno che dice di no ad Haidi, mentre parla dai banchi del Senato.
*E ora? Che farai?
*Ora torno in mobilità.
*Cioè?
*Come sai io sono
stato licenziato dall'Alfa, dalla Fiat. E mi hanno dovuto reintegrare
in base alle sentenze della magistratura, tutte a favore. Alla vigilia
della sentenza della Cassazione, quando ormai facevo il senatore,
esattamente mentre eravamo impegnati nella battaglia referendaria per
estendere l'articolo 18, la Fiat decise di rinunciare alla causa: la
mobilitazione dei lavoratori prima e il referendum poi avevano impedito
di cancellare la norma che impone al padrone il reintegro del
dipendente licenziato senza "giusta causa". Sul piano pratico, però, il
mio posto non c'era più esattamente perchè non c'è più la mia fabbrica,
l'Alfa di Arese. Ed esattamente come tanti altri operai, alla fine
dell'aspettativa sarò iscritto nelle liste di mobilità.
*Ti
dedicherai al SinCobas?
*Come iscritto e militante sicuramente. In
ogni caso, a chi me lo ha chiesto fino ad ora, ho sempre risposto che
vorrei tornare a lavorare nel movimento operaio, tra i lavoratori.
Magari anche in quegli settori che tutti abbiamo chiamato il "nuovo
movimento operaio", magari ancora da costruire, fatto di un conflitto
sociale che va oltre la fabbrica. Penso a chi oggi è invisibile, ai
precari, a chiunque in questi anni - in questi ultimi dieci anni, non
solo gli ultimi cinque - è stato costretto a vivere senza alcuna
certezza. Senza alcun diritto. Mi piacerebbe dedicarmi alla loro
organizzazione, come è stato all'origine del movimento dei movimenti
con le marce europee contro la disoccupazione e la precarietà.
*E le
tue nipotine?
*Non ti nego che nella mia decisione c'entra anche
questo. E non me ne dispiace affatto: e dove sta scritto che un
rivoluzionario non debba occuparsi delle nipotine?.