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Inizia venerdì 17 febbraio
al Cinema Centrale, alle ore 15.30
la rassegna cinematografica, promossa dall'UNIDEL
a cura di Gianni Quilici
"La storia del cammello
che piange"
di
Byambasuren Davaa e Luigi Falorni .
Ingresso gratuito.
Ciò che colpisce nel film, e che è forse la ragione dominante del suo successo internazionale, è la parte più documentarista: la storia del rapporto tra i due cammelli, la madre che ha avuto un parto dolorosissimo ed il figlio albino, che essa lascerebbe morire di fame, se non intervenisse il potere di una musica.
Ciò che viene, in genere, sottovalutato è la pazienza, l'abilità, ma anche la fortuna, da cui i due giovani registi, studenti freschi di corso della Scuola di cinema di Monaco, sono stati baciati nel cogliere questo rapporto nella sua profondità, senza possibilità di falsificazione, cioè di recitazione.
Ciò che vediamo è successo, perché poteva succedere, nello stesso modo in cui poteva non succedere. E' uno di quei casi, in cui la realtà stessa, senza manipolazioni diventa poesia. I registi sono bravi innanzitutto perché ci sono. Ed è appunto la sequenza in cui la mamma cammello piange, il punto culminante e più straordinario del film. Perché è costruita come attesa drammatica, come sospensione dei volti ed è percorsa dal suono monocorde e dolcissimo del violino e dalla una bella voce di donna in una ripetizione incessante che arriva infine al cuore della mamma cammello, fino a scioglierla in lacrime... Una sequenza di cinema verità, una poesia nel suo farsi e che affonda, attraverso quei volti e quel rito musicale, nella storia dei secoli.
Su questa struttura narrativa i registi hanno rappresentato la quotidianità di una famiglia di nomadi mongoli nel mezzo del deserto di Gobi, allargandola fino all'incontro con la modernità e la tecnologia. I figli di questa famiglia la scoprono nella città più vicina, dove vanno a cercare il violinista terapeuta. La chiusa non può che essere ambigua: la società moderna globalizzante, con la forza degli strumenti tecnologici ad alto tasso immaginativo, è entrata nella tenda della famiglia e incuriosisce molto, soprattutto il bambino. Lo sguardo dei registi è affettuoso, ma si intuisce che gli orizzonti del deserto si vanno restringendo.