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Acqua: la Puglia è un esempio per tutti - 30-1-06
Intervista di Davide Pelanda con Riccardo Petrella
Recentemente il Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola ha preso posizione contro la privatizzazione dell'acqua a Napoli ed in Campania. Sul tema abbiamo intervistato Riccardo Petrella, nominato dallo stesso Vendola presidente dell'Acquedotto pugliese. Economista politico, Petrella è consigliere della Commissione Europea a Bruxelles e professore di mondializzazione presso l'Università Cattolica di Lovanio (Belgio).

      Da poco più di un mese è stato anche nominato nel gruppo di lavoro per la redazione del rapporto annuale sullo sviluppo umano delle Nazioni Unite del 2006, unico italiano membro dell'Advisory Panel. Ricordiamo che quest'anno il Rapporto sarò dedicato all'acqua ed in particolare alle problematiche legate all'accesso della preziosa risorsa. 


      Allora Petrella che succede in Campania con gli acquedotti pubblici che vengono privatizzati? 


      «Una premessa. Negli ultimi vent'anni la tendenza è stata quella di forme avanzate di privatizzazione di servizi pubblici, prima con quelli locali, in particolare con quelli detti “di flusso”, “di rete” come le telecomunicazioni, i telefoni, i trasporti urbani, l'elettricità, il gas. E si è arrivati fino all'acqua. Questa della privatizzazione in generale è una forte tendenza, ancor più accentuata in Italia. Esperienze in tal senso le ricordo, per esempio, in Germania, nei Paesi Bassi, in Francia dove esiste oramai da decenni e decenni. La situazione francese è però un po' speciale: si può parlare di privatizzazione in un contesto di un capitale pubblico che rimane comunque importante nella gestione dell'acqua. In Francia il capitalismo privato è di origine pubblica». 


      Secondo lei è possibile privatizzare un bene primario come l'acqua senza che il cittadino lo sappia? 


      «No. La cultura dominante degli ultimi vent'anni di cui dicevo prima è sbagliata: ci sono dei beni come l'acqua, e dei servizi come quelli idrici di distribuzione, depurazione, trattamento ecc. che, essendo essenziali ed insostituibili alla vita sia individuale che collettiva, non possono essere oggetto di logiche di scambio o logiche economico-finanziarie ispirate dal principio dell'utilità individuale e della sua massimizzazione che è espressa dal profitto. 


      La cultura anche dei gruppi di Sinistra in Italia ha fatto opera di mistificazione distinguendo il bene dal servizio. Si dice: no, il bene acqua come bene naturale (i fiumi, i laghi, le falde) sono sempre di proprietà pubblica, invece i servizi di come la si capta, la si distribuisce, la si depura ecc.., possono e devono essere dati ai privati in quanto sono più efficienti ed efficaci, permettono maggiore economicità della gestione ecc… Specie in Italia – e questo ci caratterizza da altri Paesi – dove effettivamente il settore pubblico negli ultimi 50 anni si è dimostrato particolarmente inefficace, inefficiente e corrotto. 


      Inoltre, contrariamente alle promesse ventilate in favore della privatizzazione delle acque pubbliche che avrebbe permesso un miglioramento della qualità dei servizi, una riduzione dei prezzi della tariffa, una più grande trasparenza della gestione, in tutti i tre casi si è assistito - particolarmente anche in Italia - dopo alcuni mesi dell'introduzione della gestione privata, ad un aumento dei prezzi e delle tariffe molte volte del doppio, triplo delle tariffe precedenti. 


      L'opinione pubblica, dunque, comincia a rendersi conto che la tendenza verso la privatizzazione degli acquedotti non è stata buona, non c'è stata trasparenza e nella gestione del servizio idrico è stata introdotta sempre più una logica finanziaria di competizione sui mercati dove si vende il servizio idrico come un servizio territoriale, competitivo: quindi imprese come ACEA di Roma, qualora gli convenisse di più, andrebbe ad acquistare il servizio idrico, per esempio, di Palermo, poi dopo tre anni l'abbandona. Oppure mettono insieme la gestione dell'acquedotto con i rifiuti, con l'energia, poi vengono nuovamente scorporate in funzione di una logica finanziaria. 


      La gente si è dunque resa conto delle mistificazioni della realtà della privatizzazione. Ecco perché negli ultimi tempi, in Italia ci sono sempre più Comuni che non vogliono più entrare nella logica della privatizzazione. Vorrei anche ricordare che negli ultimi anni, a partire dal 2002-2003, con leggi finanziarie introdotte dal Governo Berlusconi, oramai anche una impresa di un servizio idrico di una Regione o di una Provincia (si dice degli ATO) che restano capitale pubblico, deve giuridicamente essere considerata come una Società per azioni». 


      Invece in Campania, pur essendo una Regione amministrata dal Centrosinistra, stanno facendo proprio una scelta di privatizzazione degli acquedotti… 


      «Esatto! Però proprio in Campania le lotte attuali per l'acqua sono state emblematiche direi della credibilità delle politiche di privatizzazione. Perché la Regione Campania di Bassolino fa parte ancora di questa ventata, di questa ondata di questi ultimi quindici anni di privatizzazioni di cui dicevo prima. Non si è saputo capire che nel frattempo le cose si erano dimostrate non solo così semplici e belle come si pensava, ma addirittura molto inefficaci e disastrose per l'interesse delle popolazioni. Loro continuano per quella strada, certo, però - come per esempio in Puglia - si sono moltiplicati i fenomeni della costituzione dei Comitati Civici». 


      Differenze tra Regione Campania e Regione Puglia: voi come avete agito in questo frangente? 


      «In Puglia il presidente Vendola, che rappresenta un fatto unico nella storia recente di questa regione essendo stato eletto dai cittadini, addirittura lontano dalle logiche delle strutture politiche-partitiche, ha operato una specie di atto dall'alto: ho domandato di trasformare l'acquedotto (che ha capitale sociale interamente pubblico ma che però, conformemente al quadro legislativo in vigore oggi è una società per azioni perché è un soggetto privato) in una agenzia pubblica ispirata dalla cultura dell'acqua ed il suo accesso come diritto umano e l'acqua come bene comune. Per il momento non c'è nessuna animazione ed iniziativa dal basso che arrivi dalla società civile pugliese. Quindi non c'è stato ancora un movimento per l'acqua bene comune come si è manifestato per esempio in Toscana ed in Campania. 


      Ho preso contatti con tutta una serie di associazioni per vedere se è possibile creare un humus di coinvolgimento dei cittadini per fare pressione anche su di noi amministratori, affinché questa trasformazione verso un'agenzia, una istituzione pubblica (l'acquedotto della cultura, dell'acqua bene comune) possa essere il risultato non solo di persone di vertici che si credono illuminate, ma che risulti anche frutto di un impegno e di una richiesta da parte delle popolazioni locali. 


      Ho constatato che le popolazioni locali in Puglia, rispetto ad altre regioni, rappresentano un tessuto formidabile perché i pugliesi si identificano con il loro acquedotto. In nessuna altra parte d'Europa questo accade». 


      Lei ha appena parlato di Europa: però queste gare d'appalto per la privatizzazione degli acquedotti sono caldeggiate anche dalla Comunità europea. Quindi come si pone l'Unione Europea di fronte alle situazioni che si sono venute a creare? 


      «L'Europa in questo momento si sta scollando completamente dalla realtà. Abbiamo constatato che in Germania non si fa più privatizzazione e che stanno tornando indietro, in Belgio hanno abbandonato ogni velleità di privatizzazione, in Francia i Comuni stanno riprendendo la gestione, in Svezia non ne parlano più, in Olanda nel settembre 2004 il parlamento ha deciso di impedire ogni forma di privatizzazione dell'acqua e dei servizi idrici. E cosa fa l'Europa? Va contro questo e resta attorniata da gente che, con le loro proprie strutture, mirano alla liberalizzazione dei servizi idrici. L'unica giustificazione che dicono è: noi dobbiamo portare il mercato unico europeo, intendendo il fatto che non può esserci più nessuna forma di monopoli pubblici in nessun settore, che sia la scuola o la salute. Bisogna smantellare, nella loro logica, tutti i monopoli pubblici nazionali. In questo senso hanno ragione perché si è deciso di creare un mercato unico. Ma allora dove stanno sbagliando? Dovrebbero dire: facciamo un servizio pubblico europeo dell'acqua, della salute. Invece dicono: lasciamo il mercato liberale come sostitutivo dei monopoli pubblici nazionali. Stanno però creando dei monopoli od oligopoli privati». 


      Dal suo ampio osservatorio di Presidente dell'acquedotto pugliese ma anche dalla sua amplissima esperienza, come andrà a finire questa questione dell'acqua in Italia? 


      «Esprimo solo un desiderio che, semmai un nuovo Governo dovesse esserci dopo le elezioni, che questo Governo riaffermi il principio dell'acqua come bene comune, sia un Governo dei beni comuni. E quindi riveda completamente il quadro legislativo regolatore, operando un aggiustamento profondo dell'attuale legge Galli, i cui principi sono buoni e devono essere mantenuti e sviluppati. Spero quindi che anche nel programma del Centrosinistra, dell'Unione, sia affermato in maniera chiara che l'acqua ed i servizi annessi non devono e non possono essere privatizzati. La formula deve essere quello di reinventare un servizio pubblico dell'acqua e di differenziare l'acqua dall'energia, dai rifiuti. 


      L'acqua, l'educazione, la salute e il solare devono essere parte integrante di una politica del bene comune del nuovo Governo. Se questo nuovo Governo parte così – e ciò deve essere specificato nel programma in maniera chiara e non lambiccata - io penso che allora le condizioni esistono per una svolta significativa, culturalmente e socialmente avanzata». 



      di Davide Pelanda