[NuovoLab] G8: alla sbarra l'orrore di Bolzaneto

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secolo xix

«Un agente mi divaricò le dita fino a lacerarmi la mano»
Drammatica testimonianza al processo contro le violenze durante il G8


Genova «Un poliziotto mi ha preso la mano sinistra e mi ha divaricato le dita tanto da lacerarle. Io ho urlato e poi sono svenuto». E' agitato, confuso, quasi tremante, ancora oggi a distanza di quattro anni e mezzo Giuseppe Azzolina, cinquant'anni, mentre racconta ai giudici del tribunale di essere stato brutalmente aggredito durante il G8 genovese all'interno della caserma di Bolzaneto. Ha raccontato che, quando insieme ad altre persone scese dal camioncino della polizia, sentì che le forze dell'ordine parlavano di un carabiniere che era stato ucciso dai manifestanti. Una notizia che poi non era risultata vera. «Ma i poliziotti - ha detto in aula - la vissero come tale e per la rabbia si avventarono su di noi e iniziarono a colpirci. Improvvisamente un poliziotto, alto, robusto, con i capelli neri corti prese la mia mano e la divaricò facendomi urlare per il dolore e poi svenire». Azzolina ha anche raccontato di aver rivisto dopo dieci giorni lo stesso poliziotto nei pressi dell'ospedale San Martino dove si era recato per far controllare la ferita. «Al semaforo di corso Europa, all'altezza del pronto soccorso - ha spiegato - c' era un'ambulanza della Croce verde di Quinto. Il mio sguardo si era incrociato casualmente con l'autista e ho riconosciuto in lui il mio aggressore». Azzolina ha quindi raccontato di aver seguito l'ambulanza che procedeva verso l'ospedale, di aver avvicinato l'autista, di aver alzanto la mano ferita e di avergli detto: «non ti ricordi di me?». Lui rispose di no. Alla domanda del pm Vittorio Ranieri Miniati se, quando si trovava in infermeria, qualcuno gli avesse chiesto come si era fatto male alla mano, Azzolina ha risposto: «Ero terrorizzato e temevo altre ripercussioni, quindi preferii dire che ero caduto dalle scale».
Azzolina ha inoltre dichiarato che non riesce più a svolgere il suo lavoro di artigiano perché la mano gli trema ancora oggi.



El. V.
31/01/2006

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Drammatica testimonianza al processo per le violenze del G8: "Dicevano che non saremmo usciti vivi da lì perché era morto un loro collega"
"Il mio calvario con la mano straziata" alla sbarra sfila l´orrore di Bolzaneto

"Botte, violenze, umiliazioni, poi un poliziotto ‘gentile´ mi fece uscire. Mi chiesero cosa avevo fatto alle dita, ma io dissi che ero caduto. Avevo paura"
MASSIMO CALANDRI


LA DRAMMATICA testimonianza di Giuseppe A., artigiano genovese cui un poliziotto strappò letteralmente la mano all´arrivo nella caserma di Bolzaneto, si è chiusa ieri con un ricordo così surreale da lasciare a bocca aperta tutte le persone presenti in aula, compresi i difensori degli imputati. Dopo aver raccontato le violenze fisiche e psicologiche subite - la mano divaricata fino a lacerare la carne e i tendini, i pugni, i calci, gli insulti, le umiliazioni - , l´uomo ha spiegato che sei-sette ore dopo il suo trasferimento nel Centro di detenzione temporanea arrivò un poliziotto dai modi gentili che chiese a voce alta: «Ma cosa ce lo avete portato a fare qui, questo?». Giuseppe A. fu in pratica costretto a sottoscrivere una dichiarazione sulla quale non compariva il suo nome. «E quello gentile mi accompagnò fuori. Potevano essere le due di notte. "Ma a me mancano degli oggetti", gli dissi. Un giubbotto, un orologio, un marsupio con alcune cose personali. "Con tutta questa confusione, come facciamo?", mi rispose. Mi ritrovai fuori della caserma. Era buio, ero solo, tremavo di paura». Conclusione perfetta per una giornata in cui le regole della democrazia furono costantemente calpestate da soggetti che dovevano invece farle rispettare, e che il giorno dopo avrebbero fatto anche di peggio. Giuseppe A. era uno delle centinaia di no-global che, fermati sulla strada durante il vertice di quattro anni fa, finirono nella famigerata caserma di Bolzaneto. Rispondendo alle domande dei pm Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati, ha rievocato quel venerdì 20 luglio 2001. A partire dall´arrivo nella struttura, che sulla carta doveva ospitarli solo per il tempo necessario all´identificazione e a una prima visita medica. Sceso dal cellulare della polizia, costretto a sedersi su di un muretto, sentì che alcuni agenti parlavano della fantomatica morte di un carabiniere: «A quel punto si sono avventati contro di noi. Improvvisamente un poliziotto, piuttosto alto, robusto, con i capelli neri corti e gli occhi scuri, ha preso la mia mano e l´ha divaricata facendomi urlare per il dolore». Suturato più tardi senza anestesia, Giuseppe A. ha poi detto di aver rivisto quell´agente dieci giorni più tardi. «Stavo uscendo dal San Martino, dov´ero stato a farmi medicare la ferita. Al semaforo di corso Europa, proprio davanti all´ospedale, un´ambulanza ferma. Al volante c´era lui, quello che mi aveva strappato la mano». Il teste ha raccontato che l´ambulanza si diresse verso il nosocomio. Lui tornò indietro, si avvicinò all´autista alzando la mano ferita e dicendogli: «Non ti ricordi di me?». Quello rispose di no. Successivamente Giuseppe lo rivide a bordo di una vettura dell´ufficio «volanti», dove il poliziotto - oggi imputato - presta regolarmente servizio. «In caserma, a Bolzaneto, quando mi chiesero cosa era successo alla mano, dissi che ero caduto dalle scale. Avevo paura». Gli suturarono la ferita con quattro-cinque punti, non ricorda. Niente anestesia. «Mi fecero mordere uno straccio, minacciandomi di non lamentarmi perché sarebbe stato peggio». Poi in piedi, a braccia alzate. I calci, i pugni. Il rumore di schiaffi, le urla di dolore che provenivano dalle altre celle. Gli sgambetti, le umiliazioni quando chiese di andare in bagno. Fino all´arrivo di quell´uomo gentile, che coincise con il surreale rilascio.
Prima di lui era stato ascoltato Carlo Arculeo, assistito dall´avvocato Roberto Lamma che lo difende in un altro processo del G8, quello per le devastazioni e il saccheggio della città, in cui Arculeo - qui vittima e costituitosi parte civile - è invece imputato. Un altro testimone ancora, Giorgio S., bancario quarantenne, fu fermato nel pronto soccorso del San Martino: gli stavano medicando un braccio, spezzato da una manganellata. Era arrivato a Bolzaneto con Giuseppe A.: «Presi botte da tutte le parti, in particolare calci alle gambe. Mi ordinavano di tenere la testa bassa, quando provai ad alzarla mi sputarono in faccia. Con la coda dell´occhio vidi qualcuno che divaricava la mano di Giuseppe, lui che urlava. Era un poliziotto giovane, con i capelli corti e scuri. Dicevano che non saremmo usciti vivi di lì perché avevamo ammazzato un loro collega».



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