[NuovoLab] La memoria corta e la COCA COLA

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Author: ugo
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To: forum sociale di genova
Subject: [NuovoLab] La memoria corta e la COCA COLA
COCA COLA
E la chiamano scintilla della vita
«A quel punto, non ci fu più sindacato né della Coca Cola, né di nessun'altra
fabbrica. Era prevalsa la soluzione più radicale, finale. La fine del sindacato
della Coca Cola era costata 8 dirigenti morti, due scomparsi e sei feriti...
In Guatemala, ora che dicono sia tornata la democrazia, quei delitti sono
ancora impuniti. In compenso si continua a bere la famosa bibita»
La bevanda americana sponsorizza le Olimpiadi, anche a Torino. Forse è il
caso di ricordare qualche vecchia vicenda che la riguarda: per esempio, nel
1976 in Guatemala...
DANTE LIANO*
Tutto iniziò con una stoltezza. Ciò che venne dopo, gli scambi di persona,
i coltelli, le armi, i 27 morti, la rabbia, il terrore, i funerali e le vendette,
tutto derivò da quella stupidità. L'insensatezza è pericolosa perché, se
si insiste, diventa malvagità. Questa è una storia lunga e scabrosa e va
raccontata sin dall'inizio, quando nessuno avrebbe pensato che si sarebbe
arrivati a tanto, per finire poi in nulla o addirittura in oblio.

La stupidità fu quella di John C. Trotter, titolare della concessione della
Coca Cola in Guatemala. Chi volesse capire cos'è una multinazionale, dovrebbe
provare a fare la pubblicità per una compagnia come la Coca Cola in un piccolo
paese del Terzo mondo. Il famoso logo della bibita gasata ha un colore rosso
acceso: se un giornale pubblica un inserto con quel logo e il colore non
è esattamente quello voluto dalla prestigiosa compagnia nordamericana, non
viene pagato, perché il marchio deve essere quel rosso e non uno simile.
Ma queste sono sciocchezze in confronto a quello che stiamo per raccontare.

I lavoratori della Coca Cola in Guatemala non avevano un sindacato e Trotter
odiava quel tipo di organizzazioni, perché gli sembravano retaggio del comunismo,
dottrina che il padrone odiava con tutta la sua anima. Ma una sua idea fece
nascere il sindacato e in questa vicenda si può constatare come un'azione
capziosa può rivoltarsi contro il furbo che la propone.



Troppa anzianità

Il signor Trotter riteneva che ormai i suoi dipendenti avessero accumulato
troppa anzianità e che, in caso di licenziamento, avrebbero avuto diritto
a troppi soldi, quindi decise di licenziare in tronco tutti i suoi dipendenti
e il giorno dopo li riassunse. Con questa mossa, quella volpe di Trotter
aveva azzerato l'anzianità di tutti. Ma commise l'errore di non prendere
in considerazione il fatto che la sopportazione della gente arriva fino a
un certo punto. Il conflitto infatti esplode spesso per motivazioni banali.
I lavoratori avevano deciso infatti di formare un sindacato e di proporre
alla multinazionale un negoziato: «Un negoziato? Ma cosa si credono questi
analfabeti?», reagì Trotter, e li mandò tutti al diavolo. Il tira e molla
fra padrone e operai durò due anni; alla fine, nel 1976, la fabbrica venne
occupata e i titolari decisero di chiamare la polizia che intervenne con
decisione: quattordici operai finirono in ospedale e dodici in galera. Era
solo l'inizio. Questi atti di resistenza finivano sempre con un episodio
violento. Sembravano fatti isolati, sporadici, e invece erano legati l'uno
all'altro, in una catena che sarebbe stata senza fine.

Gli autisti, i facchini, i venditori ambulanti non mollarono e a quel punto
i dirigenti della Coca Cola decisero di passare alle maniere forti e di rivolgersi
direttamente al capo della polizia, il colonnello Germán Chupina Barahona,
famoso per cinismo e crudeltà. Alcuni membri delle forze di sicurezza dello
stato furono allora nominati capo del personale, capo magazziniere e capo
controllo della fabbrica, trasformando l'industria in una grande caserma.
I lavoratori si spaventarono, ma insistettero ugualmente nelle loro rivendicazioni.
D'altro canto, cosa potevano fare, se non ribadire di avere ragione?

Fu così che si giunse al primo attentato. Il 10 febbraio 1977, due membri
del sindacato, Àngel Villegas e Oscar Sarti vennero colpiti da una sventagliata
di mitra mentre andavano verso la fabbrica. Salvarono la pelle, ma rimasero
feriti. Pochi giorni dopo, il 2 marzo, i consulenti giuridici del sindacato,
Gloria de la Vega e Enrique Torres, furono feriti in un secondo attentato.
Dopo l'avvertimento decisero di rifugiarsi in esilio.

La schizofrenia della situazione era notevole: mentre all'interno della fabbrica
si minacciava, si sparava, si viveva nel terrore, all'esterno la Coca Cola
ostentava un'immagine idilliaca, continuando a vendere e a pubblicizzare
il prodotto come se fosse altra cosa e non la causa scatenante del conflitto.
Nella pubblicità bellissimi ragazzi di tutto il mondo cantavano motivi orecchiabili
(«We are the world...»), basi musicali degli slogan felici della bibita gassata:
«La chispa de la vida» («la scintilla della vita»). E come si poteva bere
un buon Cuba Libre senza Coca Cola?

Nel febbraio del 1978 si arrivò alla firma del patto collettivo, ma questa
vittoria apparente si tramutò, in realtà, in una sconfitta.

Il terzo attentato infatti fu mortale: il 12 dicembre 1978 Pedro Quevedo,
il primo segretario del sindacato, venne assassinato. Ignoti armati lo uccisero
mentre, nella cabina del suo camion distributore di bibite, attendeva un
altro collega per scaricare la merce. Era un chiaro segnale, ma ci fu un
coraggioso che accettò di succedere nell'incarico a Quevedo.

Si chiamava Israel Márquez e dimostrò di avere più vite di un gatto: scampò
senza un graffio ad una prima imboscata e dovette vivere in semiclandestinità,
perché gli squadroni della morte lo braccavano per farlo fuori. Dormiva ogni
sera in case diverse e in un secondo attentato un altro compagno, di nome
Moscoso, morì al suo posto. La moglie, Gladys Castillo, rimase gravemente
ferita e a quel punto, poiché degli innocenti incominciavano a pagare per
lui, Márquez decise di andare in esilio. Gli successe Manuel López Balam.

Il sesto attentato (Márquez ne aveva subiti due) fu messo in atto il 5 aprile
1979. Come Márquez e Quevedo, López Balam era l'autista di un camion. Fu
sgozzato sul posto di guida e al suo corpo furono inferte 17 coltellate.
A quel punto era chiaro che essere segretario del sindacato della Coca Cola
significava automaticamente diventare un uomo morto. Ma ci sono momenti in
cui, quando qualcuno viene chiamato a rappresentare gli altri, anche se ciò
può costare la vita, si sceglie ugualmente di accettare questo rischio, perché
il tirarsi indietro è lontano dalla propria natura. Così Marlon Mendizábal
accettò di essere eletto successore di López Balam.

A quel punto si perse il conto degli attentati: il 1ý maggio 1980, furono
sequestrati Ricardo García e Arnulfo Gómez. Il cadavere di Ricardo apparve
poco dopo a 100 chilometri dalla capitale orrendamente mutilato insieme a
quello di Arnulfo, trovato non molto lontano dal suo amico. Nello stesso
mese, uguale sorte toccò a René Reyes, un altro sindacalista. Il terrore
ormai incombeva sui lavoratori della fabbrica.



45 pallottole in corpo

L'attentato contro Marlon Mendizábal, il nuovo segretario del sindacato,
fu solo uno dei tanti: il 27 maggio 1980 Mendizábal uscì dal lavoro per prendere
l'autobus quando una raffica di mitra lo crivellò sul marciapiede con 45
pallottole in corpo. Fu eletto suo successore Mercedes Gómez. Naturalmente,
anche lui aveva i giorni contati, ma si salvò per un banale scambio di cappelli.
Gómez, infatti, aveva regalato il suo a un amico, Edgar Aldana, che fu catturato,
torturato e ucciso al suo posto. Uno scambio di sombreri lo aveva risparmiato.

Quel giorno crudele era un sabato. Quando vennero a sapere del rapimento
di Aldana, i dirigenti sindacali a livello nazionale decisero di riunirsi
nel pomeriggio. Quello che stava succedendo alla Coca Cola era troppo, anche
se, va ricordato, il resto del paese non se la stava passando meglio. Quel
27 maggio `80 si riunirono i 27 membri della Confederazione nazionale del
lavoro per discutere il caso: furono sequestrati tutti, torturati e uccisi.

A quel punto, non ci fu più sindacato né della Coca Cola, né di nessun'altra
fabbrica. Era prevalsa la soluzione più radicale, la soluzione finale. La
fine del sindacato della Coca Cola, senza contare i 27 leader nazionali,
era costata 8 dirigenti morti, due scomparsi e sei feriti, anche se bisogna
ricordare anche che i guerriglieri delle Far avevano ucciso per vendetta
il capo del personale e un militare in pensione di nome Francisco Javier
Rodas.

Nel frattempo in Guatemala, ora che dicono sia tornata la democrazia, questi
delitti sono ancora impuniti. In compenso si continua a bere la famosa bibita,
la cui formula è conservata nel più rigoroso segreto. Si dice che la Coca
Cola sia capace di sciogliere una monetina se la si immerge per una notte
in un bicchiere di questa bibita, oppure che contenga qualche misteriosa
droga. Certo fa dei bellissimi spot pubblicitari, con l'accattivante slogan:
«La scintilla della vita!». Come ironia macabra non c'è male.



* Questa testimonianza di Dante Liano, guatemalteco, docente di letteratura
ispanoamericana all'Università Cattolica di Milano, è stata pubblicata tre
anni fa nel numero 81 di Latinoamerica che, considerate le recenti polemiche
e la smemoratezza di tanta gente, la ripubblicherà nel numero 93 che uscirà
alla fine di gennaio

da il manifesto del 25 01 2006

Ugo Beiso