La nostra Africa
Anna Pizzo e Pierluigi Sullo
Immaginate un paese che le classifiche Onu piazzano al quart'ultimo
posto, quanto a "sviluppo umano", il Mali. E immaginate che qui ci
si metta in testa di organizzare un Forum sociale mondiale
("policentrico", perché subito dopo si terrà quello di Caracas),
impegnandosi ad ospitare tra le diecimila (registrati fino a giovedì
mattina) e le trentamila persone (previsione realistica del numero
finale di partecipanti), sollecitando le famiglie di Bamako ad
invitare a casa loro, com'è accaduto, almeno diecimila persone; a
trovare i luoghi per le centinaia di incontri e seminari che il
lungo programma ufficiale elenca; insomma, cercando di combattere la
battaglia, apparentemente persa in partenza, per la "visibilità" di
un continente scomparso, l'Africa, per stringere i legami tra le
lotte innumerevoli, di contadini e pescatori, di gente povera delle
città, per portare al movimento globale contro il liberismo il
contributo africano, dopo Porto Alegre, l'India di Mumbai e
l'Europa.
Vi pare poco? Ci riusciranno, i nostri ospiti africani? Beh, dicono
loro, dipende anche da voi. Dai giornalisti, dal centinaio di
italiani che sono accorsi, e dai moltissimi europei e dai due
ragazzi biondissimi che ci hanno chiesto dove si sarebbe tenuta la
manifestazione di apertura, e quando gli abbiamo chiesto da dove
venissero, hanno risposto: "From Iceland". Vedremo nei prossimi
giorni. Certo è che il panorama umano è fantastico, e rischia di
diventare esotico: i colori degli abiti e i modi di tanti africani
tutti insieme ci affascinano, compresa la lentezza, l'apparente
disorganizzazione che trova sempre il suo punto di soluzione, la
scoperta che contano non solo i ruoli rispettivi, ma soprattutto le
provenienze e l'essere parte, anche in modo indiretto, delle grandi
famiglie imparentate con altre grandi famiglie, in un intrico che
sembra coivolgere tutta la popolazione, per qualche ragione di
vicinanza ai nostrti occhi aridi inutile e fatua.
Sono solo impressioni, il Forum non è in effetti ancora cominciato.
Ma si intuisce che lo spirito "orizzontale" del Forum sociale
mondiale sta germinando rapidamente anche nel paese dei poveri più
poveri, che, come già accadde in India, si scrollano finalmente di
dosso il colonialismo di ogni tipo e però, come tengono a ribadire
gli organizzatori, "siamo qui per dimostrare di saper fare
proposrte, costruire senza violenza". Né, bisogna dire, attitudine
verso i "bianchi" che non sia la simpatia e l'eguaglianza.
Questo potrebbe essere, il primo Forum africano. Una buona medicina
per i tentativi ripetuti di far diventare il processo dei Forum
qualcosa di più "politico": Ignacio Ramonet ha detto alla conferenza
commemorativa di Bqndung (i Non Allineati) che è ora che il
movimento globale esca dalle vaghezze e si metta a far politica. È
la stessa linea del "Manifesto di Porto Alegre", ispirarto da Le
Monde diplomatique (e da Hugo Chavez), che, presentato lo scorso
anno al Forum, fu un enorme buco nell'acqua. Ma che ora si
ripresenta, forse nella forma di "Manifesto di Bamako", scritto
prima e fuori del Forum da Samir Amin e Francois Houtart, e
destinato a essere presentato a Caracas, come contributo africano
all'antimperialismo governativo del governo del Venezuela. Cinque
anni dopo, il Forum sociale mondiale è a un bivio: diventare un
movimento politico legato ai governi di sinistra o promuovere la sua
funzione di rete sociale globale.