----- Messaggio inoltrato da Edoardo Magnone <magnone@???> -----
Data: Wed, 18 Jan 2006 01:06:59 +0100
Da: Edoardo Magnone <magnone@???>
Rispondi-A: Edoardo Magnone <magnone@???>
Oggetto: Patrizia, perdonami. Non ho fermato gli assassini di tuo figlio.
A: veritagiustiziagenova@???
l'INCONTRO TELEFONICO TRA HAIDI GIULIANI E PATRIZIA MORETTI, MAMMA DI FEDERICO è
ora scaricabile dal sito di
http://www.radiondadurto.org/
(Durata: 29'.22''), mentre la lettera di riferimento è in
http://www.liberazione.it/giornale/060117/default.asp
Edoardo Magnone
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http://www.radiondadurto.org/
19.19 - 17 Gennaio Dopo la lettera pubblicata oggi da Liberazione firmata da
Haidi Giuliani e indirizzata a Patrizia, madre di Federico Aldrovandi, questo
pomeriggio radio onda d'urto le ha messe in contatto telefonico e Haidi ha
spiegato il perche' della lettera. Ne e' emersa una conversazione molto intensa
tra due mamme che hanno perso un figlio in circostanze diverse, ma dove in
entrambi i casi sono coinvolti polizia e carabinieri. Si è parlato anche di
impunità dei componenti delle cosiddette "forze dell'ordine", origine dei
comportamenti di arroganza e violenza, e di battaglie per la verita' e la
giustizia.
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http://www.liberazione.it/giornale/060117/default.asp
La mamma di Carlo scrive alla madre del ragazzo morto a Ferrara
Patrizia, perdonami. Non ho fermato gli assassini di tuo figlio
di Haidi Gaggio Giuliani
Cara Patrizia, ti chiedo perdono. Tu non mi conosci, ma da una settimana io ti
porto nei miei pensieri e nel mio abbraccio. Da quando ho ricevuto i primi
messaggi che parlavano di Federico, vivo con questa angoscia in più. Non so se
avrai la pazienza e la voglia di leggermi. Quando muore un figlio, qualsiasi
figlio in qualsiasi modo, le parole si fanno pesanti come macigni: è faticoso
pronunciarle, è faticoso ascoltarle. Spesso ci ballano in testa lasciandoci
ogni volta più confuse e spossate. Quando è stato ucciso il mio, anch'io sono
rimasta in silenzio, come te: per cercare di capire che cosa era successo,
capire perché e come. Anch'io, come te, non credevo a quanto mi era stato
raccontato: perché conoscevo il mio ragazzo, il suo carattere, il suo modo di
reagire alle situazioni. Come su Federico, anche su Carlo moribondo qualcuno ha
infierito, prendendolo a calci in faccia, spaccandogli la fronte con una
pietrata. Come di Federico, anche di Carlo è stato detto che era un drogato, un
poco di buono, uno senza lavoro, senza casa né famiglia, come se esistesse una
condanna legittima e automatica alla pena di morte per chi lo fosse davvero.
Anche a me è stato impedito per molte, troppe ore, di vedere il suo corpo.
Anch'io, come te, non so chi l'ha ucciso. Anch'io, come te, ho aspettato che
persone competenti, preposte istituzionalmente a questo compito, restituissero
alla sua morte almeno la verità; persone impegnate per legge, così io credevo,
ad assolvere il loro compito fino in fondo. Non è stato facile reprimere il
dolore, schiacciarlo, nasconderlo per recuperare la lucidità necessaria a
rivedere e raccontare migliaia di volte la morte di mio figlio: mi spingevano
la disperazione di non poter fare più nulla per lui, la coscienza di tutti gli
altri figli e figlie per i quali era necessario e urgente fare qualcosa. Le
violenze portate ai manifestanti da parte di interi settori delle forze
dell'ordine, nel marzo napoletano e nel luglio genovese del 2001, e l'uccisione
di Carlo, avevano mostrato, a mio giudizio, diversi livelli di volontà
repressiva: uno internazionale, che si manifesterà dopo l'11 Settembre e il
Patriot Act; uno nazionale, dichiarato dal Governo di centrodestra, deciso a
"mostrare i muscoli" nei confronti di ogni forma di dissenso; e uno
individuale, covato in molti anni di distratta democrazia all'interno di
caserme, questure, corpi di Stato, luoghi di detenzione.
Il capo della Polizia De Gennaro, nominato dal governo di centrosinistra, è
stato promosso sul campo (quello genovese, probabilmente grazie all'operazione
Diaz, come ha già osservato qualcuno) dal governo di centrodestra e ha
confermato i propri indiscussi poteri di uomo al di sopra di ogni sospetto.
Mentre le televisioni pubbliche e private continuano a sfornare commoventi
telefilm su marescialli integerrimi, eroici commissari ed umili agenti votati
alla missione in difesa del Cittadino, ragazzi dei centri sociali, migranti,
tossicodipendenti, continuano a raccontare (quando ne hanno il coraggio) di
minacce, soprusi, violenze subite; di busti mussoliniani e gagliardetti
(abbiamo visto qualcosa di simile anche nella sala di comando dei Carabinieri,
a Nassirya); di canzoncine e saluti fascisti. Nessuno intende fare di ogni erba
un fascio, naturalmente, ma negare la realtà è pericoloso, pericoloso difendere
a priori l'operato delle forze dell'ordine (come a Genova così a Napoli, a
Milano, a Torino, a VenausÉ ma la lista è più lunga); pericoloso assicurare
l'impunità a qualsiasi divisa; voler chiudere gli occhi, le orecchie, la bocca,
anche all'opinione pubblica; pericoloso manipolare l'informazione. Per la prima
volta, dopo la morte di Federico, abbiamo sentito parlare di mele marce, solo
per essere subito rassicurati che erano già state allontanate.
Non ho smesso un momento, negli ultimi quattro anni, di richiamare l'attenzione
di tutte le persone che incontravo sul problema dell'immunità di agenti che si
trovano in ogni situazione "dalla parte del manganello", armati. A lungo
andare, chi si rende conto che non sarà mai chiamato a rispondere delle proprie
azioni, assume l'atteggiamento arrogante che troppo spesso (e neanche in tutti i
casi) abbiamo potuto e dovuto constatare; finisce per sentirsi onnipotente,
soprattutto nei confronti di individui isolati, deboli o emarginati. A volte è
sufficiente una parola irriverente, un gesto, per scatenare la reazione
"punitiva" da parte di agenti che intendono il proprio ruolo in modo così
distorto. I manganellatori di Genova mi hanno spesso ricordato il militare che
ha ucciso Francesco Lorusso, nel '77 a Bologna. Ad un giornalista che gli
chiedeva perché avesse sparato agli studenti: «Te lo posso dire - ha risposto -
tanto so che non mi faranno niente: ridevano di noi».
Non ho smesso un momento: sono stati quattro anni di raccolta e diffusione di
notizie, di interventi, di appelli. Il comitato Verità e Giustizia, insieme al
comitato Piazza Carlo Giuliani e all'Arci, hanno raccolto più di diecimila
firme in calce a una petizione che chiedeva, oltre ad un'inchiesta parlamentare
sui fatti di Genova, di istituire un costante aggiornamento professionale
indirizzato ad una formazione non violenta delle forze di polizia. Con le
Reti-invisibili - che faticosamente raccolgono la memoria di tante morti "di
piazza", e di stragi, rimaste senza responsabili - è stato recentemente rivolto
un appello analogo all'Unione. Quattro anni di lavoro, ma non è bastato:
altrimenti, forse, Federico sarebbe ancora vivo.
Per questo ti chiedo perdono.
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