Autore: Rosario Gallipoli Data: To: forumlecce Oggetto: [Lecce-sf] Fw: [antiamericanisti] Resistenza e americani
Prima che qualcuno si indigni perché posto un pezzo di Blondet: Blondet si limita a riassumere un articolo di Tom Hayden apparso su The Nation, che dice alcune cose interessanti.
Miguel Martinez
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Iraq: gli insorti aiutano gli USA (ad andarsene)
di Maurizio Blondet [16/01/2006]
Fonte:effedieffe.com
All'inizio dell'invasione americana in Irak George Lindsey, consigliere economico di Bush, previde ufficialmente che la guerra sarebbe costata sui 200 miliardi di dollari. Fu licenziato in tronco: Rumsfeld giurava di poter fare la guerra con 60 miliardi, Wolfowitz diceva che l'occupazione «si sarebbe pagata da sé» con lo sfruttamento del petrolio iracheno.
Ora, con i costi che veleggiano (secondo un recente rapporto di Joseph Stiglitz, Nobel per l'economia) verso i 1000 miliardi e anche più - se si tengono in conto i costi indiretti, fra cui il rincaro del greggio - gli Usa stanno esplorando i modi di una exit strategy.
Da settimane sono in corso consultazioni discrete, in Giordania, con esponenti della resistenza irachena sunnita.
Tom Hayden, ottimo giornalista esperto di cose militari che scrive per The Nation (1), ha parlato con uno di questi esponenti ad Amman, arrivato da Baghdad per dei colloqui.
Co! stui (di cui Hayden non fa' il nome; dice solo che è un quarantenne «intimamente vicino agli insorti» ed «è noto e stimato da molti giornalisti americani») gli ha detto in sostanza: la guerriglia è disposta ad agevolare una ritirata onorevole delle truppe Usa, e a riconoscere «gli interessi degli Stati Uniti in quanto superpotenza».
L'anonimo iracheno ha parlato della necessità urgente che gli americani «capiscano la resistenza irachena».
Il fatto è che i comandi Usa accusano gli insorti di «usare cinicamente il processo elettorale» (le votazioni del 15 dicembre, a cui la componente sunnita ha partecipato) con la strategia - maoista - di «parlamentare e combattere».
La stessa accusa, ha ritorto l'emissario, può essere rigettata sugli americani: che combattono a terra e bombardano dal cielo mentre tentano di cooptare gli insorti locali in una sorta di alleanza contro ì jihadisti tipo Al Zarkawi.
Il centro del pro! blema sta nella domanda degli insorti che gli Usa traccino un ! ruolino di marcia per il ritiro. Se gli Usa decidono di andarsene anche in segreto, ha detto la fonte, possiamo organizzare una dipartita «con fiori e tappeti rossi». Altrimenti, continueremo la resistenza in risposta all'occupazione.
Gli «interessi in quanto superpotenza» degli Usa sarebbero riconosciuti nella forma di «accesso al petrolio» (oggi la resistenza, a forza di sabotaggi, ha ridotto la produzione a 1,i milioni di barili al giorno, contro i 2,6 dei tempi dell'embargo anti-Saddam); i guerriglieri si impegnano a evitare «l'umiliazione» delle truppe Usa sul terreno.
Benché la resistenza sia decentrata e locale, sembra in grado di giungere a un consenso politico se necessario, come dimostrato da diverse tregue per consentire il voto. L'emissario ha persino delineato una cornice per porre fine gradualmente al conflitto.
Essa è basata sui seguenti punti:
- Inclusione immediata di più voci dell'opposizione nell'attual! e dibattito su come riformare la costituzione. Gruppi di clerici islamici sono stati indicati, che possono rappresentare politicamente le esigenze della resistenza.
- Colloqui anche diretti con certi capi della resistenza, fuori dal paese, se i problemi di sicurezza possono essere superati.
- Gli Usa annuncino un calendario per il ritiro nei termini indicati dalla riunione della Lega Araba (al Cairo nel novembre scorso), la quale ha anche riconosciuto la legittimità della resistenza nazionale, di contro alla guerra jihadista.
- Un governo di transizione che comprenda, oltre ai curdi e agli sciiti che ora controllano il regime iracheno collaborazionista, anche rappresentanti dell'opposizione.
- Un calendario per «libere e democratiche» elezioni del parlamento.
- Una forza di mantenimento della pace sotto l'egida dell'Onu, composta di truppe non implicate nell'occupazione, Francia, Germania, Svizzera, Austria, Indonesia, Egitto, Alger! ia, Sudan, Yemen e Marocco.
- Rilancio della ricostruz! ione economica, compresi contratti con compagnie americane.
- La rimozione di Saddam e dei dirigenti baatisti non deve comportare la distruzione dello stato nazionale iracheno.
L'emissario ha parlato anche dell'arruolamento dei soldati e ufficiali dell'armata irachena, necessario per controbilanciare la composizione (peshmerga kurdi e sciiti della milizia Badr) dell'attuale esercito collaborazionista.
Se questa agenda è accettata, ha assicurato l'emissario, «il gruppo di Zarkawi s'indebolirà e sparirà, e se no, lo facciamo finire in sei mesi».
Le stesse vedute sono state echeggiate da un'altissima personalità giordana intervistata da Hayden: il principe Hassan bin Talal, fratello del defunto re Hussein, oggi presidente del Club di Roma (longa manus della Massoneria britannica, ndr).
Il principe hascemita ha detto che «è ora di cambiare rotta» impegnandosi «in un tenace processo di dialogo e negoziato che trasformi la retorica del Cairo in realtà».
A fianco del principe Hassan, Hayden ha trovato suo figlio, il principe Rashid, che gli ha posto una domanda lucidissima: «Gli S! tati Uniti vogliono davvero un governo rappresentativo 'democratico' a Baghdad, che sarebbe inevitabilmente più anti-americano? O un regime amico, semi-figurante?». Perché, gli hanno spiegato i due hascemiti, gli Usa hanno scatenato, lo sappiano o no, un conflitto settario che finirà per spaccare l'Irak in tre o più staterelli. Ciò è nei progetti di Israele, ma è nell'interesse degli Usa? Tanto più che gli statarelli risultanti sarebbero sotto l'influenza dell'Iran.
Anche l'emissario ha posto la stessa domanda: lo smembramento dell'Irak è una politica deliberata o un accidente basato sull'ignoranza della situazione?
In ogni caso, ha fatto capire il personaggio, non sperino gli americani sul fatto che i sunniti sono minoranza in Irak: la Lega Araba intera, massicciamente sunnita, non lascerà con le mani in mano che gli sciiti prendano il potere in Irak. E l'80 per cento degli iracheni vogliono gli americani fuori dai piedi.
Il principe Hassan ha esortato tramite Hayden gli americani a cogliere l'occasione di una sistemazione senza sconfitta «che garantisce insieme il petrolio all'Occidente e una vera rappresentanza sunnita nel governo iracheno».
Più maturi e lucidi degli strateghi del Pentagono e dei guerrieri neocon, questi arabi.
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Note
1) Tom Hayden, «Pacifying Iraq: insurgent scenarios», The Nation, 10 gennaio 2006.