14 GENNAIO
L'ingombro degli anni Settanta
IDA DOMINIJANNI
E' una diga: lunga, grande, possente, e per lo più
- ironia della sorte, dato lo slogan su cui s'è
organizzata - silenziosa. Serve a dire: da qui non
si passa. Non passa né Ratzinger né Ruini, non
passano i teocon e non passano i moderati, non
passa nessun politico, nessun segretario di
partito credente in pubblico o in privato, nessuna
militante della vita con la faccia dolce e il
caschetto perbene come quelle che vanno a parlare
dell'embrione in tv. Il corteo di Milano manda
forte questo messaggio, che peraltro tutti
conoscono, anche quelli che fingono di
prescinderne: la 194 non si può toccare, perché
l'autodeterminazione sull'aborto è la linea
invalicabile della resistenza femminile. E si
porta appresso una catena associativa che riguarda
la responsabilità sulla maternità, la sessualità,
i rapporti con l'altro sesso, la sovranità sul
proprio corpo. Se di tutto questo si sente parlare
meno, o solo meno rumorosamente di trent'anni fa,
non è perché ci sia calata sopra una coltre di
colpevole silenzio femminile ma solo perché tutto
questo è acquisito, sedimentato e trasmesso. A
fare diga sulla 194 e su tutta la catena
associativa suddetta c'è comunque la generazione
degli anni settanta, le femministe e quelle che
dal femminismo sono state variamente investite,
nei partiti, nei sindacati, nei consultori, nella
vita, e molti uomini, i quali a differenza di
trent'anni fa non guardano dagli spalti ma sfilano
dentro, muti ovviamente, come se in poco meno di
un secolo si fosse ribaltata la situazione che
muoveva l'ammonimento di Virginia Woolf a non
farci annettere, noi donne, nel corteo degli
uomini colti. Sono perlopiù citazioni dagli anni
settanta anche gli slogan - pochi - e le scritte,
salvo quelli riservati a Ruini e dintorni che
negli anni settanta non c'era; e bisogna aspettare
l'ultimo tratto del serpentone, più colorato e più
sonorizzato, per vedere il salto di generazione,
le giovani e i giovani, che citano anche loro
parecchio dagli anni settanta, come se
l'essenziale fosse stato già detto allora e ci
fosse poco da aggiungere o da aggiornare alla
parola delle madri che tengono la testa del
corteo. Certo il corteo avrebbe avuto un'altra
faccia, se l'ultimo tratto fosse stato invece il
primo, ma non è così e non può essere per caso.
Sarà perché è sempre lì, agli anni settanta e alla
generazione degli anni settanta, che bisogna
tornare quando il contesto sembra regredire
piuttosto ai cinquanta o a chissà quando e sul
piatto c'è la difesa e il rilancio della libertà
allora guadagnata. Il decennio maledetto torna a
galla in questi casi come il rimosso della
transizione italiana, tanto malignamente negletto
nel discorso politico quanto benignamente
infiltrato nella memoria sociale. E c'è di che
essere soddisfatte, se quella memoria torna al
presente con la potenza di una diga. Che come
tutte le dighe però molto argina, e qualcosa
blocca. E come una grande potenza materna, tutto
comprende, molto autorizza, e qualcosa lascia in
ombra. La parola e la scommessa sul presente di
chi è venuta o è venuto dopo, e non può che
trovarle a partire da sé.