secolo xix
Sette genovesi in Palestina
LA SPEDIZIONE Anche la costruzione di un media center e di una radio a Betlemme tra i progetti portati avanti
I ragazzi del laboratorio sociale Buridda a Tulkarem per le elezioni
Quando chiedi loro «Perché?» tutti e sette rispondono: «Per esserci ». Loro sono Andrea, Enrico, Francesca, Valeria, Gabrio, Guido e Michele, sette giovani genovesi che a sommare le loro età fanno 23, di media; sette "buriddini", con un biglietto aereo in mano. Direzione: Palestina, nei giorni che abbracciano le elezioni legislative del 25 gennaio.
Partenza dall'Italia il 21, ritorno il 29: nel mezzo, una settimana da osservatori delle votazioni e la volontà di dare il proprio contributo a una serie di progetti già avviati con la popolazione da altre associazioni, come Kufia, fra cui la costruzione di un media center e di una radio presso il centro Itip di Betlemme.
Sono parte del Buridda, il laboratorio sociale autogestito di via Bertani, nella ex Facoltà di Economia e di altri centri sociali della città (come il Tdn- Terra di Nessuno), i sette: ma quando parlano di quel che li ha spinti a partire, nessuno alza i toni su politica e ideologie.
«Già lo scorso anno, in occasione delle elezioni per la presidenza dell'Autorità nazionale palestinese, Action for Peace aveva risposto all'appello del popolo palestinese per aiutarlo a godere pienamente del diritto di votare, mobilitando centinaia di volontari. Noi partiamo in questa ottica: non per andare a fare gli eroi, ma per riuscire a dare il nostro contributo affinché le votazioni si svolgano il più regolarmente possibile».
Alcuni di loro sono già stati in Palestina. Come Andrea Iori, 25 anni e Gabrio Taccani, studente universitario di 21 anni. Per loro, tornare significa continuare a tessere il filo dei rapporti con i palestinesi e portare avanti i progetti sulla non violenza, soprattutto rivolti ai bambini, a cui il Laboratorio sociale Buridda aderisce e contribuisce. Avere già visto e vissuto una prima esperienza, fa tornare con più o meno paura? «Due anni fa la situazione era difficile: oggi, siamo nell'instabilità più totale - spiega Iori - ma non si può pensare al timore e ai rischi. Nel 2004 siamo stati ospitati dai palestinesi, abbiamo subito di prima persona l'impotenza davanti a un bulldozer che in un attimo distrugge la casa di una famiglia, lasciandola nella disperazione. Abbiamo rischiato la morte: nonostante tutto, davanti ai fucili che avevano puntato addosso a me e ad altri ragazzi, mentre sventolavo il passaporto ho pensato solo una cosa. Di avere perso. Perché quando si cerca di dialogare ma dall'altra parte ci sono i fucili, la partita è chiusa. E a vincerla, ancora una volta, è la violenza».
Il veterano dei sette è Enrico Agostino, 27 anni, da quattro educatore in una cooperativa sociale, due viaggi in Palestina (2002 e 2004) alle spalle, più uno in Kurdistan. «Quest'anno non faremo lo sbaglio di volare con una compagnia israeliana. Nel 2004 ci sequestrano le macchine fotografiche e quanto avevamo portato per documentare i giorni in Palestina. La prossima settimana, il 21, partiremo da Milano fino ad Atene e poi a Tel Aviv e voleremo con una compagnia greca. Una volta arrivati, staremo un paio di giorni in albergo, andremo a Ramallah a ritirare i cartellini che certificano la nostra presenza come osservatori delle elezioni e poi ci sposteremo a Tulkarem, una delle zone più calde, dove verremo ospitati dai palestinesi». Lui, il veterano, doveva fermarsi in Palestina oltre il 29 gennaio per lavorare alla costruzione di un media center e di una radio presso il centro Itip di Betlemme, progetto che l'associazione Kufia onlus, di cui la genovese Paola Ghiglione è presidente, sta portando avanti (per vederlo si può cliccare
www.kufia.ubq.it oppure
www.ecn.org/buridda, link Kufia) tentando, con iniziative come una scuola popolare di musica, di rispondere alle armi con l'arte. «Per lavoro devo tornare in Genova, ma ripartirò: realizzare una radio per i palestinesi e per gli israeliani è fondamentale. La radio supera muri, barriere e confini. Può fare sentire tutti più vicini, nonostante le divisioni».
Poi ci sono gli altri quattro. Quelli della prima volta. Valeria Cavagnetto ha 21 anni ed è una fotografa. Ha deciso di partire anche per mettersi alla prova: «E' la situazione giusta per capire se sono adatta a fare questo mestiere anche in situazioni estreme. Se sì, le mie foto saranno il racconto di quei giorni. Senza filtri». Anche Guido Guidi lo sente come una sorta di "test" per il futuro: venticinquenne, laureato in Scienze internazionali e diplomatiche, ha deciso all'ultimo minuto (due giorni fa) di partire e vede la Palestina come « una tappa fondamentale del mio percorso personale e di formazione. Spero d'essere d'aiuto». Stessa voglia di dare una mano, di vedere, di comprendere (di "esserci") anche per Michele Calloni, 23 anni, studente di Lettere Antiche e Francesca Bertino, al terzo anno di Storia all'università.
«Faremo il possibile affinché la libertà di movimento per raggiungere il seggio non venga impedita ai checkpoint e, ogni giorno, pubblicheremo sul nostro sito internet (
www.ecn.org) foto e report delle giornate. Al nostro ritorno, vogliamo raccontare tutto quello che abbiamo visto e vissuto. Perché in fondo - conclude Enrico Agostino - è questo, ciò che ti chiedono i palestinesi: di aprire gli occhi, guardare bene e, al ritorno, raccontare».
Silvia Pedemonte
15/01/2006
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