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DA LIBERAZIONE 13/1/2005

Il racconto della madre di Federico, il
giovane morto a Ferrara dopo un fermo di polizia

Ditemi chi ha ucciso
mio figlio

di Patrizia Aldovrandi



Scrivo la storia di quel che è
successo a Federico, mio figlio. Non scriverò tutto di lui, non si può
raccontare una vita, anche se di soli 18 anni appena compiuti. é morto
il 25 settembre, il giorno di natale sono stati tre mesi.
Ho sempre
pensato che sopravvivere ad un figlio fosse un dolore insostenibile.
Ora mi rendo conto che in realtà non si sopravvive. Non lo dico in
senso figurato. é proprio così. Una parte di me non ha più respiro. Non
ha più luce, futuro. Perché il respiro, la luce e il futuro sono stati
tolti a lui.

Sabato 24 settembre è stato un giorno sereno, allegro.
Dopo la scuola il pranzo insieme, chiacchiere, risate. Era ancora
estate, faceva caldo. Ha portato a spasso il suo amico cane. Non lo
faceva spesso, ma quel giorno è andato con la musica in cuffia. Tutto
in quel giorno aveva un'aura speciale.

Pensandoci ora è come se
avesse voluto salutare tutti noi. Ha avuto sorrisi per tutti: la gioia
era lui. Ha incontrato la compagnia, ha fatto il suo lavoretto di
consegna pizza. Il programma della sera prevedeva un concerto a
Bologna. Prima di partire è passato da casa per cambiarsi le scarpe,
rotte giocando a pallone. é stata l'ultima volta che l'ho visto vivo.

Ha salutato tutti, compreso il fratello che dormiva già, chiedendomi
perché Stefano non avesse risposto al suo saluto. Anche una sua amica
mi ha confermato che quella sera era sereno, che l'ha salutata
sorridente con la solita pacca sulla spalla e l'appuntamento al giorno
dopo.

Non è mai esistito il giorno dopo. Al Link il concerto era
stato annullato. Quindi la serata è trascorsa lì dentro. L'hanno detto
i compagni che erano con lui, non posso definirli amici, e le analisi
lo hanno confermato. Uno dei ragazzi gli ha venduto una sostanza, una
pasticca o simili. Lo definiscono lo sballo del sabato sera. é
sbagliato sì. Ma non si muore di questo. Federico lo sapeva bene. Era
stato partecipe di un progetto scolastico di ricerca e informazione
promosso dalla provincia.

So che la sua era una conoscenza
approfondita con ricerche sui siti delle asl, conosceva le sostanze e
gli effetti. Ed era a suo modo un igienista. Aveva grande cura del suo
corpo, di quel che mangiava. Era uno sportivo. Una ragazzo splendido
pieno di salute. E di progetti: pensava alla musica, al suo futuro, lo
studio serviva a costruire il futuro. Nell'immediato c'erano le cose
semplici: la patente dopo pochi giorni, il karate, un band musicale da
organizzare con gli amici, e la vita di tutti i giorni cercando di
stare bene.

Trascorsa la serata il gruppo era rientrato a Ferrara,
tornati al punto di incontro dove i più avevano lasciato le macchine o
i motorini. Federico era a piedi. Era partito da casa in macchina con
Michy, che poi non era andato a Bologna. Erano ormai le cinque del
mattino. I ragazzi hanno raccontato che gli hanno offerto un passaggio
ma Federico non aveva voglia di rientrare subito. Sarebbe tornato a
piedi. Era vicino a casa.

Dal suo cellulare si vede che ha chiamato
diversi altri amici. Specialmente i suoi migliori amici, un paio di
volte ciascuno. Forse per chiedergli se erano ancora fuori? sembra che
nessuno gli abbia risposto. I ragazzi che conosco mi hanno detto che
avevano già spento il cellulare per dormire.

Poi non so cosa sia
successo esattamente. A quell'ora mi sono svegliata, forse non del
tutto, chiedendomi se Federico fosse rientrato. Avevo una stanchezza
invincibile non riuscivo a muovermi. Poi ho sentito un rumore nella sua
stanza ed ero sicura che fosse lì? Mi sono risvegliata che erano quasi
le otto. Ho cominciato a chiamarlo e ad inviare messaggi. Nulla. Non
era possibile che non rispondesse. Se tardava mi avvisava sempre.
Diceva che lo stressavo ma non voleva farmi stare in pensiero. Mi
aggrappavo all'idea che avesse solo perso il cellulare.

Poi l'ha
chiamato anche suo padre. Sul cellulare di Federico il padre è
memorizzato col solo nome, Lino. Una voce ha risposto. Ha
imperiosamente chiesto chi fosse al telefono, ed ha chiesto di
descrivere Federico. Poi si è qualificato come agente di polizia, ed
alle nostre domande ha risposto che avevano trovato il cellulare su una
panchina dalle parti dell'ippodromo e che stavano facendo accertamenti.
Ed ha riattaccato.

Immediatamente ho cercato in Questura, e ho
cercato anche ripetutamente un amico che ci lavora. Nulla. Il
centralinista rispondeva: c'è il cambio di turno; Non sono informato,
appena avremo notizie chiameremo noi.

Niente per altre tre ore!!!!
Passate nell'angoscia e nelle telefonate frenetiche agli ospedali, ai
suoi amici e di nuovo ripetutamente alla questura.


Nel frattempo
Stefano è accorso in bicicletta alla ricerca del fratello. Ringrazio il
cielo che non sia andato nel posto giusto. La polizia è venuta ad
avvisarci solo verso le 11, dopo che lo avevano portato via. Il suo
corpo è rimasto sulla strada dalle 6 alle 11. E non mi hanno chiamata.
Era mio figlio. Nessuno ha il diritto di tenere una mamma lontana da
suo figlio! E mi hanno detto che lo hanno fatto per me, perché era
meglio che non vedessi. In quel momento gli ho creduto. La polizia ha
detto che un abitante della zona aveva chiamato perché sentiva delle
urla. Dicevano anche che si era ferito sbattendo da solo la testa
contro i muri. Questo si è rivelato falso. Smentito dalle verifiche.

Federico era sfigurato dalle percosse. Molto tempo dopo ho riavuto i
suoi abiti. Portava maglietta, una felpa col cappuccio e il giubbotto
jeans. Sono completamente imbevuti di sangue. Hanno detto che non
voleva farsi prendere. Che ha lottato ed è salito anche in piedi sulla
macchina della polizia. I medici hanno riferito che aveva lo scroto
schiacciato, una ferita lacero-contusa alla testa e numerosi segni di
percosse in tutto il corpo. Ho potuto vedere solo quella sul viso,
dalla tempia sinistra all'occhio e giù fino allo zigomo, e i segni neri
delle manette ai polsi. L'ho visto nella bara.

Il suo corpo non
sembrava più allineato e simmetrico. Il mio bambino era perfetto, e
stupendo. L'hanno distrutto. E la polizia mi raccontava che era
drogato. Che si era fatto male da solo. Che tutto questo era successo
perché era un povero tossico e noi sfortunati. Lo vogliono uccidere due
volte. Le analisi hanno confermato che quel che aveva preso era
irrilevante. Non certo causa di morte né di comportamenti aggressivi.
Semmai il contrario.

Quel che penso è che Federico fosse terrorizzato
in quel momento. Gli stava crollando il mondo addosso. La vergogna di
essere fermato dalla polizia, la patente allontanata perché aveva preso
una pasticca. E aveva dimenticato la carta di identità. Quella mattina
nel vicinato dicevano che era morto un albanese. Nessuno si preoccupava
più di tanto.

Ha certo cercato di scappare. Di non farsi prendere.
Visto com'era ridotto si capisce come lo abbiano fermato. Quando lo
hanno immobilizzato, ammanettato a pancia in giù non ha più avuto la
forza di respirare. Chissà quando se ne sono accorti. L'ambulanza è
stata chiamata quando ormai non c'era più niente da fare. E nemmeno
allora lo hanno portato all'ospedale per provare un intervento estremo.
Lo hanno lasciato lì sulla strada. Cinque ore. Poi lo hanno portato
all'obitorio. E solo allora sono venuti ad avvisarci.

Perché? Se
fosse vero che dava in escandescenze da solo perché non è stata
chiamata subito l'ambulanza? Perché atterrarlo in modo tanto violento e
cruento? Era solo. Non c'era nessuno. Era disarmato. Non era una
minaccia per nessuno.

Perché aspettare tanto prima di avvisare la
famiglia? Chiaro, per non farcelo vedere. Se lo avessimo visto così
cosa sarebbe successo? Che risonanza avrebbe avuto? Sul giornale del
giorno dopo un articolo che dichiarava che era morto per un malore,
tratto dal mattinale della questura. Il giorno dopo sull'altra testata
cittadina il titolo: "Federico sfigurato".

Immediate controdeduzioni
del procuratore capo: «Non è morto per le percosse». Questa è stata la
prima ammissione di quanto successo. Ad oggi ancora non sono stati
depositati ufficialmente gli esiti degli esami medici. Sono emersi solo
alcuni dettagli che ho citato prima.

Quel che non mi dà pace è il
pensiero del terrore e del dolore che ha vissuto Federico nei suoi
ultimi minuti di vita. Non ha mai fatto male a nessuno. Credeva
nell'amicizia che dava a piene mani. Era un semplice ragazzo come
tanti. Come tutti i ragazzi di quell'età si credeva grande ma dentro
non lo era ancora. Aveva tutte le possibilità di una vita davanti, e
una gran voglia di viverla.




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