[Forumumbri] Inoltra: [RK] Pria di Morir sul fango della vi…

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Szerző: franco
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Tárgy: [Forumumbri] Inoltra: [RK] Pria di Morir sul fango della via....(atto II°) Il banchiere ed il Governatore


inoltro un interessante articolo di sbancor
buon anno
f

…Pria di mori sul fango della via ….(attoII°)



Sbancor


Sarebbe Mario Draghi il favorito numero uno per la corsa alla
successione ad Antonio Fazio alla guida della Banca d'Italia. Secondo
quanto si apprende da ambienti della maggioranza, l'ex direttore
generale del Tesoro e attualmente vicepresidente per l'Europa di
Goldman Sachs, Draghi e' la persona di alto profilo internazionale,
stimata dai mercati finanziari, sulla quale si sarebbe trovato
l'accordo. Tramontata definitivamente l'ipotesi di Tommaso Padoa
Schioppa, secondo quanto si apprende, sul nome di Draghi ci sarebbe
solo qualche perplessita' da parte dell'area cattolica di Forza
Italia. Per An quello di Draghi "e' l'unico nome che interessa" mentre
l'Udc, raccontano fonti della maggioranza, avrebbe addirittura
"minacciato la crisi" se si dovesse scegliere un altro nome al di
fuori di quello di Draghi. Dalla Lega Nord fanno sapere invece che il
preferito per il Carroccio sarebbe Mario Monti, "ma non faremo
barricate se si dovesse puntare su Mario Draghi". (AGI)

Chi è Mario Draghi? E perché diventerà governatore della Banca d'Italia?

Fare il vicePresidente della Goldman Sachs, governatore della Banca
d'Italia è una perversione tutta italiana, che ricorda, per esempio,
la discesa di Carlo VIII in Italia.


Vuol dire consegnare le banche italiane agli stranieri.Poco male
diranno in molti, visto come si comportano con i clienti le banche
italiane.



E tutti i torti non ci sono, certo, le banche italiane hanno incassato
l'anoticismo, cioè interessi passivi capitalizzati ogni tre mesi e
interessi attivi (per il cliente) capitalizzati ad un anno.


Hanno riempito le tasche dei piccoli risparmiatori (razza a me
pareticolarmente antipatica) di Tangos bond, parmalat, Cirio,
Giacomelli. Ma pensare che le straniere siano meglio è il vizio che
ci porta ad acquistare giocatori stranieri per il football, che si
mostrano grandi "sole". Luther blisset, appunto.


E non sono solo le banche ad essere acquistate. Ma anche la filosofia
bancaria che le sorregge. Senza farla lunga: ad una banca italiana
oggi ci vogliono dai cinque ai dieci anni per entarre in possesso
dell'immobile di un inquilino moroso. Ad una banca americana menodi
tre settimane.



Pensate che la"asimmetria" possa resistere a lungo? No. Le leggi
verranno modificate a secondo delle banche di riferimento. Quindi
pagate e non rompete i coglioni



Io lo conosco da quando ha permesso ad advisor stranieri dai nomi
altisonanti (Merryl Linch, Goldman Sachs, J.P.Morgan, UBS-First Credit
Boston, Rotschild ecc. ecc. dii saccheggiare il patrimonio pubblico
italiano e le banche italiane in quell'abboffata di "commissioni" per
consulenza, consulenze che facevano ridere i polli, ma purtroppo noi
eravamo i polli, ben prima dell'influenza aviaria.



Lo conosco dal 1992 quando sullo yacht Britannia, proprietà di Sua
Maestà, la Regina di Inghilterra, graziosamente messo a disposizione
di una società dal nome accattivante "The Invisibles" fu stipulato fra
banchieri italiani e stranieri "il patto del 1992". Mario fu così
intelligente da partecipare al brindisi iniziale, ma mpoi scendere
dallo yacht, prima che questo, in ac1que internazionali, lasciasse
alla banda truffaldina che ospitava di stendere i propri patti.
Neanche il Capitano Drake, noto pirata, l'avrebbe potuta pensare
meglio.



Io so, e sapevo, quali banche sarebbero state scelte per "advisor"
nelle privatizzazioni e quali invece si sarebbero dovute occupare del
"collocamento". In svendita c'era tutto l'I.R.I., esclusa
Finmeccanica, che producendo armi (Alenia ecc.) era meglio lasciar
fuori.



Finita la "festa", il dott.Draghi lasciò le natie sponde e veleggiò,
si fa per dire, alla Goldman Sachs. Una delle massime beneficiarie
dell'operazione di pirateria.



Dio benedica i venali gentiluomini di fortuna!



Ma neanche Sir Francis Drake avrebbe avuto la spudoratezza di cercare
di farsi nominare Governatore della Banca d'Inghilterra!



Mario, invece ce l'ha.



Perché spudorati sono i nostri governanti (Dio li affligga con la
scabbia!) e i nostri cronisti (Dio li punisca con le piattole!).



Si dice di Lui: uomo di grandi relazioni internazionali. E ci credo.
Viste le cospique prebende che internazionalmente ha distribuito!



Ma si sa. In questo paese ilconflitto di interessi riguarda solo
Berlusconi, che a questo punto appare come Santo.



Riporto un articolo uscito su Proteo.


DA PROTEO


Club privé. A cosa sono servite le privatizzazioni delle banche italiane





Di Leonardo Valle:



In Italia, provare a tracciare un bilancio critico delle
privatizzazioni è un po' come provare a mettere in dubbio
l'autenticità della Sacra Sindone. In effetti, se ci volgiamo indietro
a guardare i magici anni Novanta, possiamo osservare che su pochi temi
si è registrato un consenso più totale che sulla necessità economica,
politica e financo morale delle privatizzazioni. Nella Trinità della
religione liberistica il feticcio delle "Privatizzazioni" occupa
senz'altro un ruolo più importante delle "Liberalizzazioni", un ruolo
comparabile soltanto a quello della "Flessibilità". Criticarlo è tabù.
Ma i tabù, come è noto, nascondono sempre qualcosa di poco chiaro...


1. Il "che cosa" e il "chi" delle privatizzazioni



Cosa è stato privatizzato. Cominciamo con qualche dato. L'inizio vero
e proprio delle privatizzazioni italiane si può fare risalire al 1992.
Da allora, in circa 10 anni, sono state privatizzate aziende statali
per un valore di oltre 220.000 miliardi di lire. Di fatto, è stato
liquidato l'IRI, e sono state vendute grandi società pubbliche quali
Telecom, ENEL, ENI (quest'ultime 2 solo in parte), e praticamente
tutte le banche precedentemente controllate dallo Stato. Su queste
ultime concentreremo la nostra analisi. Per avere un'idea della
dimensione del fenomeno basterà dire che, se nel 1991, le banche
pubbliche rappresentavano il 73% del totale delle banche italiane,
oggi allo Stato restano soltanto piccole quote di minoranza in banche
di importanza marginale.

Chi ha privatizzato. Qui cominciano le prime sorprese. In effetti,
sappiamo che in Italia (come del resto in altri Paesi europei, a
cominciare dalla Francia) il consenso parlamentare alle
privatizzazioni è stato schiacciante: con la sola eccezione, peraltro
neppure troppo convinta e lineare, di PRC e PdCI; per il resto le
privatizzazioni - e l'ortodossia liberalistica sottostante - hanno
raccolto il consenso entusiastico di tutti i gruppi parlamentari.
Questo però non significa che le privatizzazioni le abbia fatte il
Parlamento. E qui qualcuno potrebbe pensare che la materia sia stata
espropriata al Parlamento, magari a suon di decreti legge, dal
Governo. Ma non è vero nemmeno questo: le privatizzazioni non le hanno
fatte neppure i governi che si sono succeduti dall'inizio degli anni
Novanta in poi.

O meglio: Governo e Parlamento hanno deciso di privatizzare, ma il
come e il quando lo ha deciso qualcun altro. Chi? Il Ministro del
Tesoro? Neppure lui. Tutto questo è stato deciso da un "tecnico": il
Direttore Generale del Tesoro, il prof. Mario Draghi. È stata la
struttura da lui diretta in prima persona a pilotare la maggior parte
delle privatizzazioni italiane, lasciando ai ministri il meno oneroso
compito di apporre la loro firma sui singoli decreti di
privatizzazione. In anni ormai lontani si straparlava, a sinistra, di
"autonomia del politico". Si può tranquillamente affermare che la
Direzione Generale del Tesoro diretta da Draghi ("sotto" non meno di 6
diversi ministri) sia stata un caso emblematico di "autonomia dal
politico". Tale struttura "tecnica" ha in realtà costituito, per tutti
gli anni Novanta, uno dei pochi veri poteri forti di questo Paese. Un
potere di fatto privo di ogni legittimazione democratica e di un vero
controllo sul merito e sul metodo delle scelte assunte. E per giunta
arrogante. Basti pensare alla risposta data da Draghi a chi, durante
un convegno, gli chiedeva timidamente se non sarebbe stato il caso,
prima di privatizzare, di aspettare un quadro legislativo che
consentisse le liberalizzazioni (magari per evitare di avere monopoli
privati e non più pubblici, come poi è di fatto accaduto...): "qual
era la capacità di produrre leggi che aveva quello Stato, nel '92-'93?
Avremmo aspettato all'infinito! [1]".


2. "Saldi di fine stagione" per comprare il biglietto per l'Europa (e
non solo)

E veniamo ai motivi delle privatizzazioni. Il primo motivo, com'è
noto, era rappresentato dalla necessità per lo Stato di "fare cassa",
per poter abbattere il debito pubblico ed entrare nel club della
moneta unica europea. Si tratta di un motivo oggettivo e reale -
beninteso, una volta accettate le premesse, ossia che si dovesse
partecipare alla moneta unica e che i parametri dovessere essere
quelli fissati a Maastricht [2]. Va però sottolineato come tale motivo
sia stato in realtà utilizzato, strumentalmente, come una leva per
ridimensionare drasticamente il ruolo dello Stato nell'economia. In un
recente articolo sulle privatizzazioni, scritto da uno dei componenti
della tecnostruttura di Draghi, la cosa è ammessa con estrema
franchezza: "Si è sfruttata l'occasione offerta dalla necessità ed
urgenza di rispettare gli stringenti vincoli esterni, imposti dalla
partecipazione all'Unione Monetaria Europea, per avviare iniziative
volte alla ridefinizione del ruolo dello Stato ed alla riforma, in
senso maggiormente concorrenziale, dei mercati [3]. Cosa sarebbe
successo senza la pressione di questi vincoli comunitari è difficile a
dirsi. Si può, tuttavia, affermare che sarebbe venuto meno uno degli
stimoli più incisivi a procedere con decisione nel processo di
risanamento della finanza pubblica e di riqualificazione del rapporto
tra Stato e mercato" [4].

E veniamo alle cifre incassate. Ad oggi, il Tesoro ha effettuato
direttamente operazioni di privatizzazione per un controvalore di
circa 66,6 miliardi di euro. A questa cifra vanno però aggiunte le
privatizzazioni gestite dall'IRI (sempre sotto il coordinamento del
Tesoro), per un controvalore di circa 56,4 miliardi di euro, le
dismissioni realizzate dall'ENI (5,4 miliardi di euro) e la
liquidazione dell'EFIM (440 milioni di euro). Si tratta di cifre molto
consistenti, da cui è facile intuire il valore e l'importanza degli
assets venduti. Sono anche cifre adeguate? In altri termini, il Tesoro
ha venduto le società pubbliche al loro giusto prezzo oppure no? Per
quanto strano possa sembrare, questo tema non è stato praticamente mai
affrontato seriamente. Eppure il metodo ci sarebbe: basterebbe
prendere il prezzo di vendita delle società e confrontarlo con le
attuali quotazioni di borsa delle stesse società. La cosa è complicata
dal fatto che pressoché tutte le banche sono state coinvolte da
processi di concentrazione e fusione con altre banche dopo la
privatizzazione, ma si può comunque arrivare a valutazioni
attendibili. Vediamo quindi, innanzitutto, i valori incassati all'atto
della privatizzazione.

E ora qualche cenno ai valori di borsa attuali. Oggi Unicredito
Italiano capitalizza 26.593 milioni di euro, IMI-Sampaolo 16.941
milioni, Intesa-BCI (che comprende Comit) 20.760 milioni, Banca di
Roma 4.087 milioni, BNL 4. 922 milioni [5]. Un caso a parte, che ha
dell'incredibile, è poi rappresentato dal Banco Napoli: quel 60% che
lo Stato vendette alla BNL per 32 milioni di euro (dopo ripulito il
Banconapoli delle perdite e dei crediti inesigibili con 6.200 milioni
di euro di danaro pubblico), è stato rivenduto dalla BNL, a distanza
di pochi anni, per 1.000 milioni di euro. Alla luce di queste cifre
appaiono decisamente curiose le dichiarazioni dell'allora Ministro del
Tesoro Ciampi: "il Tesoro vuole valorizzare prima di vendere: è un suo
dovere nei confronti del cittadino che, dopo le risorse profuse per
finanziare le perdite delle imprese pubbliche negli anni passati non
tollererebbe 'regali' al momento della loro vendita" [6].

Ma non è tutto: va infatti considerato che le cifre riportate nella
tabella con i prezzi di vendita sono lorde. Da esse vanno infatti
sottratti i costi delle operazioni di privatizzazione, che includono:
le commissioni per i collocatori in borsa (banche che compongono il
sindacato di collocamento e altri consulenti), così come le spese di
registration e listing sui mercati azionari (spese per adempimenti
CONSOB, SEC e altri adempimenti normativi). Questi costi sono andati
scendendo nel corso degli anni, ma si collocano comunque tra il 2% e
il 3% sull'ammontare totale del ricavato [i].

Una fetta consistente di questo denaro (circa l'1% sull'ammontare
totale) è andato alle maggiori investment banks anglosassoni (JP
Morgan, Goldman Sachs, Morgan Stanley, Credit Suisse First Boston,
Merrill Lynch, ecc.), per la loro attività di consulenza. Il tutto
senza ovviamente rischiare in proprio neanche un dollaro. E, meno
ovviamente, senza dover neppure sostenere una gara pubblica per
l'affidamento dell'incarico. Ci sembra che guadagnare 2.200 miliardi
di lire a queste condizioni sia una cosa decisamente simpatica. Come
stupirsi, quindi, del fatto che il prof. Mario Draghi, lasciato
l'incarico di Direttore Generale del Tesoro, abbia trovato rapidamente
collocazione come direttore generale e vice presidente di Goldman
Sachs International? E che il "vicedirettore generale del Tesoro con
delega alle privatizzazioni", il professor Vittorio Grilli, sia stato
ancor più rapidamente assunto dal Credit Suisse?

Al di là di questi aspetti - diciamo così - di dettaglio, ci sembra
che i dati di confronto tra i valori di vendita e gli attuali valori
borsistici delle società vendute lascino poco spazio ad
interpretazioni: le privatizzazioni italiane nel loro complesso (non
soltanto quelle bancarie) sono state dei veri e propri "saldi di fine
stagione". La "stagione" che finiva era quella della cosiddetta
"economia mista", dell'intervento dello Stato nell'economia. Quella
che iniziava, almeno stando ai suoi apologeti, quella del moderno
"capitalismo dei mercati finanziari", e - cosa ancora più allettante -
della "democrazia economica dei piccoli investitori". Vediamo di cosa
si tratta.

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[1] Qui "Stato" sta, ovviamente, per "Parlamento" (che è detto "potere
legislativo" appunto perché fa le leggi, anche se il prof. Draghi non
lo sa). Questo simpatico esempio di disprezzo dell'istituzione
parlamentare è stato pubblicato, senza mai ricevere una smentita, dal
Corriere della Sera il 30 marzo 2001.

[2] Come è noto, sull'opportunità di alcuni dei parametri, ad es. la
soglia di inflazione al 3%, sussistono fondati dubbi. In ogni caso, in
linea generale, va sottolineato il carattere di scelta politica
dell'assunzione di questi parametri e non di altri. È importante
insistere su questo perché di fatto tali criteri sono generalmente
considerati, dalla pubblicistica corrente, come le "tavole della
legge" di Mosè o addirittura come "leggi naturali". Non è così: non
esiste una politica monetaria oggettivamente necessaria, così come non
esiste una politica monetaria neutrale rispetto alle classi.

[3] Come si vedrà più avanti, è assai dubbio che questo secondo
obiettivo sia stato conseguito. Del resto, anche in questa sede è
citato come riempitivo d'obbligo: infatti nella frase successiva
questo obiettivo sparisce e rimane quello, prioritario, di
ridimensionare il ruolo dello Stato.

[4] D. Scannapieco, "Le privatizzazioni in Italia: una riflessione a
dieci anni dal rapporto presentato al Ministro del Tesoro Guido
Carli", in Guido Carli e le privatizzazioni dieci anni dopo, a cura di
F. A. Grassini, Roma, Luiss Edizioni, 2001, p. 156, corsivi miei.

[5] Nota: la quota ceduta dal Tesoro è pari al 3% del capitale ord,
per 286 mld. Il valore finale si riferisce alla somma derivante da
vendita diretta di azioni e dalla successiva conversione di
obbligazioni emesse dall'IRI; includendo solo il ricavo della vendita
diretta di azioni tale valore scenderebbe a poco meno di 670 mld.
Fonte: Banche e Assicurazioni, Convegno nazionale FISAC CGIL, aprile
2001.

[6] Il calcolo è fatto sul totale di gruppi bancari, nei quali
comunque la ex-banca privatizzata di norma è la componente più di
peso. La sproporzione tra le cifre di partenza e quelle di arrivo è
comunque clamorosa, ad eccezione dei casi di Banca di Roma e BNL (per
Medio Credito il confronto non è possibile perché non è una società
quotata).

[i] Il Sole 24 Ore, 7 agosto 1998.




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