[Forumlucca] X Mattia

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Autor: massimiliano.piacentini@tin.it
Data:  
A: forumlucca
Assumpte: [Forumlucca] X Mattia
Ciao Mattia,

questa è la risposta del direttore de "Il Tirreno":
"Consiglio al giovane Mattia, e ai professori o ai genitori che lo
hanno spinto a scrivere, a leggere l'articolo sull'"Unità" del 16
novembre con il quale Furio Colombo smonta non pochi pregiudizi sulla
Coca Cola",

Io e una mia amica ci siamo molto arrabbiati leggendo
questa risposta, e abbiamo deciso di scrivere al direttore del
giornale. Di seguito trovi il testo della nostra lettera.

ciao!

P.S
in coda alla mail troverai anche il testo dell'articolo di Furio
Colombo e, prima di questo, le risposte di Rina Gafgliardi e del
comitato x il boicottaggio della coca cola a Colombo.



massimiliano



Caro direttore,

ho avuto modo di leggere questa mattina la lettera
del giovane Mattia Galeotti ("perché ho rinunciato a portare la
fiaccola") e, di seguito, il suo commento. Devo dire che ho trovato
quest'ultimo estremamente offensivo. Si può essere d'accordo o meno con
le idee di Mattia, ma arrivare, come lei fa, a insinuare che i suoi
genitori o i professori lo abbiano "spinto" a scrivere quella lettera
non è accettabile. Su quali basi si fonda la sua affermazione? Secondo
lei un ragazzo di 16 anni è un povero, ingenuo, "stupidino" non in
grado di informarsi, di avere proprie idee, di farsi un'opinione? Ma
lei conosce qualcuno di quell'età? Hai mai avuto l'occassione di
parlarci? Da quello che scrive presumo proprio di no. Lo faccia,
imparerà certamente qualcosa.

E per concludere un'ultima annotazione:
visto che lei consiglia a Mattia di leggere il pezzo di Furio Colombo
sulla Coca cola, io le consiglio di leggersi la risposta che Rina
Gagliardi ha scritto a Colombo su Liberazione del 17 novembre, oltre
che la replica, sempre al pezzo dell'ex direttore dell'Unità, del
comitato per il boicottaggio della coca cola (questi 2 pezzi li trova
di seguito alla lettera).

Ovviamente consiglio di fare la stessa cosa
alle persone che l'hanno spinta a scrivere quella pessima risposta a
Mattia Galeotti.

Distinti saluti

Massimiliano Piacentini - Lucca

17.11.2005
LA FAVOLA DEGLI AMICI DELLA COCA-COLA

Dopo l’ articolo di
Furio Colombo dal titolo ‘La leggenda della Coca-Cola’, pubblicato sull’
Unità del 17 novembre, non si può non rispondere e accettare la
campagna di disinformazione in atto su parte della stampa italiana.

Volendo credere, seppur a fatica, alla buona fede dell’autore dell’
articolo, nonostante le amicizie con dirigenti Coca-Cola che Colombo
stesso afferma di avere, gli abbiamo inviato un dossier indipendente
che documenta le violazioni che Coca-Cola commette non solo in
Colombia, ma anche in India e in altri 16 Paesi del mondo, violazioni
che vanno dalla repressione dei sindacati fino alla discriminazione
razziale nei confronti dei dipendenti afroamericani (nonostante quanto
afferma nel suddetto articolo, la Coca-Cola ha pagato nel 2000 192,5
milioni di dollari, il patteggiamento più oneroso tra tutte le accuse
di discriminazione razziale avviate negli Stati Uniti).

Tornando all’
oggetto specifico del boicottaggio, non stiamo parlando di un
capoufficio che alza la voce con il suo dipendente.

Parliamo di
lavoratori trucidati dagli squadroni della morte dei paramilitari,
all'interno di impianti Coca-Cola protetti da guardie armate e mura di
cinta, dell'assassinio delle mogli dei leader sindacali e del rapimento
dei loro figli.
Parliamo di riunioni in azienda in cui i paramilitari,
dopo aver convocato tutti i lavoratori sindacalizzati, gli hanno
imposto di firmare fogli di dimissioni stampati nei computer aziendali
sotto la minaccia delle armi.
Parliamo di sezioni sindacali date alle
fiamme.
Parliamo di leader sindacali incarcerati su denuncia della Coca-
Cola per mesi in prigioni tra le peggiori del pianeta e poi liberati
per non aver commesso il fatto.
Parliamo, in sostanza, di 8 omicidi e
ben 179 gravissime violazioni dei diritti umani. Una campagna
repressiva, dal 1989 ad oggi, volta ad annientare il Sindacato con la
complicità di Coca-Cola e a suo beneficio, come dimostra il fatto che,
anche secondo Amnesty International, la maggior parte di queste
violazioni sono state commesse nel corso di vertenze contrattuali.

Quanto affermiamo non è una leggenda metropolitana, ma è stato
accertato da una commissione indipendente promossa dal comune di New
York e da diverse successive visite effettuate da commissioni dei più
disparati paesi europei e americani.

Il tribunale federale della
Florida ha inoltre accettato le prove a carico delle imprese
imbottigliatrici depositate dal Sinaltrainal, incriminando le aziende
colombiane per tortura e omicidio.

Tutto il materiale di cui parliamo
è a disposizione di tutti sul sito www.nococacola.info.

Rispetto all’
affermazione secondo cui Coca-Cola non c’entra niente, perché il
problema è semmai degli imbottigliatori colombiani, Furio Colombo
dovrebbe sapere che l’ ONU, nell’Agosto del 2003, ha approvato le Norme
sulle Responsabilità delle Imprese Transnazionali riguardo ai Diritti
Umani, nelle quali si afferma il principio secondo cui un’impresa
transnazionale va considerata responsabile di quanto accade in tutta la
Sua filiera produttiva.

La stessa Coca-Cola, nel suo Codice di
Condotta internazionale, si impegna a farne rispettare le norme “in
tutte le imprese che abbiano la franchigia per la produzione,
distribuzione, vendita” dei suoi prodotti.

Nel caso specifico va
inoltre ricordato che Coca-Cola controlla non solo di fatto le aziende
colombiane di imbottigliamento, essendone il principale committente, ma
detiene il 39,6% del capitale azionario ed il 46% delle azioni con
diritto di voto, oltre ad essere rappresentata nel Consiglio di
Amministrazione da dirigenti di alto livello.

Grazie alla pressione di
tutte le vittime di questa ‘leggenda metropolitana’, lo scorso 7
novembre la Coca-Cola ha accettato, davanti a Veltroni, una Commissione
d’inchiesta indipendente che si recherà in Colombia a Marzo 2006.

Il
boicottaggio è oggi l'unico modo di ottenere la verità e la giustizia
su questi gravissimi crimini, oltre ad essere uno strumento altamente
democratico e nonviolento, utilizzato prima di noi da Gandhi e da
Martin Luther King per risolvere questioni come quelle del colonialismo
e dell'apartheid.

La campagna di boicottaggio va avanti, fino al
raggiungimento degli obiettivi: Verità, Giustizia e Riparazione
integrale dei danni subiti dalle vittime.

Per noi la vita di un essere
umano e il rispetto dei suoi diritti valgono molto di più di una
lattina di Coca Cola e, se ci permettete, anche di una torcia olimpica.

Reboc
Rete di boicottaggio della Coca Cola

La strana Coca Cola
innocente e buona
del nostro amico Furio Colombo


Rina Gagliardi
Anche alcuni dei miei migliori amici - a differenza di quelli di Furio
Colombo - «sono persuasi, con passione e veemenza, che la Coca Cola sia
un bene e un simbolo del bene». Al punto che ne bevono quantità
spaventose, specie d'estate, e non ne possono più fare a meno - i loro
frigoriferi e le loro dispense traboccano in ogni stagione dell'anno di
decine di boccioni, comprati a prezzi stracciati nei migliori
supermercati. Parlo di militanti comunisti intemerati, di giovani e
colti redattori di Liberazione, di generosi e indefessi compagni che
animano le nostre feste estive. Parlo di giornalisti democratici,
pronti a sacrificare tempo ed energie per tante buone cause. Molti di
costoro sono - in realtà - veri e propri tossicodipendenti,
«cocacolizzati», secondo l'efficace neologismo creato, mi pare, da
Riccardo Petrella. E allora? Allora, intanto, è proprio per questo che
ha senso il boicottaggio della Coca Cola: proprio perchè è una bibita
ad altissima diffusione, un'abitudine dell'umanità del XX e XXI secolo,
una pratica quotidiana di milioni di persone, si chiede ai consumatori
un atto consapevole, una scelta, un piccolo sacrificio - certo
provvisorio e molto mirato, come insegnano le regole di base del
consumo critico. Di tutto questo, dei perchè e dei percome, del valore
concreto di questa politica e del suo valore simbolico, certo, si può e
si deve discutere. Invece, Furio Colombo, sull'Unità di ieri, non
discute: si butta a capofitto in un Inno liturgico della Coca Cola,
fremente di passione di nostalgia. Per l'ex-direttore del giornale dei
Ds (che conoscevamo come un intellettuale serio ed equilibrato), la
Coca Cola Company è in sostanza un Istituto di beneficenza - meglio, è
una Madre Buona Planetaria che protegge teneramente lavoratori, tecnici
e agit-prop di tutto il mondo, ripara le ingiustizie, produce e
protegge il meglio della sinistra liberal. E comunque guai a mettere in
discussione le virtù sacre delle bollicine e dei ruttini - sembra
quasi, Colombo, un vecchio militante veterocomunista, quando e se per
caso ti provavi dirgli che no, forse la Russia non era il Paradiso.
Vogliamo ricordare da dove nasce l'iniziativa della "Reboc", la Rete
mondiale di boicottaggio della Coca Cola, che ha proclamato il 2005
come l'anno del gran rifiuto? Dalla proposta del Sinal Trainal, il
sindacato colombiano dei lavoratori dell'alimentazione, che denuncia da
anni le terribili condizioni in cui in quel paese si è costretti a
lavorare: sui diecimila "imbottigliatori" di Coca, sono soltanto
cinquecento quelli a cui è stato concesso un contratto regolare, gli
altri lavorano in subappalti o con contratti "flessibili", per usare
una parola così cara a tanta sinistra. I salari, in dieci anni, sono
scesi ad una media di 150 dollari al mese. Ma, soprattutto, chi lotta
per tentare di uscire da questa situazione, comune, purtroppo, alla
gran parte dei lavoratori del Sud del mondo, è votato alla morte: sono
8 i sindacalisti del Sinal Trainal che sono stati assassinati dagli
anni '90 ad oggi, l'ultimo è stato ammazzato a settembre, con quaranta
coltellate. Nell'intera Colombia, tra il '92 e il 2005, sono 2. 015 i
dirigenti sindacali fatti fuori - ammazzati, trucidati. E la gran parte
di questi omicidi, il settanta per cento, avviene nel corso di
trattative negoziali.

Beghe"locali", come dice Furio Colombo, alle
quali santa Coca Cola è comunque estranea? O non, piuttosto, scelta
politica, sociale e incivile di tutte le multinazionali, come la Coca
Cola, che non rispettano nè gli elementari diritti di chi lavora nè il
diritto alla vita e al rispetto di chi i lavoratori si sforza di
difenderli e rappresentarli? Del resto, violazioni dello stesso tenore,
ad opera della Coca Cola C., si registrano in diversi altri luoghi del
mondo, come le Filippine e il Pakistan. E da parte di tutte le grandi
imprese globali il ritornello è sempre lo stesso: giacchè loro, nei
paesi del Sud del mondo in particolare, decentrano, esternalizzano,
subappaltano, non possono poi esser considerati responsabili dei
comportamenti concreti dei loro soci locali. Anche la Nike ha
sostenuto, a lungo, l'impossibilità di controllare davvero il disumano
sfruttamento del lavoro minorile che avviene un po' dovunque, nel suo
nome. Che ci vogliamo fare, per esempio in Colombia, se lì si fa strage
quotidiana di sindacalisti, e strame della dignità del lavoro? E' la
logica della globalizzazione, bellezza - ci suggerisce Colombo. Una
curiosa filosofia che esalta l'"Innocenza d'impresa" proprio nella fase
storica in cui l'impresa attraversa le frontiere, insegue la
forzalavoro al suo costo più basso, e soprattutto si fa logo - griffe,
marchio, Nome. Possibile che uno come Furio Colombo (che conoscevamo
come uomo di buone letture) non abbia mai sentito parlare del "Logo"?
Di un libro come quello scritto da Naomi Klein (glielo garantiamo, è
stato un successo). Il boycott mondiale è precisamente una delle
risposte possibili alla signoria mondiale del Logo: uno sciopero mirato
del consumo, che punta a condizionare il comportamento dell'impresa.
Che cerca di diffondere un'immagine critica di un prodotto, a fronte
delle beote promesse di felicità garantite dalla mole immane della sua
pubblicità. Che cerca così di costringere il marchio a cambiare strada,
o a fare tutto quello che può perchè qualcosa cambi - o almeno cessino
le efferatezze maggiori. Questo tipo di battaglia, che è stata a lungo
del tutto minoritaria o limitata a Paesi come l'Olanda e l'Inghilterra,
si va diffondendo con forza. Ha conosciuto alcuni importanti successi -
sulla Nike, per esempio, ma non solo. E non demorde. Guardate, anche in
Italia, com'è cresciuta la rete del commercio equo e solidale. O il
successo dei "manuali" di consumo (e risparmio) alternativi, editi dal
benemerito "Centro per un nuovo modello di sviluppo" di Vecchiano.

Il
fatto è che le imprese, i "loghi", temono molto, quasi più di ogni
altra cosa, la pubblicità negativa che le campagne di boicottaggio
comunque producono: perciò, son disposte, talora, a trattare. Perchè la
Coca Cola ha scelto di sponsorizzare i giuochi olimpici di Torino 2006?
Perchè avverte la necessità di collegare il suo marchio ad un evento
pacifico, legato a un'antica aspirazione di fratellanza e valori "non
mercantili". E perchè mai ha accettato, alla fine, un'inchiesta
indipendente sulle condizioni effettive dei suoi stabilimenti
colombiani? Perchè, giust'appunto, c'è stata una grande e diffusa
campagna di sensibilizzazione e di iniziativa, compreso l'XI Municipio
di Roma. Ma Colombo di Colombia non vuol proprio sentire parlare -
forse non gli piace l'idea di esser confuso col suo antico omonimo
Cristoforo (che però, nonostante quel che si dice, forse era spagnolo).
Forse teme che chi propone il non consumo della Coca Cola ce l'abbia in
realtà con l'America e i suoi miti kennedyani (ma davvero Robert
Kennedy è stato il massimo leader della sinistra Usa? Noi ci metteremmo
anche Malcolm X, o magari Franklin Delanoe Roosevelt). O paventa,
nientemeno, che questa sia l'ennesima trovata del complotto arabo e
islamico contro i governi di Israele. Ma no, lo rassicuriamo: in questa
battaglia, l'ideologia e l'"antiamericanismo" non c'entrano più di
tanto, non ne sono comunque i motori o i moventi diretti. Intanto,
provate a seguire, almeno fino a Natale, la parola d'ordine: "Voi
smettete di uccidere... Noi smettiamo di bere Coca Cola". Magari, nel
frattempo potreste abituarvi al sapore del Chinotto (quello Neri, non
quello "cocalizzato"), splendido prodotto europeo ed anzi italiano.
Boicottato da decenni dalle multinazionali e dal cattivo gusto del
pubblico, americanizzato a fortiori.




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La leggenda della Coca Cola
di Furio Colombo

Alcuni dei miei
migliori amici sono persuasi, con passione e veemenza, che la Coca Cola
sia un male e un simbolo del male. Pensano che, come le scarpe Nike,
sia profitto sullo sfruttamento, sottomissione dei più deboli e insulto
ai diritti civili dei poveri.

Parlo di giovani militanti che incontro
alle Feste dell’Unità, parlo dell’intera Festa dell’Unità di Genova che
aveva vietato la scorsa estate la vendita o la presenza di Coca Cola.
Parlo di amici giornalisti, anche in questo giornale.
Alcuni dei miei
migliori amici hanno trovato il loro primo lavoro alla Coca Cola.
Qualcuno tra di essi è diventato dirigente.

Ne ricordo almeno due che
sono diventati membri del Consiglio di Amministrazione di quella
gigantesca multinazionale. No, non parlo del tempo in cui mi occupavo
di multinazionali anch’io, nella mia versione imprenditoriale
americana. Parlo del Movimento per i diritti civili, delle giovani
donne e dei giovani uomini guidati da Martin Luther King nelle
rischiose marce in Georgia, Alabama e Louisiana, quando Rosa Park ha
sconvolto il mondo dei bianchi rifiutandosi di cedere il suo posto sull’
autobus.

Atlanta, la città in cui aveva la sua chiesa Martin Luther
King, è stata la sola città a non scatenare la polizia, i cani lupo e
gli idranti contro i dimostranti neri. La Coca Cola, che ha la sua sede
ad Atlanta (ed era, per quella città, come la Fiat per Torino) è stata
la prima azienda ad assumere giovani neri, uomini e donne, e ad aprire
percorsi per diventare quadri e dirigenti, unica azienda del Sud degli
Stati Uniti per molti anni, e comunque d’avanguardia in tutto il Paese,
perché negli anni Sessanta sarebbe stato difficile trovare un dirigente
nero alla General Motors di Detroit o alla United Technologies del
Connecticut.

Quando Andrew Young, già numero due di Martin Luther King
e poi ambasciatore di Carter alle Nazioni Unite (1976), ha lasciato il
suo posto perché giudicato troppo vicino ai Palestinesi, è stata la
Coca Cola a accoglierlo nel suo Consiglio di Amministrazione. A quell’
epoca la Coca Cola era già stata messa al bando da tutti i Paesi Arabi
perché considerata “un prodotto ebraico”, benché tutta la storia e la
gran parte dell’azionariato di quella azienda siano nati e restati a
lungo Wasp (la sigla che indica, in America, i protestanti bianchi).

La storia della Coca Cola maledetta nasce in Medio Oriente, fa parte
del boicottaggio arabo di Israele di cui ci siamo tutti dimenticati, ma
che a momenti è stato così rigido da sconsigliare anche le grandi
aziende europee di avere filiali e punti di vendita in quel Paese.
Tutto è cominciato dopo la guerra dei Sei Giorni (1967). Ma la guerra
dei Sei Giorni è cominciata perché, simultaneamente e all’improvviso,
tutti i Paesi Arabi confinanti con Israele hanno attaccato, dalla
Siria, dall’Egitto, dalla Giordania e dal Libano. Israele ha vinto,
altrimenti non sarebbe sopravvissuto e non saremmo qui a parlarne.
Vincendo ha occupato territori da cui era partita l’invasione che stava
per sterminarlo. I Paesi attaccanti e sconfitti hanno lanciato allora
il boicottaggio economico. Quel boicottaggio economico, in gran parte
rispettato dalla prudente Europa per riguardo ai Paesi Arabi, è stato
isolato quasi solo negli Stati Uniti, sotto presidenze democratiche e
sotto presidenze repubblicane. E forse è utile ricordare che il più
grande leader di sinistra che gli Usa abbiano mai avuto, Robert
Kennedy, è stato ucciso da un palestinese che lo riteneva “sionista”.

La storia ha macinato eventi, vittime, rovine, ma ha anche conosciuto
momenti come Camp David, presidenti come Carter e Clinton, primi
ministri israeliani come Peres, Rabin, Barak e, nella sua ultima
incarnazione, Sharon. Egitto e Giordania sono diventati vicini
affidabili e adesso dichiara di volersi aggiungere l’Arabia Saudita.

La Coca Cola resta il prodotto maledetto, ereditato come “il nemico” da
una generazione all’altra. In un mondo senza storia e con poca memoria,
adesso viene indicata come ragione di espulsione della Coca Cola uno
scontro sindacale in Colombia, che certo è stato legittimo, che certo è
stato la risposta a ingiuste violazioni di diritti. Ma è avvenuto fra
lavoratori colombiani e imbottigliatori colombiani. Gli imbottigliatori
locali, è noto, sono aziende in proprio, che hanno a che fare con l’
impresa di Atlanta quanto un negozio con i suoi fornitori.

La Coca
Cola fa parte del mondo del “fast food”, non è migliore degli hamburger
né più sano del “Kentucky Chicken”. Ma mi sfugge da dove i consiglieri
comunali della sinistra torinese hanno trovato ragioni per boicottarla,
iniziativa odiosa che dovrebbe essere riservata a fatti gravi e provati
della nostra vita. Esempio: boicottare prodotti locali di Treviso fino
a quando il sindaco (poi vicesindaco ma sempre padrone Gentilini) fa
togliere le panchine perché gli immigrati non possano sedersi, fa
distruggere le abitazioni in cui molte famiglie di lavoratori con
regolare permesso di soggiorno e regolare posto di lavoro avevano
trovato un tetto, e impedisce che sia dato ai nuovi venuti un luogo in
cui pregare. Aggiungendo insulti.

Mi dispiacerebbe per Treviso, città
tra le più belle d’Italia. Però sarebbe un modo per dire che una città
civile non può essere rappresentata da un personaggio offensivo e
incivile.

Ma la Coca Cola? Mi sembra di capire che una parte del
Consiglio comunale torinese ha risposto al richiamo di una leggenda
metropolitana. C’è chi ci crede in buona fede. Ma resta una leggenda
che si scosta alquanto dalla storia. S’intende che conosco il rischio
di questa nota, e attendo le precisazioni irate che seguiranno.

furiocolombo@???







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