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il manifesto

NO TAV
La Val di Susa ha vinto
MARCO REVELLI
Credo che ora lo si possa dire. Anzi, lo si debba dire ben forte: la Val di Susa ha vinto. Ha vinto su tutta la linea, forse addirittura oltre la percezione che i protagonisti stessi di quella vittoria ne hanno. Ha vinto innanzitutto sul piano culturale. Di quello che si chiama il «comune sentire». In questo mese di passione ha ribaltato d'un colpo la percezione del problema. Ha conquistato un'opinione pubblica solitamente sonnolenta e pigra, richiamata da quei «montanari testardi», di poche parole, alla concretezza di ragioni e verità prima inascoltate.Difficile dire quando questo sia avvenuto: se con l'adesione davvero unanime di tutta la valle allo sciopero generale del 16 novembre. O con la civilissima e compatta risposta del 30, quando sui prati di Venaus la folla multicolore ridicolizzò l'occupazione notturna da parte delle truppe delle ruspe, e tenne a distanza i pretoriani della Cmc. O dopo la mattanza squadrista della notte del 6 dicembre, e grazie alla risposta di un intero territorio offeso. Sta di fatto che quando l'8 sono tornati in 50.000 a riprendersi i territori sottratti, la retorica dello sviluppismo senza argomenti (quella dell' «Europa lo vuole», e del «progresso passa di qui, toglietevi di mezzo») si era già sciolta come neve al sole. E alla favola bella della modernità osteggiata da pochi nostalgici villani egoisticamente aggrappati al loro giardino di casa credevano ormai in pochi, per lo meno fuori dalle redazioni dei grandi quotidiani nazionali e dalle sedi della politica lobbistica. In tanti, ma davvero in tanti (si veda il sondaggio del Corriere), hanno incominciato a pensare che l'interesse generale, il «bene comune» (non diciamo l'«interesse nazionale», che è espressione antipatica) non abitasse nei palazzi dei decisori pubblici, dal Quirinale giù giù fino a Palazzo Lascaris e al Comune di Torino, ma stesse lassù, in quelle strade e piazze e municipi di montagna. Non era scontato, che la gigantesca macchina della manipolazione venisse inceppata. E' successo, ed è un punto fermo da cui partire. La Val Susa ha vinto poi sul piano sociale. Le loro ragioni si sono affermate perché gli è riuscito il miracolo di dar voce e forma a un intero territorio. Non ristrette avanguardie aggressive e irsute. Non linguaggi gergali. Ma «persone» capaci di mettere in gioco se stesse, col proprio linguaggio naturale, la rete delle proprie relazioni quotidiane, i sentimenti comuni, e vorrei aggiungere «sereni» (anche nella rabbia, anche nell'invettiva), come forse può avvenire ormai solo fuori dall'atmosfera avvelenata delle aree metropolitane, segnate dal rancore e dalla frustrazione, in una «valle», appunto, in una rete di paesi e villaggi in cui ci si conosce e riconosce all'istante, e non funziona il lavoro inquinante della comunicazione mediatica e della politica ridotta a simboli.

Ma la Val Susa ha vinto persino sul piano politico. Quello più viscido. Più lontano, e più difficile da permeare, barricato com'è nei propri dogmi e nella propria arroganza. Non ci facciamo illusioni: le proveranno tutte (è il loro mestiere), governanti di destra e (futuri?) governanti di sinistra, per realizzare comunque il loro progetto trasversale (la Tav senza se e senza ma). Non sono gente da fermarsi davanti alle ragioni, per buone che esse siano. Tenteranno di corrompere e di dividere. Hanno denaro e potere in abbondanza. Cercheranno, passata la festa, di gabbare lo santo, e superato il capo delle tempeste delle Olimpiadi torneranno ad agitare i loro big sticks e a risalire la valle con le ruspe. Manovreranno «tavoli» e «osservatori» (uno sport che sanno praticare benissimo), forti di complicità amplissime nel mondo dei media. Ma il tempo guadagnato lavora per noi, a condizione che la Val Susa sappia salvaguardare il bene più prezioso che ha accumulato nei mesi passati: la propria unità. Quell'intreccio tra sindaci, comitati, popolazione (compresi i ragazzi dei centri sociali) che ha permesso di vincere.

Quel tempo potrà essere impiegato per consolidare un'adesione alle ragioni generali di quella lotta che è ormai estesa ben al di là dei confini della valle. Non solo a Torino, dove il discorso ha già «sfondato» (le centinaia di persone che affollavano sabato scorso la Camera del lavoro per il Convegno No-Tav, contrapposte alle 40 che ascoltavano nelle stesse ore le perorazioni Pro-Tav del sindaco Chiamparino, ne sono il segno tangibile). E dove le iniziative di sabato prossimo dovranno essere quello che appunto si propongono di essere, una grande festa. Ma anche e soprattutto nel resto d'Italia, dove le orecchie capaci di intendere sono ormai tante. E dove si potranno raccogliere le energie per resistere anche a primavera. (marco revelli)



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