[Forumlucca] I: [glt-impronta] Articolo di Vandana Shiva

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Autor: Elena Bertoli
Datum:  
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Betreff: [Forumlucca] I: [glt-impronta] Articolo di Vandana Shiva

-----Messaggio originale-----
Da: Stefano Dall'Agata [mailto:agaste@libero.it]
Inviato: martedì 6 dicembre 2005 20.38
A: Lista Impronta
Oggetto: [glt-impronta] Articolo di Vandana Shiva



Due miti che mantengono povero il mondo, di Vandana Shiva (articolo
apparso su Ode Magazine del 28.11.2005) Trad. M.G. Di Rienzo


Dal cantante rock Bob Geldof al politico inglese Gordon Brown, il mondo
sembra improvvisamente pieno di persone dall’alto profilo e dei loro
piani per mettere fine alla povertà.

Jeffrey Sachs, tuttavia, non è semplicemente una persona che vuol fare
del bene, ma uno dei principali economisti mondiali, alla testa
dell’Earth Institute e responsabile di un progetto Onu per promuovere un
rapido sviluppo. Perciò, quando ha lanciato il suo libro "La fine della
povertà", la gente ovunque ne ha preso nota. Il Time magazine ha persino
dedicato ad esso la copertina.

Ma c’è un problema con le prescrizioni di Sachs per porre termine alla
povertà. In effetti lui non riesce a capire da dove la povertà venga.
Sembra guardare ad essa come al peccato originale. "Poche generazioni
fa, praticamente chiunque era un povero.", scrive, e poi aggiunge: "La
rivoluzione industriale guidò a nuove ricchezze, ma molto del mondo fu
lasciato indietro."

Questa storia della povertà è totalmente falsa. I poveri non sono coloro
che sono stati "lasciati indietro", sono coloro che sono stati derubati.
La ricchezza accumulata dall’Europa e dal Nord America è largamente
basata sulle ricchezze prese all’Asia, all’Africa ed all’America Latina.


Senza la distruzione della ricca industria tessile dell’India, senza il
controllo del commercio di spezie, senza il genocidio delle tribù native
americane, senza la schiavitù africana, la rivoluzione industriale non
avrebbe dato gli stessi risultati di benessere per l’Europa ed il Nord
America.

E’ stata questa appropriazione violente delle risorse e dei mercati del
Terzo Mondo che ha creato ricchezza al Nord e povertà al Sud.

Due dei grandi miti economici del nostro tempo permettono alle persone
di negare questo stretto collegamento e di diffondere interpretazioni
scorrette di cosa sia la povertà.

In primo luogo, per la distruzione della natura e della capacità delle
persone di aver cura di se stesse il biasimo non cade sulla crescita
industriale e sul colonialismo economico, ma sugli stessi poveri. La
malattia viene offerta come cura: più crescita economica, in modo da
risolvere gli stessi problemi di povertà e di declino ecologico a cui
essa stessa ha dato inizio. Questo è il messaggio che sta al cuore
dell’analisi di Sachs.

Il secondo mito è l’assunto per cui se tu consumi ciò che produci, non
stai veramente producendo, almeno non economicamente parlando. Se io mi
coltivo il cibo che mangio, e non lo vendo, allora esso non contribuisce
al PIL e perciò non contribuisce ad andare verso la "crescita". Le
persone vengono percepite come "povere" se mangiano il cibo che hanno
coltivato anziché il cibo malsano distribuito dall’agribusiness globale.
Sono visti come poveri se vivono in case che si sono costruiti da soli,
con materiali ben adattati ecologicamente come il bambù ed il fango
anziché in blocchi di cemento. Sono visti come poveri se indossano abiti
prodotti con fibre naturali anziché sintetiche.

Queste esistenze "sostenibili", che il ricco Occidente percepisce come
povertà, non si accoppiano necessariamente ad una bassa qualità della
vita. Al contrario, per la loro stessa natura di economie basate sul
sostentamento assicurano un’alta qualità della vita, se questa viene
misurata in termini di accesso a cibo sano ed acqua, identità sociale e
culturale robusta e percezione di un senso nell’essere vivi. Poiché
questi poveri non condividono i cosiddetti benefici della crescita
economica, vengono rappresentati come "lasciati indietro".

La falsa distinzione tra i fattori che creano l’accumulo e quelli che
creano povertà è al centro dell’analisi di Sachs. E per questo motivo,
le sue prescrizioni aggraveranno e renderanno peggiore la povertà,
invece di porvi fine. I moderni concetti di sviluppo economico, che
Sachs vede come la "cura" per la povertà, sono stati presenti solo in
un’esigua porzione della storia umana. Per secoli, i principi del
sostentamento hanno permesso alle società, sull’intero pianeta, di
sopravvivere ed anche di prosperare. In queste società i limiti presenti
in natura venivano rispettati, e guidavano i limiti del consumo umano.
Quando la relazione della società con la natura è basata sul
sostentamento, la natura esiste come forma di bene comune. Viene
ridefinita come "risorsa" solo quando il profitto diviene il principio
organizzativo della società e produce l’imperativo finanziario allo
sviluppo ed alla distruzione di queste risorse per il mercato.

Sebbene in molti scegliamo di dimenticarlo o di negarlo, tutti i popoli
in tutte le società dipendono ancora dalla natura. Senza acqua pulita,
suoli fertili e diversità genetica, la sopravvivenza umana non è
possibile. Oggi lo sviluppo economico sta distruggendo questi che un
tempo erano beni comuni, dando come risultato una contraddizione: lo
sviluppo depriva le stesse persone che professa di aiutare della loro
terra e dei loro tradizionali sistemi di sostentamento, forzandole a
sopravvivere in un mondo naturale sempre più impoverito.

Un sistema quale è il modello di crescita economica che conosciamo oggi,
crea miliardi di miliardi di dollari di profitti per le corporazioni,
nel mentre condanna milioni di persone alla povertà. La povertà non è,
come Sachs suggerisce, uno stato iniziale del progresso umano da cui
dobbiamo fuggire. E’ lo stato finale in cui le persone cadono quando uno
sviluppo unilaterale distrugge i sistemi ecologici e sociali che hanno
mantenuto la vita, la salute ed il nutrimento dei popoli e del pianeta
per ere.

La realtà è che le persone non muoiono per mancanza di soldi. Muoiono
per mancanza di accesso alla ricchezza dei beni comuni. Qui, di nuovo,
Sachs si sbaglia quando dice: "In un mondo di abbondanza, un miliardo di
persone sono così povere che le loro vite sono in pericolo." I popoli
indigeni dell’Amazzonia, le comunità montane dell’Himalaya, i contadini
ovunque le loro terre non siano state espropriate e la cui acqua e
biodiversità non sia stata distrutta dall’industria agricola creatrice
di debito, sono ecologicamente ricchi, sebbene guadagnino meno di un
dollaro al giorno.

Dall’altro lato, la gente è povera quando deve comprare le proprie
necessità di base a prezzi alti, senza riguardo per quale sia il loro
introito. Prendete il caso dell’India. Poiché il cibo e le fibre a basso
costo sono state estromesse dal mercato dalle nazioni sviluppate e
dall’indebolimento delle leggi di protezione sul commercio compiuto dal
governo, i prezzi dei prodotti agricoli in India stanno crollando, il
che significa che ogni anno i contadini del paese perdono 26 miliardi di
dollari. Impossibilitati a sopravvivere in queste nuove condizioni
economiche, molti contadini ora sono colpiti dalla povertà e migliaia di
essi si suicidano ogni anno.

Ovunque nel mondo l’acqua potabile viene privatizzata, così che le
corporazioni economiche possono ricavare un profitto astronomico
vendendo ai poveri una risorsa essenziale, che un tempo era gratuita. E
i 50 miliardi di dollari di "aiuti" che dal Nord vengono al Sud, sono
solo la decima parte dei 500 miliardi di dollari che sono stati
succhiati nell’altra direzione, grazie agli ingiusti meccanismi imposti
all’economia globale dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario
Internazionale.

Se siamo seri, quando diciamo di voler mettere fine alla povertà, allora
dobbiamo essere seri nel mettere fine ai sistemi che creano la povertà
derubando i poveri dei loro beni comuni, dei loro stili di vita e dei
loro guadagni. Prima di poter far diventare la povertà storia, dobbiamo
considerare correttamente la storia della povertà. Il punto non è quanto
le nazioni ricche possono dare, il punto è quanto meno possono prendere.


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