[Forumlucca] I: [gas] Tangentopoli in Val di Susa, inchiesta…

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著者: Elena Bertoli
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To: forumlucca, forumvalleserchio, 'Monica Suffredini', 'Cinzia Lenzarini', 'Andrea Tessieri', 'Lucia Pieroni', 'Rosanna Bertoncini', 'Ron Gauld', 'Claudio Cappuccio', 'Antonella e Paolo Notturni', 'Maurizio Cavani', sattialessia, 'Paola Ginestri', 'Francesca', 'Enzo Girolami', 'Elena', 'Franco Santi', shaj, 'Sandra', arteimmagine2002, giannasi, danielle.pieroni, gusnri, michelefasano, francabianchi46, e.barsanti, amletomik
題目: [Forumlucca] I: [gas] Tangentopoli in Val di Susa, inchiesta di Diario


-----Messaggio originale-----
Da: magius [mailto:gmagius@gmail.com]
Inviato: martedì 6 dicembre 2005 21.13
A: LISTA DISCUSSIONE RETE GAS; RES MAILING LIST
Oggetto: [gas] Tangentopoli in Val di Susa, inchiesta di Diario


Da Diario.it
www.diario.it/index.php?page=inc.home&redir=last

Inchiesta vecchio stile/1 - Noi della Valsusa? Siamo fuori dal tunnel
Altro che egoisti e localisti. Vivono da vent'anni in un grande
cantiere. E ora hanno detto basta. Perché la nuova linea ferroviaria non
serve. Perché temono l'amianto degli scavi. Perché sanno che i lavori
stanno aprendo una nuova Tangentopoli, con vecchi protagonisti di Gianni
Barbacetto

Il più grande scontro mai avvenuto in Italia tra interessi generali e
interessi particolari. Tra i bisogni del Paese, anzi dell'Europa, e le
richieste dei Nimby («not in my backyard»), quelli che dicono: ovunque,
ma non nel mio cortile. Questo è Valsusa, secondo la vulgata corrente.
C'è da fare una grande opera utile per il Paese, anzi per l'Europa. Il
più lungo tunnel ferroviario del continente. La meraviglia - nome in
codice: Corridoio 5 - che permetterà di unire Lisbona a Kiev. La
soluzione che passando sotto le Alpi ridurrà da quattro ore a un'ora e
mezzo i tempi di percorrenza tra Torino e Lione. Ma di più: il miracolo
che permetterà di togliere un fiume di camion inquinanti dalla strada e
di convogliarli su rotaia; il portento che quadruplicherà le capacità
della ferrovia.

Di fronte a queste meraviglie, che dovrebbero far gongolare anche i
verdi più verdi, un manipolo di oppositori si schiera invece
inspiegabilmente contro, rifiuta il progresso, minaccia di fare le
barricate. Nemici della modernità, Nimby, inguaribili egoisti: dal
vescovo ai sindaci, dal presidente della Comunità montana all'ultimo dei
valligiani. In questi chiari di luna, compito delle forze politiche
responsabili, di destra e di sinistra, da Berlusconi a Fassino, è far
capire che gli egoismi localistici non possono fermare i grandi
progetti. Tutto chiaro, dunque, e fine dell' inchiesta vecchio stile.

Ma è proprio così? No. Perché chi voglia capire senza preconcetti che
cos'è l'Alpetunnel del Frejus, chi provi senza partito preso né
preclusioni ideologiche ad addentrarsi nel mare di cifre, tabelle,
disegni, cartine, progetti, rapporti, finisce per scoprire che
l'operazione Valsusa è (anche) una grande manovra di disinformazione. Ma
procediamo con ordine.

Una valle paziente. Nimby? Venite qui a spiegarglielo, a quelli che in
Valsusa ci abitano, che sono egoisti. Vivono da vent'anni in un
cantiere. Ne hanno visti, di funzionari romani e di burocrati torinesi.
Ne hanno sentite, di mirabolanti promesse. Hanno assistito al raddoppio
della ferrovia (concluso nel 1977), che nei progetti doveva avere un
traffico di 15 milioni di tonnellate di merci l'anno (mai raggiunto).
Hanno visto crescere l' autostrada (aperta al traffico nel 1992),
costruita nel loro fondovalle, ricavata nel letto della Dora. Hanno
aspettato l'edificazione dei nuovi argini, che ancora non sono finiti.
Hanno visto scavare le gallerie autostradali sul fronte di frana. Hanno
subìto l'alluvione del 2000, perché il fiume si è alla fine vendicato.
Hanno visto sorgere l'elettrodotto di Venaus. La centrale elettrica di
Pont Ventoux. E hanno constatato che cos'è successo a Bardonecchia:
l'unico Comune del Nord sciolto per mafia, perché i cantieri e i
subappalti all'italiana hanno portato la 'ndrangheta al potere, con
seguito di richieste di pizzo e traffici di eroina e cocaina e
occupazione delle istituzioni.

Con tutto ciò, alcuni abitanti della Val di Susa stanno ancora
aspettando i rimborsi degli espropri compiuti vent'anni fa per tracciare
l'autostrada: molti soldi non sono ancora arrivati... Ne hanno viste di
cose, ne hanno sentite di promesse, ne hanno conosciute di facce di
bronzo. E oggi non si fidano più, racconta Claudio Giorno, ambientalista
e sindacalista, per anni considerato troppo verde dai rossi e troppo
rosso dai verdi. Aggiungeteci un piccolo particolare: nell'area tra
Borgone e Bussoleno, dove dovrebbe essere costruito l'interscambio tra
la vecchia e la nuova linea ferroviaria, continua a funzionare la
Beltrame, un'acciaieria di seconda fusione, che ricicla cioè rottame e
materiali ferrosi e che provoca tassi d'inquinamento (e di mortalità)
tra i più alti d'Italia. È un giocattolino che pesa sull' ambiente 80
volte l'inceneritore di Brescia. E che libera nell'aria non soltanto
diossina (prodotto dalla combustione), ma anche Pcb: da dove viene
questo veleno? Non certo dal ferro: ma allora qualcuno sta facendo il
furbo e usa la vecchia Beltrame per smaltire rifiuti proibiti? Questa
però è un' altra storia e un'altra inchiesta.

Ma la pazienza dei valsusini è una, e i loro polmoni solo due. Come
stupirsi se si allarmano quando vengono a sapere che, oltre alla
diossina e al Pcb, nel loro cielo potrebbe arrivare anche l'amianto? A
Balangero c'è la più grande cava d'amianto a cielo aperto d'Europa, ora
naturalmente inattiva. Ora si viene a sapere che i detriti di scavo
estratti dalle montagne (lo
«smarino») saranno oltre 15 milioni di metri cubi: come dieci piramidi
di Cheope. Dove metterle? Anche perché, secondo uno studio ufficiale
dell' università di Siena, potrebbero contenere significative quantità
d'amianto: «La possibilità che si verifichino condizioni di rischio
sanitario è assolutamente rilevante», scrive l'oncologo Edoardo Gays
dell'Azienda ospedaliera San Luigi d'Orbassano. L'amianto potrebbe
infatti finire per essere disperso nell'aria.

Infine c'è l'uranio. Il cuore della montagna che, in futuro, sarà
trivellata è radioattivo. Ma qui siamo fin troppo avanti. Meglio tornare
al presente.

Una linea (abbastanza) inutile. La nuova linea ferroviaria del Frejus è
una superopera che inizia a nord di Torino, imbocca la Valsusa, scompare
per due volte nella montagna, ad Alpignano e a Bussoleno, con due
gallerie (di 21 e 12 chilometri). Poi vola sul viadotto di Venaus, per
infilarsi infine nel supertunnel, quel «tunnel di base» di 53 chilometri
che sbuca in Francia, a Saint Jean de Maurienne. Poi altre due gallerie
sul versante francese, Belledonne e Chartreuse, portano la linea a
collegarsi con l'alta velocità che arriva a Lione.

Il tutto costa come quattro ponti sullo Stretto di Messina. Spiega
Andrea Debernardi, di Polinomia, consulente della Comunità montana della
Valsusa: il preventivo è di 2,4 miliardi di euro per la tratta nazionale
italiana, 6,7 per il «tunnel base», 6,1 per la tratta nazionale
francese. Totale: 15,2 miliardi di euro. Previsione dei tempi di
realizzazione: 15 anni. Ma in letteratura, spiega il professor Marco
Ponti del Politecnico di Milano, costi e tempi si dilatano almeno del 20
per cento. Viste le prevedibili difficoltà, la superlinea potrebbe
costare una ventina di miliardi di euro ed essere pronta, se tutto andrà
bene, nel 2023. Finché non sarà posata l' ultima traversina, la ferrovia
sarà solo un costo, senza apportare alcun beneficio almeno parziale,
senza poter aver alcuna utilizzazione intermedia.

E poi che cosa succederà?

Il tunnel sotto la Manica è costato meno, 13 miliardi, ed è fallito non
una, ma due volte. Per mancanza di traffico. E serve a unire Parigi e
Londra, non (con tutto il rispetto) Torino e Lione. La superlinea che
scavalcherà le Alpi è del tutto sovradimensionata, rispetto ai bisogni.
Potrebbe convogliare su rotaia merci addirittura per 100 milioni di
tonnellate l' anno, con previsione di farne passare 40 milioni: ci
vorrebbero 350 treni al giorno, uno ogni quattro minuti, alla velocità
di 120 chilometri all'ora, alternati a treni passeggeri da 220
chilometri all'ora. Così il gioco varrebbe forse la candela.

Peccato però che il traffico ferroviario transalpino sia in calo
costante dal 2000, fatta eccezione per il Sempione e il Gottardo. Dal
Frejus oggi passano merci per appena 7 milioni di tonnellate l'anno
(erano 10 milioni nel 1997) e non c'è alcun segnale di svolta, né
realistiche previsioni di una crescita così vertiginosa. Gli scambi
Italia-Francia sono da lungo tempo consolidati, sono un business maturo
in cui non si prevedono nuovi, clamorosi sviluppi. Del resto è già in
corso il potenziamento della linea esistente che porterà a triplicare la
sua capacità, fino a oltre 20 milioni di tonnellate: a che cosa servirà,
allora, la nuova linea? E comunque, perché far arrivare le merci dalla
Francia a 120 chilometri all'ora, quando poi, arrivate in Italia, si
fermerebbero in qualche stazione e riprenderebbero la velocità media
nazionale per i treni merci, che è di 19 chilometri all'ora?

E poi il 70 per cento delle merci che ora passa dal Frejus non corre
lungo la direttrice est-ovest, ma quella nord-sud: vanno e vengono da e
per Digione, Bruxelles, Londra. Su questa direttrice, le nuove linee
svizzere del Gottardo e del Sempione sono più competitive. Quanto agli
scambi continentali sull'ipotetica linea Lisbona-Kiev, tranquilli: si
spinge tanto sulla Val di Susa come se da essa dipendessero per intero
le gloriose sorti e progressive dello sviluppo continentale, ma a est di
Trieste non si mette giù neppure un metro di rotaia.

Niente paura, dicono i fautori della Grande Opera: non ci sono solo le
merci, ci sono anche i passeggeri. E così la linea nata come «alta
velocità» per i passeggeri e poi diventata «ad alta capacità» per le
merci ridiventa magicamente una linea «ad alta velocità» capace di
spostare le persone lungo il mitico «Corridoio 5». Ma la grande corsa
Lisbona-Kiev sarà difficile da fare, non foss'altro per il fatto che le
ferrovie spagnole hanno uno scartamento diverso dal resto d'Europa. «E
poi l'alta velocità c'è già. E non costa un centesimo allo Stato: si
chiama Ryan Air», taglia corto il professor Marco Ponti. «Un biglietto
aereo low cost ha un prezzo inferiore ai biglietti ferroviari, ma
soprattutto non richiede denaro pubblico, quello che le ferrovie invece
inghiottono in dosi pantagrueliche». Difficile infine poter definire «ad
alta velocità» una linea quasi tutta in galleria, intasata dai treni
merci, che correrà non a 300, ma al massimo a 120 chilometri all'ora.
Alla fine, come dimostra Debernardi, la tanto sbandierata «alta
velocità» tra Lione e Torino farà risparmiare soltanto un' oretta. Anche
perché - udite udite - per poter entrare in Torino i treni veloci
dovranno correre non sulla nuova superlinea, ma sulla vecchia ferrovia
già esistente.

In compenso, il nodo torinese entro cinque anni scoppierà. Anche Milano
non sta benissimo quanto a sistema dei trasporti. Ma per risolvere il
problema Torino e il problema Milano non ci saranno soldi: tutti
impegnati nel supertunnel che piace tanto al ministro delle
Infrastrutture Pietro Lunardi. Treni? No, tunnel. L'architettura
societaria per fare l'Alpetunnel è un' invenzione che supera perfino
quella dell'alta velocità o del ponte sullo Stretto, con apparenza
privata e soldi tutti pubblici. Per il nuovo Frejus si sono alleate le
ferrovie francesi (Rff) e quelle italiane (Rfi) che insieme, al 50 per
cento, hanno costituito la Ltf, Lyon Turin Ferroviaire, con il compito
di progettare la superlinea e appaltare i lavori. In questo caso non
hanno fatto neppure finta di tirare in ballo investimenti privati,
project financing, redditività futura: paga Pantalone e basta. Con quali
soldi, visti i conti dello Stato, resterà un mistero.

Ma l'importante è mettere in moto la macchina dei finanziamenti, che poi
si autoalimenterà. A nessuno interessa veramente il risultato, che
arriverà
(forse) tra vent'anni. «Treni? Qui non si parla di treni, ma di tunnel»,
ripetono i funzionari delle ferrovie. L'importante è scavare, e
cominciare il più presto possibile. Aprire cantieri. Far girare i soldi.
Oggi, subito. Che cosa importa che il tunnel sotto la Manica sia già
fallito due volte? E che l'Alpetunnel (200 chilometri complessivi) costi
15 miliardi di euro, mentre il molto più utile Gottardo (270 chilometri)
ne costi solo 12? In tutto ciò, Ltf è il Pantalone che pagherà. Un
Pantalone asimmetrico: benché il controllo della società sia al 50 per
cento dei francesi e al 50 per cento degli italiani, per decisione presa
da Lunardi gli italiani pagheranno di più, il 63 per cento della tratta
internazionale (4,2 miliardi) più l' intera tratta nazionale (2,4
miliardi), per un totale di 6,6 miliardi di euro; eppure la
supergalleria è solo 8 chilometri in territorio italiano e 45 in suolo
di Francia.

Ma che importa? A incassare, tanto per cominciare, sarà la Rocksoil
della famiglia Lunardi, incaricata dei «sondaggi» (le prime
trivellazioni) in
Francia: così sarà ipocritamente aggirato il conflitto d'interessi del
signor ministro delle Infrastrutture. In Italia incasserà la Cmc di
Ravenna, già pronta a iniziare i «sondaggi» sul territorio nazionale.
Con la Cmc, cooperativa rossa, la Grande Opera diventa bipartisan.
Benedetta anche dai vertici dei Ds, da Piero Fassino in giù, fino
all'uomo degli affari della Quercia a Torino, il molto attivo capogruppo
alla Provincia Stefano Esposito. E benedetta malgrado la fiera
opposizione dei diessini della Valsusa, sindaci compresi e con in testa
Antonio Ferrentino, presidente della Comunità montana Bassa Valle di
Susa. Ma, del resto, responsabile nazionale delle Infrastrutture per i
Ds è quel Cesare De Piccoli che fu indagato e processato (e poi salvato
dalla prescrizione) per aver incassato mazzette dalla Fiat, ai bei tempi
di Tangentopoli, sui conti Accademia, Carassi, Linus...

Costi (tanti) e benefici (pochi). Dunque il (poco) tempo risparmiato dai
(pochi) passeggeri non giustifica un investimento così massiccio. Il
promesso incremento delle merci che potranno essere trasportate con i
treni non combacia con previsioni attendibili su un reale aumento delle
merci da trasportare. Che cosa resta, allora, della grande impresa? Ci
saranno grandi benefici ambientali, ribattono i sostenitori del tunnel,
perché le merci potranno passare dai camion (inquinanti) al treno.
Illusione, sostiene più d 'uno studioso. Il professor Angelo Tartaglia
del Politecnico di Torino, consulente dei comitati NoTav, ricorda che in
Italia soltanto il 17 per cento delle merci viaggia su rotaia e la quota
non è purtroppo molto incrementabile. Per spostare piccoli numeri dalla
gomma al ferro, bisogna sopportare costi pubblici immensi. Le ferrovie,
del resto, nel loro complesso sono costate in 15 anni all'Italia quanto
il Progetto Apollo agli Stati Uniti. E non abbiamo mandato nessuno sulla
Luna. Marco Ponti taglia corto: «La ferrovia è una tecnologia
dell'Ottocento, è ottima per trasportare per lunghi tratti merci
pesanti, che produciamo sempre meno, o grandi numeri di passeggeri nelle
aree metropolitane; legname, non microchip o abiti di Armani. E poi ha
bisogno di immensi finanziamenti dello Stato, che oggi non ci sono più.
Ora, invece, varrebbe la pena di ridurre le emissioni differenziando i
pedaggi e le tassazioni per i camion: far pagare molto quelli che
inquinano di più, così da rendere economico il rinnovo del parco mezzi
circolante. Così il beneficio ambientale sarebbe diffuso, non limitato a
una sola tratta. Se proprio poi si volesse aumentare la capacità di
trasporto merci, allora converrebbe realizzare il raddoppio del tunnel
stradale del Frejus: costa un decimo e le emissioni possono essere
ridotte con i pedaggi fortemente differenziati». Non ci saranno neppure
grandi benefici occupazionali: lo scavo di tunnel è un lavoro ormai
molto automatizzato. «Si metterebbe molto di più in moto l' economia e
l'occupazione con un grande piano di ristrutturazione delle periferie
urbane», valuta Ponti.

I furbetti del tunnellino. Tangentopoli ci ha insegnato che quando
girano soldi pubblici, spesso c'è chi ne approfitta. L'alta velocità è
la Tangentopoli del futuro, prevedeva in un suo libro, qualche anno fa,
lo studioso bolognese Ivan Cicconi. Il futuro è già qui, anche se ancora
non conosciamo nei particolari il nuovo sistema della corruzione.
Conosciamo però il curriculum di alcuni degli uomini impegnati nella
grande festa dei tunnel e delle linee ferrate. Di Lunardi, ministro e
progettista, sono pubblici i coinvolgimenti nei lavori (mediante società
di famiglia), anche se la Ltf li nega decisamente. Alcune inchieste
giudiziarie, poi, evidenziano l'attivismo negli appalti di Ugo Martinat,
esponente di An e viceministro delle Infrastrutture, gran burattinaio
degli affari piemontesi ora indagato per turbativa delle gare per la
Torino-Lione, oltre che per i Giochi olimpici. L'inchiesta sta
evidenziando la regia discreta, negli appalti sabaudi, del costruttore
Marcellino Gavio, attorniato da una cupola di ex funzionari di una delle
sue aziende, la Sitaf, che oggi hanno fatto carriera in proprio e da
democristiani o socialisti si sono «riposizionati» in area An.

Le intercettazioni telefoniche realizzate dalla Guardia di finanza
svelano i retroscena dei maneggi compiuti da questi ex uomini di Gavio,
tra cui Vincenzo Procopio, oggi titolare della Stef, la società che ha
progettato l' autostrada Torino-Bardonecchia, Walter Benedetto,
responsabile della direzione lavori di Ltf, e Gianni Desiderio, del
comitato direttivo dell' Agenzia olimpica. Non sospettando di essere
intercettati, parlano tra loro e con Paolo Comastri, numero uno italiano
della società mista Ltf: chiacchiere tutte da verificare, da furbetti
del tunnellino. Desiderio, per esempio, racconta al telefono che la
società Stone è del ministro (vorrà dire
Lunardi?) e che si è alleata con l'Alpina di Milano, una «scatola vuota»
che sarebbe stata messa in campo da Gavio: «Ci ha fottuti, vi ha
fottuto», dice Desiderio a Benedetto. Procopio, che nelle conversazioni
telefoniche viene definito «il cassiere di Martinat», s'arrabbia nei
confronti di Gavio, lo sospetta di brogli nelle gare e progetta di far
arrivare contro di lui interpellanze in Parlamento. Poi lo va a trovare,
si tranquillizza e il giorno seguente spiega la situazione a Benedetto.
Infine riferisce a Desiderio «di aver appreso dai comuni amici della
Metropolitana milanese che non è stato fatto un bel lavoro e che si
aspettavano un aiuto più concreto». Prosegue il rapporto dei finanzieri:
«Vincenzo (Procopio) aggiunge che "serve una botta" e si rende
necessario "fare un intervento". Gianni
(Desiderio) gli dice di andare a parlare con Walter (Benedetto), dato
che lui è il presidente della commissione, per verificare se è
necessario intervenire presso Comastri, per poi passare la cosa a Ugo
(Martinat)». Quando Benedetto riferisce a Martinat che teme grane
giudiziarie «per il cantiere di Modane» e lo informa che c'è di mezzo la
Rocksoil della famiglia Lunardi, Martinat risponde: «Uh, cacchio!». E
poi: «Vabbe', pazienza, nella vita non si vince sempre...». Comastri e
Benedetto brigano per far vincere a Procopio la gara d'appalto per la
«discenderia» di Venaus (una delle gallerie d'accesso ai tunnel). Quando
appare ben piazzata, invece, la società Geodata, i due sospendono la
gara: «Geodata ha la maglia rossa, è vicina alla sinistra». La Guardia
di finanza va allora nella sede di Ltf a sequestrare i documenti
dell'appalto, ma i due li fanno sparire: «Li mandiamo su a Chambery».
Comodo, lavorare alla frontiera. Dalle intercettazioni emerge una certa
arietta d'intese bipartisan per gli appalti ferroviari e stradali
piemontesi, con Gavio ben introdotto anche negli affari che dipendono da
Comune, Provincia e Regione, tutti di centrosinistra. Ma in questa
storia d'appalti di rito sabaudo spunta anche l 'ambasciatore Umberto
Vattani, che ha contribuito a definire in sede internazionale
l'architettura societaria per la gestione della Torino-Lione. E spuntano
anche alcuni protagonisti della vecchia Tangentopoli. Quell' Ercole
Incalza che fu travolto dallo scandalo di Lorenzo Necci (a lungo numero
uno delle Ferrovie italiane), ma che fu poi subito riciclato nientemeno
che come responsabile del gruppo Economia della commissione
intergovernativa italo-francese che ha preparato l'iter per
l'approvazione del supertunnel da parte dei rispettivi governi: oggi
Incalza è consigliere del ministro Lunardi e membro del «gruppo Van
Miert» in sede Ue. E quell' Emilio Maraini che insieme a Incalza fu il
dirigente Fs più vicino a Necci, per anni numero uno della Italfer, la
società incaricata della progettazione e della vigilanza sull'alta
velocità.

Nel 1993 Maraini fu arrestato a Milano dal pool Mani pulite e negli
interrogatori ammise le tangenti pagate come amministratore delegato di
Ansaldo Trasporti per partecipare ai lavori delle metropolitane di Roma
e di Milano. Poi, con un paio di rinvii a giudizio sul groppone, fu
messo da Necci al vertice dell'Italfer, finché finì di nuovo in cella,
nel 1998, per ordine dei magistrati di Perugia, in una delle tante
inchieste sull'alta velocità. Forte di questo know-how, oggi Maraini è
consigliere di Lunardi per gli affari internazionali.

Martinat e Gavio sospendono ogni conflittualità e fanno fronte comune
quando si tratta di pretendere soldi pubblici. Martinat: «Tremonti vuol
tagliare le spese. Noi sosteniamo la tesi opposta, bisogna sfondare
ulteriormente. Andiamo a Bruxelles e diciamo affanculo... Abbiamo
bisogno di soldi da investire quest'anno, il prossimo e quello seguente,
se vogliamo vincere le elezioni! Secondo Tremonti, questo ministero
dovrebbe spendere il 10 per cento in meno in strade, ferrovie eccetera».
Gavio: «Roba da matti!». Così si decidono le grandi infrastrutture e le
sorti del Paese. Le teste calde della Valsusa sono avvisate: non
fermeranno il Progresso.

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