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Aihe: Fw: [Lecce-sf] Fw: gli usa preparano le guerre future: un articolo delCdS

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From: Maria
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Sent: Monday, November 21, 2005 7:19 PM
Subject: [Lecce-sf] Fw: gli usa preparano le guerre future: un articolo delCdS



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Subject: gli usa preparano le guerre future: un articolo del CdS




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      Guerra infinita di Bush:


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      Storia della III guerra mondiale


      di Robert D. Kaplan *


      su Corriere della Sera del 19/11/2005


      Gli Stati Uniti contro la Cina. Strategie, pericoli e alleanze nello scontro dei giganti del XXI secolo


      Geopolitica Bush in missione in Asia. Il Vietnam chiede intese militari a Washington. Lo stato maggiore cinese studia la «guerra senza limiti». La competizione economica tra Pechino e gli Usa è già in corso. L'attrito militare è oggi pressione, domani possibile conflitto nucleare


      Fino a oggi non v'è stato esercito di mare o di terra che costituisse una minaccia per gli Stati Uniti. La situazione è destinata a cambiare rapidamente. Nei decenni a venire la Cina giocherà un'estenuante partita con gli Usa nel Pacifico, favorita non solo dalle sue coste sterminate ma anche da un sistema di basi che si estende fin dentro l'Asia centrale.Come possono gli Stati Uniti prepararsi ad affrontare la sfida?Il sistema di alleanze della seconda metà del XX secolo è finito. La guerra del Kosovo del 1999 ha messo in luce drammatiche spaccature all'interno della Nato. L'Alleanza è definitivamente crollata con l'invasione americana dell'Afghanistan, in seguito alla quale gli eserciti europei hanno fatto poco più che pattugliare zone già pacificate da soldati e marines statunitensi. Oggi la Nato è uno strumento per espandere le missioni di addestramento bilaterali tra Stati Uniti ed ex repubbliche comuniste: con i marines in Bulgaria e Romania, la marina in Albania, l'esercito in Polonia e Repubblica Ceca, le Forze Speciali in Georgia. Un suo equivalente nell'Oceano Pacifico esiste già: è il Comando Usa per il Pacifico, noto come Pacom.


      I suoi capi si rendono conto di ciò che sfugge a molti politici e professionisti dell'informazione: il centro di gravità delle preoccupazioni strategiche americane è già il Pacifico, non il Medio Oriente. Il raggio di influenza del Pacom include metà della superficie e più di metà delle economie mondiali. I sei maggiori eserciti del mondo, due dei quali (quello americano e quello cinese) si stanno modernizzando più rapidamente di tutti gli altri, operano all'interno della sua sfera di controllo. «Imbarcarsi in una guerra con la Cina è semplice -dice Michael Vickers, del Center for Strategic and Budgetari Assessments di Washington -. 


      Il dilemma è: come uscirne?». Un analista interno al Pentagono mi ha risposto: «Per porre termine a un conflitto con i cinesi dovremo ridurre in maniera radicale la loro capacità militare, minacciando le loro fonti di energia e la presa sul potere del Partito Comunista. Dopo, il mondo non sarà più lo stesso. È una strada molto pericolosa». Nei prossimi decenni la Cina destinerà all'esercito risorse sempre maggiori. L'unico realistico obiettivo degli Stati Uniti potrebbe essere incoraggiarla a investire in misure difensive e non offensive. Impegno che richiederà particolare cura perché, a differenza della vecchia Unione Sovietica, la Cina detiene tanto il potere morbido quanto quello duro. Il mix cinese di autoritarismo tradizionale ed economia di mercato esercita un esteso fascino culturale in tutta l'Asia e non solo. La democrazia risulta attraente laddove la tirannia sia stata un'esperienza odiosa e fallimentare, come in Ucraina e Zimbabwe. Il mondo, però, è pieno di aree grigie, come la Giordania e la Malaysia, dove la tirannia ha garantito stabilità e crescita. Prendiamo Singapore. 


      La mescolanza di democrazia e autoritarismo l'hanno resa invisa agli idealisti di Washington ma nel Pacifico Singapore offre la sola base non americana dove i mezzi nucleari Usa possano essere revisionati; il suo contributo alla caccia ai terroristi islamici nell'arcipelago indonesiano è stato pari se non superiore a quello offerto altrove dai maggiori alleati occidentali dell'America. Anche la politica richiede un riposizionamento in favore del Pacifico: le attuali tensioni tra Stati Uniti ed Europa impediscono l'integrazione militare, mentre gli alleati del Pacifico, notoriamente Giappone e Australia, auspicano un maggiore coinvolgimento militare al fianco degli Usa, per contrastare l'avanzata della marina cinese. Al momento le sfide poste dall'emergere della Cina possono apparire esigue. Gli Stati Uniti dispiegano 24 delle 34 portaerei di tutto il mondo; i cinesi non ne hanno neanche una.


      Eppure, all'inizio della guerra del Peloponneso, che durò ventisette anni, Atene disponeva di un notevole vantaggio rispetto a Sparta, che non aveva una flotta. Alla fine fu Sparta a vincere. La Cina si è lanciata in ingenti spese militari ma ancora per qualche decennio la sua marina e la sua aviazione non raggiungeranno i livelli statunitensi. Ecco perché i cinesi non hanno intenzione di fare agli americani il favore di impegnarsi in battaglie convenzionali, come quelle combattute nell'Oceano Pacifico durante la Seconda Guerra Mondiale. I cinesi useranno piuttosto un approccio asimmetrico, come fanno oggi i terroristi. Con un avanzato sistema missilistico i cinesi potrebbero lanciare centinaia di missili su Taiwan prima che gli americani riescano a raggiungere l'isola per difenderla. Una tale capacità, unita a una nuova flotta di sottomarini (destinata a superare presto quella Usa, se non in qualità, almeno in dimensioni), potrebbe bastare ai cinesi per costringere altri Paesi a negare alle navi americane l'accesso ai propri porti. C'è poi la coercizione ambigua: pensiamo a una serie di ciber-attacchi anonimi alla rete elettrica di Taiwan finalizzati a ridurre gradualmente la popolazione allo stremo. Non è fantascienza; i cinesi hanno investito molto nell'addestramento e nelle tecnologie da guerra cibernetica. Il fatto che la Cina non sia una democrazia non significa che i cinesi non siano padroni nella manipolazione psicologica di elettorati democratici.Quale dovrebbe essere la risposta militare degli Stati Uniti a sviluppi di questo tipo? 


      La «non convenzionalità».La Base aerea Andersen, sulla punta settentrionale di Guam, rappresenta il futuro della strategia Usa nel Pacifico. È la piattaforma di lancio più potente del mondo. Guam, che ospita anche una divisione sottomarina e una base navale in espansione, è importante per la posizione che occupa. Dall'isola è possibile coprire quasi tutta l'area di responsabilità del Pacom. Volare in Corea del Nord dalla costa occidentale degli Stati Uniti richiede tredici ore; da Guam ne occorrono quattro. «Non è come Okinawa - spiega il Generale Tennis Larsen -. Questo è suolo americano in mezzo al Pacifico. Guam è territorio Usa». Durante la Guerra Fredda la marina aveva una specifica infrastruttura pensata per contrastare una specifica minaccia: la guerra con l'Unione Sovietica. Oggi la minaccia è multipla e incerta: dobbiamo essere in qualsiasi momento pronti a combattere una guerra convenzionale contro la Corea del Nord o una controguerriglia non convenzionale contro un'isola-Stato canaglia spalleggiata dalla Cina. 


      Secondo l'esperto di Asia Mark Helprin, mentre gli Usa si impegnano a democratizzare il Medio Oriente, sostenendo solo gli Stati i cui sistemi interni siano simili al loro, la Cina si prepara a mietere i frutti di una politica che bada, amoralmente, ai propri interessi - come fecero gli Stati Uniti durante la Guerra Fredda. Dobbiamo anche renderci conto che nei prossimi anni e decenni la distanza morale tra Europa e Cina è destinata a ridursi in maniera considerevole, soprattutto nel caso in cui l'autoritarismo cinese accetti delle limitazioni e l'Unione Europea in continua espansione diventi un superstato «imperfettamente democratico», governato dai funzionari di Bruxelles. Anche la Russia sta procedendo in una direzione decisamente non democratica: il presidente Vladimir Putin ha risposto al sostegno Usa alla democrazia in Ucraina, con l'assenso a «massicce» esercitazioni aeree e navali congiunte con i cinesi senza precedenti. La situazione potrebbe portare a una Nato sostanzialmente nuova, con un'«armada » globale schierata sui Sette Mari. A un'Europa che tenta di evitare i conflitti e ridurre la geopolitica a una serie di negoziati e appianamenti, ben si adatterebbe questa rivalutazione del potere sul mare. Un potere costitutivamente meno minaccioso di quello terrestre, da sempre strumento privilegiato della Realpolitik. Man mano che l'influenza economica dell'Ue si espanderà nel globo, l'Europa comprenderà, al pari degli Usa nel XIX secolo e della Cina oggi, di dover andare per mare per proteggere i propri interessi. 


      La Nato è debole. Per riconquistare il suo significato politico, dovrà trasformarsi in un'alleanza militare della cui capacità di attacco immediato nessuno possa dubitare. Questa era la sua reputazione ai tempi della Guerra Fredda, così rinomata che i sovietici non vollero mai testarla. La sfida posta dall'esercito cinese è già una realtà per ufficiali e marinai Usa. La guerra sui mari è cerebrale. La minaccia, all'orizzonte; il nemico è invisibile e tutto si riduce a un calcolo matematico. L'obiettivo diventa ingannare più che attaccare, lasciare la prima mossa all'avversario. Il Pacifico nasconde minacce di ogni tipo. Benvenuti nel futuro. Parlando del Golfo Persico e dell'Oceano Pacifico, un alto ufficiale ha detto: «La marina dovrebbe dedicarsi meno a quella piccola pozzanghera di fango salato e pensare di più al mare».






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