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liberazione 24.11.05

Commissione di inchiesta sul G8: l'UNione dice di si

E' accordo al tavolo dell’Unione per due impegni di legislatura del 2006,
per noi di straordinario valore simbolico, oltre che per le aspettative
concrete che può determinare in migliaia di persone: l’istituzione di una
commissione di inchiesta sui fatti di Genova 2001 e l’approvazione di norme
in materia di identificazione delle forze dell’ordine.
Si tratta di proposte di legge che in questi anni la cosiddetta Casa della
libertà ha impedito di approvare, nonostante la nostra determinazione e
grande sostegno del movimento.
Il “Comitato Carlo Giuliani” e il “Comitato verità e giustizia”, in
particolare, avevano raccolto migliaia di firme per sollecitare
il parlamento e ora si erano appellati a tutti i partiti dell’Unione perché
questi impegni fossero presenti nel programma di legislatura e di governo.
Ma non tutti ci speravano: i partiti del centro sinistra avevano scelto di
non esserci nelle manifestazioni del luglio 2001 contro il G8; le
conclusioni del comitato di indagine parlamentare sui fatti di Genova
avevano visto diverse relazioni conclusive, quella del centro destra
naturalmente approvata, quella del centro sinistra e quella di Rifondazione
comunista, evidenziando quindi differenze e divergenze sulle analisi
politiche e la ricostruzione dei fatti; il centro sinistra era al governo
quando una
violenta repressione aveva colpito il movimento a Napoli e non aveva mai
sentito il bisogno di aprire una inchiesta su quei fatti.
Questo risultato non poteva essere dato per scontato, dunque, anche se
nessuno si è mai rassegnato. Perciò, in una recente assemblea a Genova col
segretario di Rifondazione comunista gli esponenti dei comitati, e in
particolare Haidi e Giuliano Giuliani, si erano raccomandati con lui
affinchè l’Unione segnasse una discontinuità col passato, anche su
questioni così delicate, ma per noi irrinunciabili. Per ora ce l’abbiamo
fatta. Il gruppo di lavoro sulla sicurezza ha licenziato un testo che
assume questi due
obiettivi e naturalmente confidiamo che i tavoli successivi possano solo
confermarli. E’ un fatto molto importante, perché ognuno di noi ha ritenuto
necessario un percorso giudiziario, ma non lo ha mai considerato esaustivo.
Considera invece che, insieme all’individuazione di responsabilità
individuali sul piano giuridico, è determinante fare luce sulle
responsabilità politiche, nazionali e internazionali.
Va peraltro sottolineato che la morte di Carlo Giuliani non conoscerà forse
mai un responsabile, almeno per la giustizia italiana
che ha archiviato il caso, e gli esponenti delle forze dell’ordine
colpevoli di abusi e violenze nella caserma di Bolzaneto e nella scuola
Diaz, a carico di decine di ragazzi e ragazze, erano tutti travisati,
perciò difficilmente riconoscibili nelle aule
di tribunale. Proprio perché ci è chiaro che la giustizia, in Italia e non
solo, negli ultimi anni in particolare si manifesta per
rilanciare in termini politici e culturali la questione delle garanzie
individuali, dell’attualità della Costituzione italiana, violata invece
proprio dagli esponenti delle forze dell’ordine, contrastando
il nuovo emergenzialismo di carattere internazionale. Perciò, non abbiamo
mai smesso di discutere, di organizzare iniziative, nei centri sociali,
nelle scuole e nelle feste di partito, coinvolgendo migliaia di giovani.
Una ricerca e una riflessione che, a partire da Genova, ci hanno consentito
di socializzare conoscenze giuridiche e legislative, arricchendo i nostri
argomenti contro le politiche sicuritarie ed emergenziali e in difesa dei
diritti fondamentali, in un mondo in cui, in nome della lotta al
terrorismo, si arriva persino a giustificare la tortura.
Mentre riscontriamo tra i giovani una forte sensibilità su questi temi,
siamo consapevoli di un grande lavoro ancora da svolgere, in generale,
proprio sul piano teorico culturale. Se le istituzioni, per impegno e
responsabilità dell’Unione, saranno in grado di
interrogare se stesse sui fatti di Genova e se anche il nostro paese si
doterà di norme in base alle quali sulla divisa e sul casco
di ogni poliziotto sarà scritto un numero che consenta di identificarlo,
sarà un vantaggio per tutti.
Le forze dell’ordine si sentiranno maggiormente responsabili nel loro
lavoro e comprenderanno di poter disobbedire a ordini che contrastino con i
principi costituzionali, i cittadini si sentiranno meno distanti dalle
istituzioni che dovrebbero rappresentarli, e forse i giovani si sentiranno
più tranquilli nell’andare in piazza per far sentire la loro voce. Forse è
poco, e comunque non sanerà mai le nostre ferite genovesi, ma almeno
possiamo sperare in un futuro più democratico.

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"Eppure il vento soffia ancora...."

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(luglio 2001).
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