-----Messaggio originale-----
Da: Gualtiero Via [
mailto:gualtierov2000@yahoo.it]
Inviato: venerdì 11 novembre 2005 9.59
A: glt-nonviolenza; nodo-bo@???
Oggetto: [glt NV] ancora sulla rivolta in Francia
ciao a tutti/e
dal numero di oggi della newsletter "La nonviolenza è in cammino" (per
contatti: nbawac@??? ), giro questo editoriale di Maria G. Di Rienzo
(con cui concordo parola per parola)
Gualtiero
1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: DEL DOLORE E DELLA MORTE [Ringraziamo
Maria G. Di Rienzo per questo intervento. Maria G. Di Rienzo
(...) e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in
esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e
la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco
(a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con
Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro
l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005]
"Si stanno rivoltando contro l'occidente e i suoi simboli": con ai piedi
le scarpe Nike o addosso la felpa Lonsdale e in tasca l'ultima versione
di cellulare. "Vogliono rispetto": e per ottenerlo hanno massacrato di
botte i loro coetanei che protestavano contro la riforma scolastica,
colpevoli di essere "ricchi e fisicamente deboli", e bastonato a morte
un pensionato di 61 anni che non li aveva infastiditi in alcun modo, e
sparato addosso a un gendarme che oggi rischia di perdere una gamba.
Quello che si ottiene con questi sistemi non e' il rispetto, ma la
paura, il terrore, la rabbia, il rigetto. "Le loro parole d'ordine sono
onore e vendetta": le ho gia' sentite, e quasi sempre provenivano da
ideologie politiche di destra ("C'e' una violenza che rende schiavi e
una violenza che libera", Benito Mussolini). "E' colpa delle legge sul
velo": non l'ha menzionata nessuno dei casseurs francesi, ma noi
intellettuali di sinistra ne sappiamo sempre una piu' del diavolo. Ah,
ci avessero ascoltato! Noi, naturalmente, non abbiamo bisogno di
ascoltare nessuno: che ce ne importa, a noi, se la maggioranza dei
cittadini francesi originari di paesi musulmani si dichiarano
religiosamente indifferenti? Perche' dovremmo perdere tempo ad ascoltare
chi in quei quartieri ci e' nata e ci vive, come Fadela Amara, che da
anni assieme ad altre donne e ragazze si ribella alla violenza delle
periferie? "Le donne e le ragazze dei quartiers vivono costanti
aggressioni: insulti, mani addosso, schiaffi. Il primo criterio in base
a cui vengono giudicate e' il loro abbigliamento che, secondo il codice
locale, deve coprire interamente i loro corpi. La maggior parte delle
ragazze si infagotta in tute da ginnastica e pantaloni larghi. Per non
essere chiamate troie e puttane e non essere assalite, oltre a
conformarsi a questo modo di vestire, le ragazze si sono abituate a fare
lunghi giri per non incrociare i gruppi dei ragazzi. Alcune portano il
velo non perche' siano musulmane, ma perche' sperano di essere lasciate
in pace".
*
Ora, io non respingo nessuna delle analisi sociologiche che devono
aiutarci a capire le origini della rivolta nei sobborghi francesi: i
problemi sociali aumentati a dismisura anche per effetto del
peggioramento delle condizioni economiche generali, il tasso di
disoccupazione che in quelle zone e' piu' del doppio della media
nazionale, l'essere discriminati ed esclusi, e non ultimo il dolore
abbacinante della morte di due giovanissimi. E sono del tutto d'accordo
sul fatto che la repressione violenta peggiorera' la situazione. In
effetti, ringraziando il cielo, sino ad ora le forze dell'ordine
francesi hanno tenuto la testa a posto e non hanno risposto con la
brutalita' che potrebbero usare, ne' hanno risposto al fuoco quando
bersagliati da colpi. Quello che non posso accettare e' la
giustificazione della violenza. Qualcuno mi deve spiegare che "onore" e
che "vendetta" sono presenti nel fatto di trascinare una donna
sconosciuta fuori dalla propria auto per i capelli, e nel pestarla
mentre si trova a terra e nel dare fuoco alla sua automobile. O che
senso "rivoluzionario" ci sia nel prendere a bersaglio asili, ospedali e
macchine di operai. O che identita' alternativa possa fondarsi
sull'odio, finanche quando quest'ultimo e' speculare a del disprezzo
ricevuto. Possibile che nessuno veda quanto questi sistemi siano
funzionali a cancellare il dialogo, quanto verranno usati come
giustificazione per future legislazioni repressive, per la
criminalizzazione di interi gruppi? O per massicci investimenti in
strumenti di controllo sempre piu' letali? ("La violenza accelera lo
sviluppo economico", Engels).
*
Naturalmente mi si rispondera' che la mia argomentazione e' troppo
"semplice", e' troppo facile bollare come violenza distruttiva la
violenza
distruttiva: dovrei saper leggere in essa i segni del crollo
dell'universalismo, del rifiuto della societa' occidentale, e magari
anche del fatto che quando le donne non stanno al loro posto i loro
figli e fratelli si arrabbiano e bruciano i quartieri. Figli e fratelli
che nell'usare violenza ripetono ciecamente cio' che i loro "padri
simbolici" (stato, polizie, eserciti) hanno sempre fatto, e in questa
ripetizione senza sbocco affermano di aver trovato la loro "identita'".
Ovviamente i padri sostengono o ripudiano a seconda di quanto da vicino
i figli ne hanno seguito le tracce. Permettetemi di rivendicare la mia
stupida semplicita': del dolore e della morte inflitti ad un altro
essere umano, sia esso un ragazzino delle periferie, un pensionato, un
gendarme, una donna al volante, io so solo dare le denominazioni
"sbagliato", "dannoso", "inutile". E non riesco a cambiare giudizio a
seconda che dall'altra parte, nel ruolo di chi infligge dolore e morte,
ci sia qualcuno che identifico come oppresso o come oppressore. La ruota
che vedo girare e' sempre e desolatamente la stessa. Cercare di dirsi
reciprocamente la verita': ecco la maggior forma di rispetto che posso
offrire a chiunque, compresi i casseurs francesi. "Perche' essendo qui,
e sapendo cio' che so, non posso scegliere altro che di inventare un
modo diverso di vivere. Non posso, pero', farlo da sola. Ed e' qui che
entri in campo tu" (Robin Morgan, Il demone amante, La Tartaruga, Milano
1998, p. 205).
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