"Berlusconi: Ero contro la guerra in Iraq. Bush non mi ha ascoltato" Rivelazione clamorosa del premier a meno di 48 ore dalla sua prossima visita alla Casa Bianca. Ebbene Berlusconi confessa di non essere mai stato convinto della guerra in Iraq e di aver cercato «a più riprese» di convincere Bush a non farla. «Io non sono mai stato convinto che la guerra fosse il sistema migliore per arrivare a rendere democratico un paese e a farlo uscire da una dittatura anche sanguinosa. Io ho tentato a più riprese di convincere il presidente americano a non fare la guerra». La rivelazione arriva nel corso di una lunga intervista realizzata da Rula Jebreal per La7 e che sarà trasmessa lunedì a «Omnibus». «Ho tentato di trovare altre vie e altre soluzioni - racconta il presidente del Consiglio - anche attraverso un'attività congiunta con il leader africano Gheddafi. Non ci siamo riusciti e c'è stata l'operazione militare. Ma io ritenevo che si sarebbe dovuta evitare un'azione militare».
La rivelazione ha il tono di una «excusatio non petita» che potrebbe finire per diventare una «accusatio manifesta». «Cos'è successo?- ironizza Romano Prodi - S'è accorto finalmente che è una guerra sbagliata? Allora lo dica....L'ha detto anche a Bush? Allora vuol dire che non conta nulla, nulla, nulla...». Insomma, quella di Berlusconi appare, per dirla con il diellino Beppe Fioroni «una dichiarazione di impotenza che esprime una strana concezione della politica estera e dell'essere alleati, un rapporto singolare in cui è sempre il più forte a decidere». Ma forse c'è anche qualche cosa di più. Il verde Alfonso Pecoraro Scanio, ad esempio, fulmina così la giravolta: «Aggrava la sua posizione perché ha coinvolto l'Italia in un conflitto che lui stesso non considerava giusto legittimando nei fatti la supremazia degli Stati Uniti. In altri tempi il presidente del Consiglio sarebbe stato processato per alto tradimento...».
Ma Berlusconi non è solo in questo amarcord. Anche Fini ieri, a ruota, si è ricordato si aver cercato «fino all'ultimo», insieme a Berlusconi, «di indurre Bush e Blair a non dare luogo all'attacco in Iraq». Insomma gli avventuristi restano gli americani e gli inglesi. I distinguo arrivano adesso che la credibilità di Bush e dei suoi collaboratori è minata dagli scandali e nessuna nuova offensiva retorica può servire a rilanciare il sostegno dell'opinione pubblica americana al conflitto in Iraq. Ci si costruisce una verginità nuova nuova dopo aver sostenuto Bush passo passo fin da quando mentiva sul legame fra il dittatore Saddam Hussein e il terrorismo internazionale e sulla presenza in Iraq delle armi di distruzione di massa.
«Siamo ad un'ennesima trovata in vista delle elezioni politiche o magari ha preoccupazioni legate alla vicenda delle finte prove sulle armi di distruzioni di massa e a indagini che hanno colpito alti esponenti dell'amministrazione Bush?», commenta il diessino Vannino Chiti. Triste destino quello di Berlusconi «che agisce in modo opposto a quello che, a quanto si racconta, è il suo pensiero».
Ma il suo pensiero Berlusconi lo ha espresso a più riprese in atti pubblici nel corso di questi anni. Nei mesi precedenti la guerra preventiva si vantava quasi quotidianamente di parlare con l'amico Bush. Nel settembre del 2002 ripeteva come una litania gli allarmi del presidente americano sulla presenza in Iraq delle armi di distruzioni di massa. C'erano e basta. Lo diceva Bush e lo ripeteva Berlusconi. «O le cose cambiano oppure sarà necessario agire concretamente con tutti i mezzi diplomatici o politici possibili e senza escludere l'opzione militare». La guerra preventiva? «Si può essere incauti per troppa fretta, ma anche se si passa all'azione troppo tardi» (lettera al «Foglio» del 10 settembre 2002). «È necessaria e indispensabile una risposta per salvaguardare la comunità internazionale dal pericolo costituito da un accumulo di armi di sterminio di massa» da parte dell'Iraq (13 settembre 2002, intervento alle Nazioni Unite). Il 23 gennaio del 2003 si dichiara certo che tra le prove delle ispezioni Onu ci saranno anche le armi di distruzione di massa: «Sappiamo che ci sono ulteriori prove certe». Il 9 febbraio 2003, reduce da un colloquio telefonico con Bush si lancia nel famoso elenco: «Dove sono andate le 6500 bombe chimiche, le 100mila tonnellate di agenti chimici, gli 8500 litri di antrace, i 146 missili a lungo raggio?». Adombra il fatto che «le armi biologiche o chimiche possano essere già state consegnate alle organizzazioni terroristiche». E dunque: «Per l'America si impone l'adozione di contromisure». Il 19 febbraio 2003 dichiara al Senato: «I no alla guerra senza se e senza ma non bastano di per sé a costruire la pace perché c'è il pericolo, quando si gioca con la preoccupazione della gente di fronte al rischio militare, di rendere più difficile la realizzazione di un obiettivo sacrosanto come disarmare l'Iraq».