Autor: marku Data: Para: movimento CC: cerchio Asunto: [Cerchio] il manifesto dalle righe sprecate!
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Bologna, vita in baracca e fatica al palazzo
I rumeni che il sindaco non vuol vedere lavorano in ospedale e se serve
anche in tribunale
SARA MENAFRA
INVIATA A BOLOGNA
Bologna non li vuole vedere. Devono andare via, più lontano possibile,
perché la città ha paura. «Per avere libertà bisogna rispettare la
legalità»
dice il procuratore capo di Bologna, Enrico Di Nicola, quando qualcuno gli
chiede delle proteste contro lo sgombero sul Lungoreno. Poi però, quando si
rompe un tubo nel tribunale di Bologna, ad aggiustarlo ci va un baraccato.
«E' stato più o meno un anno fa - racconta Suraj, 29 anni - si era rotto un
tubo e hanno chiamato noi. Non per l'idraulica, ma per rompere il muro e poi
richiuderlo. Era un ufficio al primo piano del palazzo del tribunale
vecchio, credo. Il signor P. ha preso il lavoro in subappalto e ha mandato
me. Ci ho messo un paio di giorni e mentre stavo lì a un certo punto mi sono
seduto sulla sedia del giudice. Solo un minuto, tanto per vedere com'era.
Comoda». Suraj ha lavorato per due anni senza permesso di soggiorno e senza
contratto. Nemmeno in tribunale - il luogo della Legalità per eccellenza,
quella che il sindaco Cofferati voleva ristabilire distruggendo la baracca
accogliente in cui Suraj e la moglie offrivano caffè scuro a chi voleva
sapere la loro storia - qualcuno gli ha chiesto chi fosse. L'unico che sa la
verità è quel signor P. per cui ha lavorato tante volte e a cui tante volte
ha chiesto una mano per rientrare nei «flussi» previsti dalla Bossi-Fini. E
non ne sa niente la ditta per cui Suraj dice di aver lavorato in
subbappalto, la Manutencoop. «Conosciamo l'imprenditore, non ci risulta che
abbia lavoratori in nero o clandestini. Se così fosse il nostro rapporto di
lavoro si interromperebbe. Comunque in questi posti lavorano anche altre
aziende, non è detto che sia un nostro appalto» rispondono dalla
cooperativa, 8000 soci in tutta Italia di cui 1400 stranieri, un pezzo
grosso della Lega delle cooperative.
Quando la settimana scorsa sono arrivati i trattori mandati dalla polizia
con il placet del sindaco Cofferati, Suraj non c'era. Era corso a casa in
Romania perché i figli, lasciati con la nonna, stavano male. La sua baracca
è sparita, ma se ci torni, capita di incontrarci Johan, suo fratello, un
anno di meno e sempre quattro figli da mantenere in Romania. Anche la sua
casa è stata buttata giù dai trattori del comune, però di andar via non se
ne parla, meglio piuttosto cercare un posto sicuro dove costruirne una
nuova: «Rimanere qui sarà sempre meglio di tornare in Romania dove non c'è
lavoro e ora, con le alluvioni, credo non ci sia più neppure casa mia».
Anche Johan lavora per Bologna. La stessa città che scrive al sindaco «tieni
duro» quando qualcuno protesta contro gli sgomberi. Forse addirittura gli
stessi anziani di via della Birra, riuniti in comitato per cacciare i rumeni
dal «loro» fiume, potrebbero aver vissuto un po' meglio grazie a lui. Sette
mesi fa l'hanno chiamato dal Bellaria, l'ospedale di eccellenza di Bologna,
quello famoso in tutta Italia per gli interventi di neurologia. Si era rotto
l'impianto di aria condizionata e il signor S. l'ha chiamato per rompere e
richiudere un altro muro. Johan ha ventott'anni, quattro passati a lavorare
a Bologna, sempre per ditte piccole, tutte, ma proprio tutte, gestite da
bolognesi. Il signor P., quello del tribunale, il signor S. e poi quelli che
si fanno chiamare per nome G. e S.. Cercarli per chiedere cosa pensano
significa rischiare di far perdere il lavoro a Johan. Ma i nomi che fa
coincidono tutti: sono «artigiani», qualcuno anche stimato.
Il caporalato sulle rive del Reno è una realtà quotidiana. Persino noi, un
paio di giorni fa, quando siamo andati a cercare quante baracche fossero
rimaste sulle rive del fiume, ne abbiamo incontrato uno. Diceva di chiamarsi
Sergio Gazzara e di voler dare «una mano» ai baraccati: «C'è un mio amico
che può dargli da lavorare, una casa e tutto. Magari lavorano 10 ore e
gliene pagano sette, ma quando uno ha bisogno...». Verrebbe voglia di portar
qui il signor Romano Cremonini, 73 anni, un fratello ammazzato dai nazisti
durante la resistenza e i genitori che negli anni `50 facevano avanti e
indietro con la Germania. Ora lui vive nel quartiere del Lungoreno, in via
Angelo Piò, ed è uno di quelli che appena si parla dei rumeni si mette a
urlare: «Lavorano? Ma dove? Dove? Forse ce ne saranno uno o due, ma gli
altri?». E invece i caporali ci sono. La Fillea-Cgil, il sindacato degli
edili, ne ha denunciati tanti. Arrivano con i pulmini, li vengono a prendere
la mattina presto, verso le 6.30 e li riportano a casa la sera. «Ormai
l'appuntamento cambia giorno per giorno perché sanno che li seguiamo e
raccogliamo le denunce», racconta il segretario del sindacato, Valentino
Minarelli.
Per i rumeni del Lungoreno il miraggio sarebbe avere un permesso di
soggiorno. Che poi vuol dire lavoro fisso e magari una casa. Il pezzo di
movimento bolognese che due anni fa aveva aperto loro le porte del
Ferrohotel, sgomberato in primavera, aveva pensato ad un progetto di
emersione che sfruttasse l'articolo 18 della Bossi-Fini, quello che permette
alle prostitute di mettersi in regola se denunciano il loro sfruttatore.
«Avevamo chiesto al comune di fare da mediatore per evitare che gli
immigrati potessero essere arrestati durante la regolarizzazione», racconta
Domenico Perrotta, che ai clandestini dedica anche la sua ricerca di
dottorato. Cofferati ha sempre rifiutato e due giorni fa ha ribadito:
«Aprirò un percorso se gli immigrati si presenteranno da me di persona. Non
posso accettare la mediazione di avvocati o altro». Forse, sotto sotto,
questa cosa della rappresentanza dei lavoratori non l'ha mai convinto.
Solo per far notare che in qualsiasi articolo del manifesto (quotidiano
comunista?)se si parla dei lavoratori si conclude sempre con un sindacalista
pio (della cgil naturalmant) che soccorre i bisognosi,
se si parla di politica vi è un politico dei ds che amante della giustizia
grida ai quattro venti che il centrodestra vuole sfasciare la demokrazia
instaurata dalla resistenza.
Domanda?
ma chi vuole sfrattare immigrati, studenti, occupatori, poveri ed emarginati in
generale?
quali sindacalisti presenti in qualsiasi posto di lavoro non vedono lavorare
irregolari vari e non denunciano alle autorità i datori di sfruttamento in
nero?
il mio discorso è sempre quello, prima interveniamo a sinistra (soprattutto
dove la sinistra è governo è potere costituito) evidenziando e facendo
esplodere le contraddizioni di un sistema politico informativo che affonda le
radici in quello che già nel 77 venne clamorasamente smascherato quando un pci
perso il controllo guida delle masse, messo alle strette da un movimento
libertario in crescita esponenziale decise di farsi stato e appoggiare i carri
armati in piazza e repressione alla sudamericana con il fantoccio koSSiga a
protezione di poteri forti e ordine costituito.
Lor signori tra incubo di sicurezza e montante ribellismo dovuto alle loro
pazzesche scelte politico-economiche (guerra infinita e travaso immenso di
risorse all'apparato militare e repressivo con scioglimento o abolizione di
qualsiasi forma di sicurezza sociale.
Questa volta smettono il desueto contropiede a favore del gioco d'anticipo che
comporta una tattica di supporto alla legalità quale centravanti di
sfondamento di ogni tipo di riorganizzazione delle genti, cominciando
naturalmente dai più indifesi e facilmente disgregabili i sans papier i senza
identità se non quella della loro vita sacrificata al libero mercato.
Mi par di ricordar i tempi delle baraccopoli di immigrati del sud quelli brutti
sporchi e cattivi.