28 ottobre 2005
Uccidono ancora
Fulvio Vassallo Paleologo*
Sono undici i migranti morti nel rogo del centro di detenzione
amministrativa ubicato all'interno dell'aeroporto di Amsterdam. La
gravità sconvolgente della tragedia conferma la necessità di
chiudere subito tutti i centri di permanenza temporanea e le
cosiddette "zone di attesa aeroportuali", luoghi nei quali i
migranti "non regolari" vengono trattenuti senza alcun rispetto per
la dignità e per i diritti fondamentali della persona umana. Come in
mare, sono centinaia gli immigrati morti in Europa nel corso della
detenzione amministrativa o durante le pratiche sempre più violente
di allontanamento forzato. La tragedia di Amsterdam ricorda il rogo
del centro di permanenza temporanea Vulpitta, a seguito del quale,
nel dicembre del 1999, morirono sei immigrati maghrebini.
Vedremo se in questa occasione la giustizia olandese riuscirà a
rendere giustizia ai morti, risultato che non è stato raggiunto in
Italia in casi analoghi, malgrado le responsabilità e le
contraddizioni emerse nel corso del processo di Trapani, una vicenda
che ormai nessuno ricorda più, malgrado gli atti siano facilmente
accessibili su internet tramite un qualsiasi motore di ricerca.
Ricordare oggi la tragedia del Vulpitta potrebbe essere assai
spiacevole per coloro che in quel periodo gestivano la prima
applicazione della legge Turco-Napolitano che aveva introdotto i
centri di permanenza temporanea. Come per l'ex ministro degli
interni Bianco, strenuo difensore della detenzione amministrativa,
che dopo la tragedia di Trapani propose di utilizzare le caserme
militari per rinchiudere gli immigrati in attesa di espulsione.
Ma ricordare i drammi e gli abusi che si consumano all'interno dei
Cpt è altrettanto scomodo per chi oggi afferma oggi di volere il
superamento della legge Bossi-Fini ed una svolta nelle politiche
dell'immigrazione, dell'asilo e della cittadinanza, ma nei fatti
ripropone sbarramenti (come gli accordi di riammissione con i paesi
di transito) e pratiche di detenzione che si collocano al di fuori
delle costituzioni e dei trattati internazionali. I trattamenti
inumani e degradanti vietati dalla Convenzione europea a
salvaguardia dei diritti dell'uomo sono ormai la pratica quotidiana
che si adotta nella detenzione amministrativa degli immigrati
irregolari per sancirne il loro status di "non persone", da
espellere più facilmente o da sfruttare nel mercato nero del lavoro.
Quanto accaduto nel centro di detenzione dell'aeroporto di Amsterdam
pesa sulla coscienza di quei governanti europei che hanno scelto la
politica dell'Europa- fortezza, una politica che produce ogni giorno
decine di morti, da Ceuta e Melilla a Malta e alle coste greche e
turche, da Lampedusa ad Amsterdam. Quei morti invisibili, senza
nome, sono testimoni muti di una barbarie di stato che sta minando
alle basi la possibilità di convivenza pacifica tra immigrati e
cittadini europei.
Una barbarie alla quale è ancora possibile opporsi chiedendo verità
e giustizia, in tutte le sedi giudiziarie nazionali e
internazionali.
La moltiplicazione delle barriere, dei reticolati e dei meccanismi
di esclusione alimentano nel tempo quei rischi che i fautori delle
politiche securitarie sostengono di volere allontanare. I diritti
fondamentali dei migranti "non regolari" sono invece un patrimonio
prezioso per una società democratica e possono essere difesi in una
cornice di sicurezza (per tutti).
La detenzione amministrativa non può costituire la struttura
portante di un diritto speciale che si applica solo ai migranti "non
regolari". Il contrasto alle reti criminali che trafficano esseri
umani deve rispettare i diritti delle persone, che di quel traffico
sono le prime vittime. Quello che è successo nel 1999 a Trapani e
ora ad Amsterdam potrebbe ripetersi ancora altre volte.
Su questo terreno associazioni e movimenti, dovranno raggiungere una
maggiore unità (anche con le organizzazioni dei migranti) e una
migliore capacità di comunicazione con l'esterno, con l'intera
opinione pubblica, e diventare così interlocutori diretti delle
istituzioni locali e di quelle forze politiche che oggi si candidano
per una svolta nel governo del paese.
*Università di Palermo