[NuovoLab] tra i deportati in equador

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Gli irregolari "genovesi" sbarcano dall´aereo e si sfogano con la stampa
"Io, operaio clandestino deportato in Ecuador"
Parlano gli espulsi all´arrivo a Quito




Nei giorni scorsi, la questura di Genova ha espulso una trentina di
cittadini ecuadoriani, privi del permesso di soggiorno. Nessun capo delle
baby gang, anche perché la maggior parte oscilla tra i 35-40 anni. Gli
avvocati hanno parlato di espulsioni indiscriminate, la polizia replica che
si tratta di clandestini con precedenti. Ecco il racconto di uno degli
indesiderati raccolto da un quotidiano dell´Ecuador
QUITO - Ha lo sguardo perso nel vuoto. José Quinga non ha più un centesimo.
L´amico conosciuto durante il volo, quello che gli ha giurato che lo
avrebbe aiutato, è già sparito. Di lui gli è rimasto solo il nome, Juan. I
tassisti dell´aeroporto Mariscal Sucre gli gridano che basterà un dollaro
per arrivare al terminal. Per José, l´incubo iniziato a Genova non sembra
finire mai. «Ho passato cinque giorni in carcere», dice. E in questi cinque
giorni aveva potuto parlare al telefono con la moglie, era sicuro che lo
avrebbero rilasciato. Ma non è andata così. Lo hanno fatto salire su un
aereo che prima lo ha portato a Roma, quindi a Madrid: e senza neppure
capire cosa stesse accadendo, già si ritrovava a Quito, lo scorso
mercoledì. Eppure, viveva in Italia da cinque anni. Clandestinamente. Forse
il calore di questa città italiana non era paragonabile a quello di
Guayaquil, dove è nato. Ma gli piaceva vivere lì, in questa città c´era
qualcosa che gli ricordava la sua. Ed è stato così, che dopo il primo anni
ha fatto arrivare i suoi due figli. E l´anno seguente sua moglie, Maria.
Come muratore gli andava molto bene. Fino a giovedì della settimana scorsa.
Quel giorno, José, che ha 46 anni, camminava con un borsone nero sulla
spalla. Un poliziotto gli ha chiesto cosa c´era dentro. Dentro c´era il
pranzo preparato dalla moglie, e gli attrezzi da muratore. Gli hanno
chiesto i documenti, E dal momento che non aveva nulla con sé, lo hanno
portato via.
Quello che più ha indignato queste persone rimpatriate, è stato scoprire
che l´aereo era un «charter» di espulsi dall´Italia e dalla Spagna. Quando
lo hanno scoperto, hanno cominciato tutti a maledire i Paesi che li avevano
espulsi.
Ernesto Armendáriz, 44 anni, è stato deportato da Barcellona. Dice che non
ha avuto il tempo neppure di dare spiegazioni: è sceso dalla sua macchina,
la polizia lo ha preso e lo ha trasferito a Madrid. «Anche un cane avrebbe
ricevuto un trattamento migliore», dice con un marcato accento spagnolo.
Poi arriva una dozzina di ragazzi, che si copre il volto con i cappucci
delle felpe. «Perché siete stati deportati?», chiede un giornalista. «Cosa
te ne frega», risponde uno, nascondendosi dietro un muro di sguardi ostili.
Hanno soldi, e pagano un autista che li accompagnerà al terminal terrestre.
Chissà che fine faranno. Restano le perplessità, se la deportazione è
avvenuta solo in conseguenza del fatto di non avere documenti o se dietro
il provvedimento non ci siano in realtà dei guai con la giustizia. Tutti
giurano che è stato solo per la mancanza dei permessi di soggiorno.
José Quinga continua a guardarsi intorno, e non s´arrende. Cerca con gli
occhi il suo amico, Juan. Juan aveva detto di avere cinque dollari in
tasca. E´ il solo che lo può aiutare. Ma non si vede.
Per gentile concessione del quotidiano El Universo