[Cm-roma] Dopo Bush il diluvio (cos'e' il protocollo di Kyot…

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Autor: luca bicycling
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Assunto: [Cm-roma] Dopo Bush il diluvio (cos'e' il protocollo di Kyoto)

http://www.tmcrew.org/eco/clima/dopobushildiluvio.html

Un interessante articolo uscito nel 2001 spiega le problematiche climatiche
e come si è arrivati al protocollo di Kyoto... di nuovo di grande interesse
dopo il disastro di New Orleans


tratto da Internazionale n.8 - 7/13 settembre 2001


Dopo Bush il diluvio


La storia del Protocollo di Kyoto dimostra quanto siano deboli gli sforzi
per salvare il pianeta

MURRAY SAYLE, THE LONDON REVIEW OF BOOKS, GRAN BRETAGNA

PER SAGGIO DISEGNO DELL AUTORE DELLA NATURA, IN TUTTE LE COMUNI CIRCOSTANZE,
come pure nella nostra vita, la virtù è la vera saggezza, il mezzo più
sicuro e più rapido per ottenere al
contempo sicurezza e vantaggio".
Adam Smith, La teoria dei sentimenti morali.


Il 13 marzo scorso il presidente George W. Bush ha scritto a quattro
senatori del Partito repubblicano per informarli che non avrebbe ratificato
il Protocollo di Kyoto, che mira a ridurre le emissioni mondiali dei gas
serra, soprattutto l'anidride carbonica lo stesso protocollo che Al Gore
aveva negoziato nel 1997 quando era vicepresidente.

Qualche giorno dopo Bush ha seccamente difeso la sua decisione in una
conferenza stampa a Washington: "Non intendo accettare un piano che
danneggerà la nostra economia e i lavoratori americani. La cosa in assoluto
più importante sono le persone che vivono negli Stati Uniti; è questa la
mia priorità". La brusca decisione di Bush di ritirare il suo appoggio a un
accordo già stipulato dal suo ex avversario è stata accolta con sgomento da
molti democratici e persino da alcuni repubblicani sensibili, così come dai
verdi e dagli ambientalisti di tutto il mondo.

Un mondo in cui gli Stati Uniti, con il 4 per cento della popolazione del
pianeta, emettono un quarto di tutti i gas serra, soprattutto per generare
elettricità, riscaldare, refrigerare e per far funzionare il sistema dei
trasporti. A chi gli ricordava la sua promessa elettorale di sostenere le
riduzioni obbligatorie di CO2 dalle centrali elettriche statunitensi, Bush
ha risposto che "la situazione è cambiata dopo la campagna elettorale.
Noi", cioè gli americani "ora ci troviamo in un periodo di crisi energetica".

Il texano tossico

Qualche giorno dopo il vicepresidente Dick Cheney, un veterano
dell'industria petrolifera texana proprio come Bush, ha annunciato una
nuova politica americana per generare più energia e ha previsto che agli
Stati Uniti occorreranno tra le 1.300 e le 1.900 nuove centrali elettriche
nei prossimi vent'anni, la maggior parte delle quali bruceranno carbone
"Che non è la fonte di energia più pulita", ha ammesso Cheney, "ma la più
abbondante fonte di energia a basso costo del paese".

Philip Clapp, presidente del National Environmental Trust degli Stati
Uniti, ha accusato il piano Cheney di essere "un attacco all'ambiente che
oltrepassa le nostre frontiere". Gli europei hanno cominciato a chiamare
Bush "il texano tossico". Gli scienziati, quasi unanimi, hanno condannato
l'improvviso cambio di atteggiamento dell'amministrazione americana. Un
commento significativo e venuto da Nature: la rivista afferma che la
decisione di Bush "chiarisce perfettamente com'è schierata
l'amministrazione su questioni in cui gli scienziati, di regola, dovrebbero
avere un importante ruolo consultivo. E' fermamente schierata a fianco
degli imprenditori e degli inquinatori che hanno contribuito a pagare la
vittoria elettorale ben poco impressionante di Bush nel novembre scorso, e
al diavolo l'evidenza scientifica". Per pura coincidenza,
l'Intergovernmental Panel on Climatic Change, la Commissione
intergovernativa sul cambiamento climatico (Ipcc), si è riunita a Nairobi
meno di un mese dopo che Bush aveva di fatto stracciato il Protocollo di
Kyoto, e ha inserito nel suo sito Internet un rapporto che aggiornava le
conclusioni raggiunte nel 1995 dal Primo gruppo di lavoro, su cui era
basato il protocollo del 1997. I nuovi dati, approvati da oltre mille
insigni climatologi, confermano che le condizioni climatiche continuano a
peggiorare.

Cupe prospettive

Cape Grim, cioè Capo Tetro, fu battezzato con questo nome significativo dal
britannico Matthew Flinders, della Royal Navy, che lo scoprì nel 1798.
Questo sperone di arenaria alto cento metri si protende sull'Oceano Indiano
dalla costa occidentale della Tasmania, spazzata dai venti. Qui nove
meteorologi che inviano i loro rapporti all'Ipcc lavorano in un agglomerato
di baracche e fanno avanti e indietro da Smithton, il centro abitato più
vicino, dove si arriva percorrendo 120 chilometri di strada attraverso il
bush, la macchia australiana. Sulle loro teste si innalza un pilone di una
settantina di metri, sormontato da strumenti per prelevare campioni d'aria.

La stazione di rilevamento dell'inquinamento atmosferico di Cape Grim fa
parte di una rete internazionale di centri analoghi dislocati in luoghi
sperduti, lontani dagli insediamenti umani - Barrow in Alaska, Alert
nell'Artico canadese, Ushuia vicino a Cape Horn, il vulcano di Mauna Loa
alle Hawaii, in Antartide vicino al Polo Sud, e altre ancora create quando
l'Anno geofisico internazionale del 1957 lancio l'allarme sulle condizioni
dell'atmosfera.

Come le stazioni sorelle, il centro di Cape Grim manda rapporti
all'Organizzazione meteorologica mondiale di Ginevra raccontando una storia
di allarme perenne: negli ultimi vent'anni la concentrazione di anidride
carbonica nella pura aria marina da cui preleva i suoi campioni e cresciuta
del 10 per cento e il tasso di crescita è in accelerazione.

La storia della CO2

Quando Bush ha osservato che l'anidride carbonica non è un inquinante, ha
dimostrato, o forse finto, una dubbia comprensione del ciclo del carbonio,
e quindi della realtà che si nasconde dietro il grande scalpore sollevato
dai media. In un certo senso ha ragione.

Di per sé, l'anidride carbonica è innocua, persino divertente. Tutti noi
esaliamo circa un chilo di CO2 al giorno; fa le bollicine nell'acqua
frizzante, la schiuma sulla birra e le ricciolute nubi di vapore (prodotte
dalla sua forma gelata, il ghiaccio secco) con cui le pop star accompagnano
la loro entrata in scena. Senza l'anidride carbonica, di fatto, non saremmo
qui. Attraverso il processo naturale della fotosintesi, il pigmento
complesso della clorofilla il verde della vegetazione terrestre e marina
utilizza l'energia della luce solare per fissare la componente di carbonio
dell'anidride carbonica più l'idrogeno e l'ossigeno dell'acqua in modo da
produrre carboidrati. Noi li consumiamo direttamente nelle nostre salubri
insalate verdi, oppure di seconda mano negli hamburger, nel pesce fritto o
nelle crocchette di pollo, e poi espiriamo la quantità corrispondente di
CO2, che viene riciclata nell'aria e nel mare e torna di nuovo a noi sotto
forma di carboidrati. Il ciclo del carbonio un tempo era chiuso, e se
avessimo continuato a vivere di caccia e prodotti della natura o ci fossimo
fermati all'agricoltura a energia muscolare, avrebbe potuto restare chiuso
per sempre.

Poi scoprimmo i combustibili fossili. Marco Polo raccontò che i cinesi si
tenevano caldi bruciando pietre nere, ma l'attuale ingordigia energetica
risale al 1709, quando Abraham Darby cominciò a usare il coke per fondere
il ferro; all'invenzione della macchina a vapore di James Watt nel 1765; e
allo scavo del primo pozzo petrolifero compiuto da Elmer Drake a
Titusville, in Pennsylvania, nel 1859 tutti e tre, per inciso, uomini
d'affari anglofoni. I tre combustibili fossili più importanti carbone,
petrolio e metano in una certa fase furono (prevalentemente) carboidrati,
materia vivente che si fossilizzò in un periodo relativamente breve se si
può definire breve un periodo di 90 milioni di anni qualcosa come 200
milioni di anni fa, in quello che i geologi europei chiamano il Periodo
carbonifero e i loro colleghi statunitensi più campanilisti il
Mississipiano e il Pennsylvaniano. Il processo fu lo stesso sulle due
sponde di quello che doveva ancora diventare l'Oceano Atlantico. Immense
distese di alberi, felci e altra flora fiorirono nelle paludi e furono
sepolte sotto la sabbia, il limo e il fango di inondazioni titaniche. La
vegetazione che rimase dov'era divenne carbone, il petrolio greggio
prodotto nelle paludi dall'azione dei batteri risalì nei letti di sabbia
sovrastanti, che imprigionarono anche grandi quantità di gas di palude, più
noto come metano o gas naturale.

Tutte e tre le forme, avendo perso l'ossigeno che un tempo contenevano,
consistono prevalentemente di idrogeno e carbonio, da cui il termine
"idrocarburi". Il carbone contiene anche zolfo, fosforo e altre impurità
letali a cui alludeva Cheney; il petrolio ne contiene di meno, mentre il
metano e carbonio puro misto a idrogeno. Bruciati come combustibile, tutti
e tre producono anidride carbonica, e quindi reintroducono nella nostra
atmosfera - attualmente al tasso di nove miliardi di tonnellate l'anno, ma
la cifra è in aumento - il carbonio fissato anticamente dalla luce solare
che è stato fuori circolazione per milioni di anni.

Il risultato dell'aumento delle emissioni di CO2 è che una maggiore
quantità di calore solare resta con noi, sciogliendo il ghiaccio e la neve
(che riflettono il calore rimandandolo nello spazio). L'acqua che si
scioglie dai ghiacciai fa salire il livello del mare, e noi ci stiamo
avviando sempre più rapidamente verso un nuovo Carbonifero, anche se il suo
carbonio sepolto per milioni di anni non ci ha fatto nessun male fino a
quando non abbiamo cominciato a estrarlo. (Che l'effetto serra sia una
realtà è un'assoluta certezza: alcuni coltivatori britannici pompano CO2
nelle loro serre di pomodoro). Fino a oggi i cambiamenti climatici
provocati dall'uomo e indicati dagli scienziati nell'ultimo rapporto del
Primo gruppo di lavoro non sono stati così rilevanti, quanto meno se
considerati in una prospettiva di lungo periodo. Nel Ventesimo secolo la
temperatura media sulla superficie della Terra è cresciuta tra 0,4 e 0,8
gradi, una variazione di cui nella vasca da bagno non ci accorgeremmo
neppure. Ma fino al 1995 l'aumento era stato tra 0,2 e 0,6 gradi: ciò vuol
dire che negli ultimi cinque anni del secolo il riscaldamento si è
accelerato. La superficie coperta di neve, osservata dai satelliti, si è
ridotta del 10 per cento dalla fine degli anni Sessanta; nel Ventesimo
secolo il livello medio del mare e cresciuto tra 0,1 e 0,2 metri (per
l'aumento termico degli oceani più caldi a cui si aggiunge il deflusso più
rapido delle acque disciolte). La concentrazione atmosferica di CO2 dal
1750 è aumentata del 31 per cento; il livello attuale di CO2 nell'aria non
è mai stato più alto negli ultimi 420mila anni e probabilmente (secondo una
stima prudente degli scienziati, che indicano un 66-90 per cento di
probabilità) negli ultimi venti milioni di anni. Il tasso di incremento
attuale non ha precedenti negli ultimi ventimila anni, vale a dire
dall'ultima era glaciale. Come facciamo a saperlo? Analizzando bolle d'aria
catturate dai campioni prelevati a quattro chilometri di profondità nelle
calotte glaciali dell'Antartide e della Groenlandia.

Grafici inquietanti

Anche agli occhi di un profano è chiaro che esiste una convincente evidenza
scientifica del fatto che la nostra abitudine di bruciare combustibili
fossili è responsabile di questi cambiamenti. L'ultimo rapporto dell'Ipcc
contiene quattro grafici inconfutabili: le curve che mostrano le
concentrazioni atmosferiche dei tre gas serra anidride carbonica, metano e
protossido di azoto e la curva che mostra gli aerosol di solfato emessi
insieme alle polveri e depositati sul ghiaccio della Groenlandia. Le curve
rimangono allo stesso livello fino alla fine del Settecento e poi tutte e
quattro cominciano a salire simultaneamente, avvicinandosi sempre più alla
verticale con l'approssimarsi dell'anno 2000.

Il probabile aumento del riscaldamento globale viene analizzato in
dettaglio dal Secondo gruppo di lavoro dell'Ipcc, un'altra commissione
composta da insigni scienziati, in "Cambiamento climatico 2001: impatti,
adattamento e vulnerabilità". La prima cosa che notiamo in questo rapporto
e l'ampiezza delle sue previsioni. Per l'anno 2100, dicono, la temperatura
media globale sarà cresciuta tra 1,4 e 5,8 gradi (da una variazione appena
avvertibile a un'autentica calura), il livello medio del mare salirà da
0,09 a 0,88 metri (la profondità che separa una pozzanghera da uno stagno).
Se nei prossimi mille anni le calotte di ghiaccio della Groenlandia e
dell'Antartide occidentale si scioglieranno, il livello globale del mare
potrebbe crescere fino a sei metri.

Ma prima di precipitarci alle scialuppe di salvataggio dovremmo osservare
che questi mutamenti, a breve o a lungo termine, non saranno distribuiti
omogeneamente: gli abitanti di alcune regioni potrebbero addirittura trarne
dei benefici. Probabilmente staranno peggio quelli che già oggi se la
passano male. Alcuni paesi insulari, come Kiribati, un gruppo di atolli del
Pacifico che non superano i due metri di altezza sull'attuale livello del
mare, potrebbero sparire completamente. Il Bangladesh, che ottiene tre
raccolti di riso l'anno sul delta del Gange e del Brahmaputra, ma a prezzo
di frequenti tragedie provocate da uragani e inondazioni, diventerà un
paese ancora più a rischio per gli agricoltori. In generale peggiorerà la
situazione alimentare, già pessima, dei piccoli contadini che praticano
l'agricoltura di sussistenza, soprattutto in Africa. Si diffonderanno
malaria, dengue e febbre gialla. Viceversa alcune zone dell'Asia
meridionale e del Sudest asiatico che attualmente sono a corto di acqua
probabilmente avranno dei vantaggi. Vaste aree della Russia, oggi coperte
dal permafrost, potrebbero trasformarsi in terra fertile e la Finlandia
potrebbe diventare una regione vinicola.

A questo punto le alternative sono tre: l'esaurimento del combustibile
fossile (nell'ultimo secolo è andato in fumo il petrolio accumulato in 14
milioni di anni); la scoperta è la diffusione dell'impiego di fonti di
energia alternative senza carbonio; oppure la vita in un mondo più caldo,
più umido e bersagliato dalle tempeste, ma ancora abitabile da creature
facilmente adattabili come noi.

Fantasilandia di Kyoto

Davanti a questo scenario inquietante, seppure ambiguo, i delegati di oltre
cento paesi – diplomatici, politici e sciami di lobbisti (63 solo dalle
compagnie petrolifere e carbonifere degli Stati Uniti) – si incontrarono a
Kyoto nell'autunno del 1997 per stipulare un trattato sul riscaldamento
globale. In un suo libro dal titolo profetico The Collapse of the Kyoto
Protocol and the Struggle to Slow Global Warming (Bush non aveva ancora
scagliato i suoi strali quando il manoscritto è stato completato), David
Victor del Council on Foreign Relations di New York lo chiama "la
fantasilandia di Kyoto" e in retrospettiva bisogna dire che non è mai
esistita la possibilità di un accordo praticabile. Ma i delegati di Kyoto
credevano di avere due precedenti incoraggianti. Nel 1985 Joe Farman,
responsabile del British Antarctic Survey – il contributo del Regno Unito
all'Anno geofisico internazionale del 1997 – raccontò a Nature un fenomeno
bizzarro: nel decennio precedente lo strato di ozono (O3), che filtra le
radiazioni ultraviolette del Sole, si era assottigliato del 50 per cento
nei mesi estivi, contribuendo al riscaldamento globale e aumentando
l'incidenza dei tumori della pelle e delle cataratte.

Finalmente si scoprì che il colpevole era il gas freon, o più esattamente
il clorofluorocarburo (Ccf), creato nel 1928 dal chimico statunitense
Thomas Midgley per Frigidaire della General Motors, come sostituto della
velenosa ammoniaca liquida che era stata usata fino ad allora per i
frigoriferi. Chimicamente il freon è quasi inerte, non velenoso e bolle a
temperatura ambiente.
Andava benissimo per i condizionatori che proprio allora stavano entrando
nel mercato. Nel 1974, quando la produzione annuale si avvicinava a un
milione di tonnellate l'anno, emerse il dato che il freon aveva anche una
proprietà inaspettata: esposto ai raggi ultravioletti negli strati
superiori dell'atmosfera rilascia la sua componente di cloro, catalizzando
la disgregazione di ozono al tasso di una molecola di Cfc 3800 di ozono.
Non solo fuoriusciva dai nostri vecchi frigoriferi, ma lo usavamo come
propellente per i deodoranti spray e come solvente industriale. E' intanto
divorava buchi nello schermo solare di ozono sopra le nostre teste.

Furono immediatamente presi dei provvedimenti. Nel settembre del 1987 un
protocollo, o bozza di trattato, era pronto per la firma a Montreal. Il
capo negoziatore statunitense, Richard Benedick, pur ammettendo che la
scienza era ancora lontana dall'essere esatta, sollecitò una risposta
immediata. "Se dobbiamo commettere degli sbagli nell'adottare misure per
proteggere lo strato di ozono, allora – consapevoli della nostra
responsabilità davanti alle generazioni future – è meglio sbagliare
eccedendo in prudenza", dichiarò. I delegati gioirono. I firmatari
accettarono di dimezzare la produzione di freon e delle sue imitazioni
entro il 1996. Ici e DuPont misero a punto un sostituto, gli
idrofluorocarburi. Anche gli idrofluorocarburi sono gas serra, ma non
danneggiano lo strato di ozono.

In tutto il mondo la produzione di Cfc doveva scomparire entro il 2010. Con
il disincanto di un giornalista, Norman Moss riferisce in Managing the
Planet (Gestire il pianeta) che i Cfc sono ancora prodotti clandestinamente
in Russia e in Cina e contrabbandati nei paesi più ricchi, ma poiché sono
voluminosi e non danno nessun piacere sniffandoli il commercio sta
gradualmente scomparendo. Oggi il buco nello strato di ozono, secondo
l'Organizzazione meteorologica mondiale, sembra restringersi lentamente.

I diritti dell'aria

Poi nel 1992, il congresso statunitense approvò un emendamento alla legge
sull'aria pulita destinato a ridurre le emissioni di aerosol di solfato
emessi insieme al fumo industriale che stavano danneggiando i polmoni degli
americani e sfigurando le loro città. Gli americani non amano le leggi
restrittive e adorano i mercati. Il risultato fu uno schema ingegnoso di
scambio delle emissioni, valido soltanto all'interno degli Usa, modellato
sul sistema dei "diritti dell'aria" esistenti a New York e in altre grandi
città, secondo il quale i proprietari di edifici bassi possono vendere lo
spazio non occupato sopra la loro testa ai grattacieli adiacenti, che
perciò possono essere più alti. In base allo stesso principio il
dipartimento per l'Ambiente assegna un limite agli impianti che emettono
anidride solforosa (SO2), per esempio le centrali elettriche, e le
emissioni vengono misurate da dispositivi sulle ciminiere controllati ogni
Capodanno.

Le società che superano le quote stabilite dal dipartimento dell'Ambiente
vengono attualmente multate di 2,5OO dollari per ogni tonnellata di SO2 in
eccesso, ma e questa é la novità quelle che sono al di sotto della loro
quota possono vendere la differenza al migliore offerente. All'asta del
Chicago Board of Trade nel 1996, il prezzo era inferiore a 70 dollari alla
tonnellata, ma da allora é aumentato. E, soprattutto, questo schema ha dato
dei risultati. Non solo i colletti degli statunitensi che vivono nelle
grandi città sono notevolmente più puliti, ma grazie anche al declino
dell'industria pesante nell'altro grande paese inquinatore, l'ex Unione
Sovietica negli anni Novanta sono diminuiti gli enormi depositi di aerosol
di solfato nei ghiacciai della Groenlandia.

Uno scienziato britannico, il professor Michael Grubb dell'Imperial College
di Londra, fu il primo a suggerire che questi due improbabili successi
potevano diventare il modello per un assalto mondiale al riscaldamento del
pianeta. I gas colpevoli potevano essere individuati, si potevano negoziare
obiettivi e date per la loro riduzione, e le nazioni al di sotto delle
quote assegnate avrebbero potuto cedere i loro "diritti di emissione" a
quelle che superavano la loro quota: in breve, un "sistema di tetto e di
scambio".

A rendere questo schema anche lontanamente plausibile fu l'appoggio di
ambienti statunitensi molto autorevoli, la cui partecipazione e sempre
stata considerata cruciale, non solo perché gli Usa sono i maggiori
responsabili delle emissioni e l'unico pretendente alla leadership morale
del mondo, ma anche perché sono il paese che detta lo stile di vita e (dopo
un fumoso inizio britannico) il massimo esponente della civiltà degli
idrocarburi, con i suoi condizionatori d'aria che trangugiano energia, le
sue automobili, i suoi aeroplani e tutto il resto.

La sfida di Bill Clinton

AL GORE AVEVA SENTITO PARLARE dell'effetto serra ad Harvard, e nel 1992,
l'anno in cui diventò vicepresidente, pubblicò La terra in bilico,
sollecitando la collaborazione internazionale per combattere il fenomeno.
Poco tempo dopo Bill Clinton lanciò una sfida altisonante in un discorso a
Queensland: "Dobbiamo batterci insieme contro la minaccia del riscaldamento
globale. Una serra può essere un buon posto per coltivare le piante; non é
un luogo dove far crescere i nostri figli". Ma i paesi in via di sviluppo,
ora che si uniscono alla nostra cultura degli idrocarburi, vogliono
emettere più anidride carbonica, e non meno. Le emissioni pro capite della
Cina sono appena un decimo di quelle statunitensi 2,3 tonnellate contro
20,1 e il gigante asiatico si oppone strenuamente a qualsiasi tetto.
"L'Occidente", disse il ministro indiano per l'Ambiente Kamal Nath durante
la fase preparatoria di Kyoto, "ha emissioni per il lusso. Le nostre sono
emissioni per la sopravvivenza".

Nelle discussioni preliminari, oltre cento paesi in via di sviluppo
chiesero di essere esentati dal tetto alle emissioni di anidride carbonica,
ma alcuni accettarono di essere compensati se assorbivano un maggiore
quantitativo di emissioni dei paesi ricchi. A un Senato statunitense
dominato dai repubblicani, tutto questo apparve sospettosamente simile alla
beneficenza obbligatoria, ovvero le tasse, e ispirò la Risoluzione
Byrd-Hagel (approvata con 95 voti a favore e zero contrari): il Senato non
avrebbe ratificato un accordo che non prevedesse "impegni specifici e
scadenzati" dei paesi in via di sviluppo. Questo non impedì a Tim Wirth,
sottosegretario di Stato degli Usa per le Questioni globali, di annunciare
alla conferenza preparatoria di Ginevra: "Permettetemi di chiarire la
posizione degli Usa: la scienza ci chiama a decidere azioni urgenti".
Eppure già nel 1999, nei primi mesi della sua presidenza, Clinton non era
riuscito a far approvare dal Congresso una tassa marginale sull'energia, la
Btu Tax (gli statunitensi usano l'unita termica britannica, insieme alle
miglia e alle pinte). Nel loro entusiasmo per Kyoto, Clinton e Gore si
erano già spinti oltre quello che il Congresso era disposto ad accettare e
questo quando un secondo Bush alla Casa Bianca non era neppure immaginabile.

Il vertice ad alto consumo

A motivare gli sforzi di Kyoto fu una sola frase del Secondo rapporto
valutativo dell'Ipcc del 1999: "La somma dei dati raccolti indica una
chiara influenza umana sul clima globale". Screditare la scienza dell'Ipcc
é stata una delle linee d'attacco dei sostenitori di Bush. Se quella che
studia il riscaldamento globale é ben lontana dall'essere una "scienza
fasulla", come hanno sostenuto i critici di Kyoto, non é comunque la
scienza che un politico probabilmente ricorda dai giorni del liceo o che
gli elettori capiscono al volo. Il tempo e il suo continuo storico, il
clima, sono fenomeni "caotici", dove piccoli cambiamenti in entrata possono
determinare enormi variazioni in uscita, e una giornata calda può scatenare
un uragano.
I fenomeni caotici oscillano fra limiti approssimativi, noti come
"attrattori", ma questi ultimi a volte possono essere superati. I nuovi
supercomputer grandi come una casa possono modellare una situazione
caotica, ma neppure un computer grande come il Ritz potrebbe scrutare nel
nostro futuro lontano. Eppure l'Ipcc ha potuto affermare con sicurezza che
gli umani stanno provocando un eccessivo riscaldamento globale e ha saputo
formulare un'ipotesi ben documentata sulle cause dell'effetto serra. Pieni
di buone intenzioni e spronati da una data di scadenza, quasi diecimila
delegati si dettero convegno a Kyoto nel 1997, usando varie forme di
trasporto ad alto consumo di energia (alcuni europei arrivarono con la
transiberiana), per salvare il mondo che conosciamo. "Se falliremo a
Kyoto", disse Tony Blair, "condanneremo i nostri figli, perché le
conseguenze si faranno sentire durante la loro vita". John Prescott si
presentò di persona per bloccare qualunque opposizione, seguito da altri
pesi massimi della politica. Clinton pressò Argentina e Brasile al
telefono. A parte le fastidiose riserve del Senato statunitense, nessuno
sembrava mettere in discussione la necessità di controllare il clima.
Norman Moss e David Victor hanno scritto resoconti eccellenti delle
interminabili discussioni di Kyoto, Moss più attento alla parte
scientifica, Victor più critico sul piano di scambio, forse perché é
statunitense. Ma i trattati del mondo reale sono negoziati da politici e
diplomatici che pensano soprattutto alla loro posizione in patria, e già
prima che i delegati di Kyoto si sedessero per l'allegro banchetto di
benvenuto, gli interessi egoistici stavano visibilmente oscurando l'entrata.

Chi emette cosa

IL PROGETTO CONCORDATO A Kyoto ormai ha un interesse prevalentemente
accademico, eccetto forse come lezione pratica di futilità. La proposta di
tetto e scambio di Michael Grubb fu entusiasticamente sostenuta
dall'amministrazione Clinton e in due mesi di intense, per non dire
frenetiche, trattative nessun altro approccio venne preso seriamente in
esame. Il primo problema fu convenire una stima di chi stava emettendo che
cosa. Le cifre approssimative erano accettabili dai paesi "in via di
sviluppo" (cioè poveri), che erano presenti in forze per escludere se
stessi da ogni tetto, e che in ogni caso emettono quantitativi pro capite
modesti – la Cina 2,3 tonnellate, l'America Latina 2,2, l'Africa meno di
una mentre i paesi industrializzati facevano dei calcoli ragionevolmente
affidabili. Per evitare l'accusa di barare sulla data di 'partenza, si
convenne che il 1990 era un buon numero tondo sufficientemente lontano nel
passato, e fu fissato l'obiettivo di riportare le emissioni globali al
livello del 1990 nel periodo 2008-2012.

Il sogno irraggiungibile

Non che questo sogno ormai irraggiungibile avrebbe fermato il riscaldamento
globale: l'anidride carbonica che abbiamo già emesso resterà nell'atmosfera
per almeno altri cento anni.
Ma sarebbe stato un inizio, e avrebbe potuto rallentare il tasso di
crescita delle emissioni. Il 1990 come anno di partenza causò proteste e
accuse di ingiustizia. Quelli che Kyoto chiama con tatto "paesi
riformatori", cioè l'Europa dell'Est e l'ex l'Unione Sovietica, hanno visto
crollare la loro industria pesante e sono al di sotto dello 0,6 per cento
rispetto ai livelli del 1990.
O per dirla in altri termini, questi paesi (con la Russia e l'Ucraina in
particolare vantaggio) potevano avere 6,9 miliardi di tonnellate di diritti
di emissione da vendere ai grandi emettitori, America del Nord, Europa
occidentale, Giappone, Australia e Nuova Zelanda (tutti paesi dell'"Annesso
1" nel gergo di Kyoto, cioè prosperi). Nell'insieme, gli anni Novanta erano
stati un buon decennio inquinante per tutti i paesi dell'Annesso 1, perciò
noi dovremmo ridurre le nostre emissioni del 7,4 per cento rispetto ai
livelli del 1990: questo obiettivo è vicino a un miliardo di tonnellate di
anidride carbonica all'anno.

L'Australia, campionessa di emissioni (16,6 tonnellate a testa) è un grosso
esportatore di carbone verso altri emettitori cronici, riuscì a negoziare
un obiettivo negativo – e forse una quota da vendere – sostenendo che nel
1990 c'era stato un disboscamento anomalo del bush, zona verde ad alto
assorbimento di carbonio. La Ue presentò un suo accordo nell'accordo: un
impegno congiunto, o "bolla", per ridurre le emissioni globali dell'8 per
cento rispetto ai livelli del 1990, mentre i membri più poveri, Grecia,
Irlanda, Portogallo e Spagna, furono autorizzati ad aumentare le loro –
addirittura del 27 per cento nel caso del Portogallo. La Francia, che
ricava il 60 per cento della sua energia dalle centrali nucleari, non
assunse nessun impegno, la Gran Bretagna e la Germania se la cavarono
benone perché erano già scese al di sotto dei loro livelli di emissione del
1990 – la Gran Bretagna deindustrializzandosi e passando dal carbone al
metano, la Germania modernizzando la Germania orientale. Prescott disse che
la Gran Bretagna poteva assicurare una riduzione del 17 per cento e forse
persino raggiungere il 20.

Questo lasciò Stati Uniti e Canada due paesi con una fame pantagruelica di
energia e troppo grandi per gli spostamenti in bicicletta alla maniera
giapponese davanti alla necessità di tagliare le loro emissioni rispetto al
1990 di circa il 7 per cento. Come convincere gli americani a spegnere le
luci, abbassare i termostati e andare a piedi? Alcune lungimiranti aziende
statunitensi avevano già affrontato il problema, anche se in misura
modesta. Di solito è più economico ridurre le emissioni nei paesi poveri
che in quelli ricchi, e all'atmosfera non importa dove vengono fatti i
tagli. Sin dal 1993 gli Usa avevano lanciato un'Iniziativa di attuazione
congiunta, e a tutt'oggi sono stati spesi 450 milioni di dollari per 25
progetti da realizzare in Russia e America Latina: investendo in fonti di
energia rinnovabili come dighe e centraline eoliche oppure piantando alberi
e rinnovandoli, con gli alberi vivi che servono da "assorbitori" del
carbonio. La Applied Energy Services, per esempio, ha piantato 52 milioni
di alberi in Guatemala, che si calcola possano assorbire il carbonio emesso
dal suo nuovo impianto a carbone in Connecticut (il trucco e che gli
alberi, alla fine, potrebbero essere tagliati e bruciati). Gli olandesi
aggiungono una piccola tassa alle bollette elettriche per finanziare la
forestazione di paesi più estesi.

Kyoto cercò di universalizzare quest'idea istituendo un Fondo per lo
sviluppo pulito, grazie al quale le multe pagate dai paesi che superano le
quote assegnate sarebbero state usate per aiutare i paesi poveri a limitare
le loro emissioni gia scarse e ad adattarsi agli inevitabili cambiamenti
climatici. Gli emettitori ricchi non sembravano troppo entusiasti fino a
quando i sostenitori brasiliani del progetto (da cui il Brasile avrebbe
tratto parecchi vantaggi) proposero una delle poche concessioni di Kyoto
alla politica del mondo reale, anche se in realtà era una modifica
puramente cosmetica: cambiare il nome del Fondo in "meccanismo" e chiamare
le multe per il mancato rispetto delle quote "contributi per l'osservanza".
La proposta suonava sospettosamente ecocolonialista a un delegato africano,
che chiese arrabbiato: "Perché i governi africani dovrebbero permettere che
la loro terra sia usata come una latrina per assorbire le emissioni delle
seconde macchine americane?". Per fare soldi, rispose Kyoto. E cosi il
Meccanismo per lo sviluppo pulito andò ad aggiungersi al grande
armamentario dei sogni della conferenza.

Gli ultimi quindici giorni di Kyoto rasentarono l'allucinazione, con liti
furibonde in corridoi affollati e tumultuose sessioni notturne seguite da
postumi di sbornia di classe mondiale. Trenta delegati finirono in
ospedale, disidratati ed esausti. Nella sessione finale, che durò tutta la
notte, i delegati statunitensi salirono sulle sedie cercando di farsi dare
la parola dal presidente argentino, Raul Estrada Oyuela. Alcuni dormivano.
Poco dopo le dieci del mattino dell'11 dicembre 1997, dopo l'aggiunta di
alcune formulazioni deliberatamente imprecise, Estrada diede il via alla
votazione. Svegliati dal sonno, alcuni delegati in seguito ammisero di non
sapere per cosa avevano votato. Ottantaquattro paesi firmarono il
protocollo nella sede dell'Onu a New York. Clinton firmò per gli Stati
Uniti in un incontro successivo a Buenos Aires. Insieme, i paesi firmatari
emettono l'88 per cento dell'anidride carbonica globale in eccesso. Dopo
Kyoto non è successo niente di speciale: la Terra ha avuto tre anni più
caldi, mentre tutti aspettavano che gli Stati Uniti ratificassero
l'accordo. Poi Bush ha parlato.

Il debito con il futuro

E ORA COSA SUCCEDERA’? A PARTE IL perenne ciclo statunitense di bastone e
carota, alcuni segnali inquietanti indicano che potremmo trovarci in un
interludio fra due guerre, come negli anni Venti. Regna la pace più o meno
ma le armi proliferano, e il mondo si sta dividendo in campi avversi. Lo
schieramento finale è confuso come lo era nel 1928, quando i bolscevichi
erano dei paria, Hitler era uscito di scena, e nessuno immaginava che
capitalisti e comunisti potessero stringere un'alleanza contro qualcuno.
Il fiasco di Kyoto ci ha lasciati nello stesso clima di sospetto reciproco.
Da una parte ci sono Europa e Giappone, comunità nazionali molto più
antiche della rivoluzione industriale, che non hanno mai apprezzato i
cumuli di scorie e le ciminiere. Le bianche scogliere di Dover, le fitte
foreste della mitologia teutonica, la spiaggia di Saint-Tropez e il cono
immacolato del monte Fuji hanno un ruolo centrale nell'identità nazionale.
Il combustibile fossile, se continueremo a ingozzarci, li distruggerà
tutti. Dalla parte opposta c'è il Nuovo Mondo democratico, guidato dai suoi
membri più energici, Stati Uniti, Canada e Australia, campioni di emissioni
pro capite, che con discrezione stanno formando un fronte comune contro Kyoto.

Come negli anni Trenta, i soliti indecisi guardano in entrambe le
direzioni. La Russia non vuole che San Pietroburgo scivoli sotto il
Baltico, ma non ha nulla in contrario allo smaltimento delle scorie
nucleari nel cortile siberiano, che aveva gia dovuto farsi carico
dell'industria pesante di Stalin. La Gran Bretagna, soprattutto le contee
intorno a Londra, strepita per le bianche scogliere, ma il paese è spaccato
fra nord e sud, fra ecorealisti ed ecosentimentali, e spera di avviare la
sua industria nucleare comprando i reattori statunitensi, senza avere la
minima idea di cosa farà delle scorie. La Cina con ogni probabilità seguirà
l'esempio del Giappone: inquina in fretta, ripulisci con calma. L'India
vuole estrarre più petrolio. La frase fatidica del Secondo rapporto
dell'Ipcc solleva, sommessamente, una nuova questione: nessuno si è mai
reso veramente conto che, come specie, abbiamo la responsabilità collettiva
del pianeta. Siamo ancora in dubbio sui nostri attuali debiti reciproci, e
ora dobbiamo decidere se e quanto siamo in debito con le prossime dieci o
cento generazioni.

Se il riscaldamento globale ha una soluzione, può venire soltanto dalla
solidarietà umana e dal rispetto di sè che Smith sperava potessero mitigare
la miope ingordigia di una società puramente commerciale. Accoppiata, per
il momento, al nome di George W. Bush. (G.G.)

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La conferenza di Bonn

Il protocollo salvato

Con il Protocollo di Kyoto sulla diminuzione delle emissioni di gas a
effetto serra, firmato nell'omonima città giapponese l'11 dicembre 1997, i
paesi industrializzati si erano impegnati a ridurre- tra il 2008 e il 2012
l'emissione dei gas nocivi di almeno il 5 per cento rispetto ai livelli del
l990. II protocollo è stato firmato da 84 paesi ma l'hanno ratificato solo
37 e sulla sua strada ha incontrato molti ostacoli. Ultimo in ordine di
tempo il no alla ratifica annunciato dal presidente statunitense George W.
Bush nel marzo scorso. Un no che ha rischiato di ottenere l'appoggio anche
del cosiddetto Gruppo Umbrella formato tra l'altro da Canada, Russia,
Australia e Giappone, elemento fondamentale per le sorti del protocollo. Il
Gruppo è però tornato sui suoi passi durante la Conferenza Onu
sull'ambiente che si è svolta a Bonn dal l6 al 27 luglio e sulla quale
pesava il fallimento dell'incontro precedente all'Aja, nel novembre 2000. A
Bonn è stato accolto il compromesso presentato dal presidente della
Conferenza, il ministro dell'Ambiente olandese Jan Pronk. Un compromesso
criticato da più parti come inefficace per contrastare l'effetto serra ma
giudicato comunque come un primo passo concreto in quella direzione.
I firmatari potranno disporre dei serbatoi naturali che assorbono
l'anidride carbonica, come boschi e foreste (carbon sink) in misura non
strettamente limitata e conforme alle loro esigenze specifiche, a patto che
queste aree siano curate e si dia impulso alle attività agricole.
Sono stati costituiti appositi fondi per concedere prestiti ai paesi in via
di sviluppo che devono affrontare i cambiamenti climatici.
Ci saranno meccanismi più flessibili per il rispetto dei limiti di
emissione di CO2 nell'atmosfera, a cominciare dal "commercio delle emissioni".
I paesi aderiranno volontariamente al sistema di sanzioni obbligatorie, ma
non automatiche, imposte a chi non rispetta i principi del protocollo.

Murray Sayle vive a Tokyo. Scrive per il New Yorker e per il mensile The
Atlantic Monthly

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Climate change 2001 http://www.ipcc.ch/pub/wg2SPMfinal.pdf
Documento sul riscaldamento climatico.

Protocollo di Kyoto
http://unfccc.int/essential_background/kyoto_protocol/items/2830.php
La Convenzione sul clima e il testo del protocollo di Kyoto

TMCREW CLIMA http://www.tmcrew.org/eco/clima/


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