Autore: francesca Data: Oggetto: [Incontrotempo] Atesia: sciopero del
«Collettivo precari»
L'autunno caldo di Atesia
Sciopero del «Collettivo precari», per l'assunzione piena e il reintegro
di 4 licenziati
FRANCESCO PICCIONI
Cose d'altri tempi, in salsa legalitaria d'oggi. Sono i rapporti di
lavoro - contrattualizzati - nel mondo precario. E Atesia, di questo
mondo, è per ora l'esempio più chiaro. Il call center più noto d'Italia
deve la sua fama ai conflitti che l'attraversano prima ancora che ai
suoi servizi; e oggi la sua vita verrà segnata da un nuovo sciopero.
Anzi, da una «pausa collettiva» sui tre turni. L'ipocrisia contrattuale,
infatti, è così elevata che questi lavoratori vengono considerati
«autonomi», non dipendenti. Come se andare in Atesia a una certa ora,
per un certo orario, a rispondere al telefono sull'argomento della
«campagna» (pubblicitaria o operativa) di qualche cliente implicasse
un'autonomia paragonabile all'idraulico o all'architetto.
Fino al 2000 i lavoratori dovevano addirittura pagare l'«affitto» della
postazione telefonica su cui lavoravano. Poi qualche articolo e qualche
ispezione dell'ufficio del lavoro misero fine almeno a questo insulto.
Ma le forme della precarietà sono infinite. Lo erano durante gli anni
del centrosinistra (e allora i 4.600 dipendenti erano tutti
«co.co.co.»), si sono moltiplicate con la «legge 30» del centrodestra.
Il sindacato, in questo inferno, compare da «esterno»; prima per firmare
l'accordo del 2000 (che eliminava l'«affitto»), poi quello del 24 maggio
2004, che recepiva in pieno i dispositivi della legge 30, predisponendo
la sostituzione dei contratti co.co.co. con altre forme egualmente
precarie. Contratti di «apprendistato professionalizzante» (che tra
l'altro dovrebbero essere di numero non superiore agli assunti a tempo
indeterminato; davvero pochi, in Atesia), di «somministrazione» e di
«inserimento». Piccola differenze, di salario e di orario, tra l'uno e
l'altro; una sola caratteristica comune: nessun accenno a un vago
obbligo per l'azienda di arrivare infine all'assunzione a tempo
indeterminato.
Il 30 settembre scade infatti l'ultima proroga dei contratti co.co.co.,
mentre i nuovi assunti in questo periodo hanno dei contratti «a
progetto». Per evitare di incappare in cause di lavoro con lavoratori
cui non dovesse venire rinnovato un contratto, l'azienda - prima di
«ri-assumere» un vecchio «collaboratore» con un nuovo contratto
temporaneo - pretende addirittura la firma di una «liberatoria». Un
testo veramente illuminante, come si diceva in apertura, stipulato tra
due «conciliatori» - un rappresentante dell'azienda e uno, sembra, della
Cisl, «cui il lavoratore conferisce delega ai fini della
rappresentanza». Dove si dichiara che «il rapporto di lavoro si è svolto
in piena autonomia, potendo egli stesso autonomamente determinare le
modalità attraverso cui rendere la propria prestazione», «escluso
qualsiasi vincolo di subordinazione» (dipendenza gerarchica, orario di
lavoro, ecc). Ma anche la «rinuncia a rivendicare la natura subordinata
nel rapporto di lavoro nei confronti di Telecontact center e Atesia
spa», fino alla glaciale «rinuncia a ogni diritto e/o pretesa
contrattuale».
Rapporti di lavoro ottocenteschi, ma con la «pezza d'appoggio» legale
contro ogni possibile rivalsa. Sembra incredibile che i tre sindacati
confederali del settore (Cisl, Uil e Cgil, presente anche come Nidil)
possano aver accettato simili meccanismi. Eppure è ciò che è accaduto. E
al «Collettivo precari Atesia» - un gruppo folto di «lavoratori
autorganizzati» che hanno dimostrato con due scioperi, a maggio e
giugno, di avere un forte seguito in azienda, anche se quella lotta è
costata loro 4 licenziamenti - non è andato giù. La loro critica ai
«confederali» è radicale, ma assolutamente di merito: l'obiettivo è
(come chiedono) l'assunzione con contratto a tempo indeterminato o la
«meno peggio» tra le formule contrattuali previste dalla legge 30? Su
questo, altre categorie sindacali (i metalmeccanici, per esempio) sono
stati chiarissimi: nessun accordo può recepire quella legge. Per altri
non è così. Ed è inevitabile che i lavoratori, nel loro piccolo, «si
incazzino». Su questo - l'assunzione e il rientro dei 4 licenziati -
verte lo sciopero di oggi. Sarà anche una buona occasione per
verificare, /de visu/, come si va delineando il «problema della
rappresentanza» in un mondo sempre più vasto: quello dei precari a vita.