Autor: massimiliano.piacentini@tin.it Datum: Betreff: [Forumlucca] necrologio di un'eroina
Per ricordare Laura Betti, ad un anno dalla scomparsa, invio un
necrologio che Pier Paolo Pasolini scrisse per "Vogue"nel 1971,
immaginando che fosse l'anno 2001.
"Il Manifesto" lo ripubblico l'anno
scorso.
Necrologio di un'eroina
Pier Paolo Pasolini
È invecchiata
e morta: ma son sicuro che nella sua tomba ella si sente bambina. Ella
è certamente fiera della sua morte, considerandola una morte speciale.
Inoltre pur ammettendo in parte di essere morta, appunto perché la sua
morte, essendo speciale, può essere ammessa, essa, nel tempo stesso,
non l'ammette: «la mia morte è provvisoria, è un fenomeno passeggero»,
essa par dire, con l'aria di un personaggio di Gogol', di Dostoiewsky,
o di Kafka, «in alto loco si sta brigando perché tale noiosa
congiuntura venga superata e tutto torni come prima. Del resto, io non
ho soluzione di continuità: sono ciò che ero. La mia possibilità di
stupore non ha limiti perché io cado sempre dalle nuvole, e rido, con
meraviglia fanciulla». (Contemporaneamente, là nella tomba, dice: «Io
non son mai nelle nuvole, son sempre coi piedi a terra, niente mi
meraviglia perché, da sempre, so tutto».)
Ambiguità? No: doppio gioco.
Ché essa, la morta, Laura Betti, non era ambigua, anzi, era tutta d'un
pezzo: inarticolata come un fossile. Ella ha aderito alla sua qualità
reale di fossile, e infatti si è messa sul volto una maschera
inalterabile di pupattola bionda; (ma: «attenti, dietro la pupattola
che ammette di essere con la sua maschera, c'è una tragica Marlene, una
vera Garbo»). Nel momento stesso però in cui concretava la sua
fossilizzazione infantile adottandone la maschera, eccola contraddire
tutto questo recitando la parte di una molteplicità di personaggi
diversi fra loro, la cui caratteristica è sempre stata quella di essere
uno opposto all'altro.
La sua grande fortuna è stata quella di avere
evitato di vivere in uno dei tanti paesi dittatoriali che ci sono al
mondo; e soprattutto di avere evitato di finire in uno dei tanti
possibili campi di concentramento. Che terrificante vittima sarebbe
stata! Ma in un necrologio non si dicono queste cose.
Facendo di lei
un esame superficiale, molti le attribuirono in vita una volontà
provinciale di degradazione degli idoli. No, non era soltanto il
sadismo di una provinciale che giunta nel Centro dove abitano gli
idoli, prova il piacere di profanarli e di dissacrarli: in questa
dolorosa operazione c'era il suo bisogno di essere contemporaneamente
«una» e «un'altra», «una» che adora, e «un'altra» che sputa
sull'oggetto adorato; «una» che mitizza e «un'altra» che riduce.
Ma
non era ambiguità, ripeto. Il suo gioco era chiaro come il sole.
Naturalmente, proponendosi prima di tutto, come una delle leggi-chiave
del suo codice, di non fare mai, in alcun caso, pietà, essa, per il
gioco dell'opposizione, ha anche sempre voluto e ammesso anche di fare
pietà. Ma la pietà non è stata causata da una o dall'altra delle sue
azioni o delle sue situazioni: no, essa è sempre stata causata
dall'eccessiva chiarezza del suo gioco. Dunque è attraverso la pietà
che essa è stata costretta a provocare verso la sua persona, che è
venuta fuori la sua generosità: cioè qualcosa di eroico.
Questo è
infatti il necrologio di un'eroina. Bisogna aggiungere che era molto
spiritosa e un'eccellente cuoca.