[Lecce-sf] Mobilitare la società

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Autore: Silverio Tomeo
Data:  
Oggetto: [Lecce-sf] Mobilitare la società
Mobilitare la società, cambiare la politica. I cittadini protagonisti
        per un Paese migliore


        Documento approvato dal Consiglio Nazionale Arci dell'1 e 2 luglio 2005



        Stiamo attraversando mesi cruciali, decisivi per il futuro dell'Italia. 
        Se il voto alle regionali della scorsa primavera ha riacceso la speranza 
        che stia per chiudersi la stagione disastrosa del governo Berlusconi, le 
        difficoltà dei mesi successivi e l'esito del referendum hanno riportato 
        con evidenza alla luce il malessere di una società alla faticosa ricerca 
        del suo riscatto.


        La situazione è grave. Una crisi profonda investe l'economia, la 
        società, la politica, in un paese che si scopre in guerra senza saperlo 
        né volerlo, che si ritrova più povero e più insicuro, che avverte sempre 
        più forte il peso di ingiustizie e disuguaglianza. E' anche una crisi 
        morale, che colpisce l'etica, il senso della comunità e delle 
        istituzioni.


        Questa situazione è lo specchio del fallimento della destra, ma non 
        significa che le condizioni di un'alternativa siano già cosa fatta, né a 
        portata di mano.


        Vediamo con preoccupazione diffondersi, negli ambiente dell'opposizione, 
        la convinzione che le elezioni del 2006 siano ormai poco più di una 
        formalità. I partiti dell'Unione, più che alla conquista di consensi per 
        il cambiamento, sembrano impegnati a dividersi sul dopo, facendo 
        riemergere lotte di potere del tutto avulse da un minimo confronto sui 
        programmi.


        Così si rischia davvero di dissipare il patrimonio di speranza e volontà 
        di cambiamento che solo pochi mesi fa il paese aveva consegnato al 
        centrosinistra.


        Sarebbe bene ricordare che il centrosinistra ha vinto le elezioni 
        regionali soprattutto sull'onda del fallimento della destra e del crollo 
        di consensi alla sua politica; che non ha ricevuto dagli elettori un 
        mandato esplicito a governare bensì un'apertura di credito, grande e 
        impegnativa quanto ancora densa di incertezze e diffidenze.


        Perché sia sconfitto non solo Berlusconi, ma anche il berlusconismo, c'è 
        bisogno di trasformare quel malcontento e quella generica domanda di 
        cambiamento nel sostegno attivo e consapevole ad un progetto concreto, 
        convincente, realizzabile, dai contenuti chiari, che lasci intravedere 
        non solo la possibilità di un'alternanza al potere, ma una versa 
        alternativa di società.


        Per questo, accanto allo sforzo per costruire la più ampia alleanza 
        delle opposizioni in vista del 2006, oggi la priorità è discutere i 
        contenuti di questo progetto.



        Noi pensiamo che un programma di governo che rinunciasse a mettere 
        radicalmente in discussione le politiche di questi anni, nel tentativo 
        di conciliare un modello di sviluppo ancora interno alle strategie 
        liberiste con un quadro di sostenibilità e di equità sociale, sarebbe 
        fatalmente destinato a fallire.


        Un progetto di risanamento del paese che gravasse ancora sulle spalle di 
        chi si è già impoverito e rinunciasse a far pagare chi in questi anni si 
        è invece arricchito, sarebbe destinato non solo all'insuccesso ma anche 
        a creare forti tensioni sociali.


        Serve una svolta decisa nella programmazione economica, nel rapporto tra 
        produzione e lavoro, consumi e ambiente, un profondo cambiamento 
        democratico che rimetta al centro l'universalità dei diritti, che 
        realizzi un nuovo equilibrio fra libertà individuali e responsabilità 
        collettive.


        Serve un'alternativa di sistema, un'altra idea di società.


        Noi pensiamo che un Paese diverso sia davvero possibile perché l'Italia 
        sta già cambiando.


        In questi anni gli anticorpi alla cultura della destra si sono 
        sviluppati nella società prima ancora che nelle sedi politiche, nelle 
        mille esperienze del movimento globale "per un altro mondo possibile", 
        nel nuovo pacifismo, nelle lotte per la difesa dei beni comuni, 
        dell'ambiente, dei diritti sociali e del lavoro, nelle mobilitazioni per 
        i diritti di cittadinanza, in difesa della democrazia e della 
        Costituzione.


        Sono esperienze, energie umane e civili, idee e progetti che in questi 
        anni hanno fatto parecchia strada, camminando su molte e differenti 
        gambe. Quel cammino non è affatto concluso, con buona pace di chi pensa 
        di rimuoverlo, ora che è giunto il tempo in cui la politica torna a 
        riprendere le redini.


        Noi pensiamo che la stagione dei movimenti non sia finita perché vediamo 
        radicarsi nei territori e nelle città una nuova movimentazione sociale 
        diffusa che promuove partecipazione e cerca gli strumenti per fare rete, 
        costruisce campagne e vertenze, si confronta con le istituzioni locali, 
        fa politica.


        E crediamo che questo sia il terreno fertile sul quale costruire il 
        campo di forze più ampio in grado di offrire un'alternativa al paese, 
        col concorso e lo sforzo comune di partiti, sindacati, associazioni, 
        movimenti, gruppi di cittadini.


        Se le forze politiche non colgono questa opportunità, rischia di 
        aggravarsi la distanza fra il centrosinistra ed una parte consistente 
        dei suoi elettori, lasciando senza rappresentanza politica una vasta 
        area sociale, eterogenea e ricca, che può avere un ruolo determinante 
        nel favorire le condizioni della svolta.


        In realtà, in questo momento decisivo per la sinistra italiana pesa il 
        nodo irrisolto del rapporto tra la politica e i movimenti sociali, 
        questione sulla quale in questi anni si è parlato fin troppo ma poco si 
        è fatto.


        Le stesse forze politiche che maggiormente hanno evocato il tema 
        assumendolo in modo esplicito come priorità, non hanno superato questo 
        scoglio. La soluzione non può stare nei processi di cooptazione, e 
        neppure nell'accelerazione verso nuove soggettività politiche che 
        assumano dall'alto i contenuti dei movimenti.


        Bisogna individuare gli strumenti che consentano ai movimenti di 
        interagire con i luoghi della rappresentanza politica ed istituzionale 
        mantenendo la propria autonomia, dare legittimità a nuove forme della 
        politica in cui possano confluire percorsi diversi ed esprimersi 
        differenti oggettività.


        Questo significa anzitutto mettere in discussione la tentazione 
        all'autosufficienza da parte dei partiti, riconoscere la piena dignità 
        politica all'iniziativa sociale, dare cittadinanza all'impegno politico 
        che si esprime fuori dalle sue sedi tradizionali.


        Riformare la politica vuol dire cambiare la relazione fra rappresentanti 
        e rappresentati, istituzioni e cittadini, costruire una democrazia che 
        non si esaurisca nelle istituzioni e nei partiti.


        La chiave per farlo è l'autonomia politica del sociale.


        E' un progetto che richiede tempo e può coinvolgere un arco di forze ben 
        più ampio e plurale di quanto oggi sia possibile organizzare o 
        rappresentare in un'unica soggettività politica.


        La priorità non è l'accelerazione dei movimenti verso forme 
        organizzative, ma la messa in sicurezza dell'autonomia della 
        movimentazione sociale, per garantire continuità ad una rete plurale di 
        relazioni e luoghi di confronto, prima e dopo la fase elettorale.


        E' sbagliata l'idea, già pagata a caro prezzo dalla sinistra, per cui la 
        mobilitazione sociale sarebbe utile solo quando si deve dare forza 
        all'opposizione. Al contrario, noi pensiamo che il ruolo attivo dei 
        cittadini sia indispensabile anche di fronte ad un governo amico, a 
        garanzia del progetto condiviso e del rispetto degli impegni assunti.


        C'è bisogno di una mobilitazione sociale costante e autonoma dalle 
        rappresentanze politiche ed istituzionali, che abbia una sua vita 
        indipendente dalle scadenze elettorali senza per questo rinunciare ad 
        influirvi attivamente.


        E' da questo versante, e con questi strumenti, che vogliamo fare la 
        nostra parte per cambiare il paese. Con i contenuti e le proposte 
        concrete che emergono dalla nostra quotidiana iniziativa sociale 
        vogliamo concorrere alla costruzione del progetto per battere la destra.


        Un progetto non subalterno ai poteri forti, alle logiche di guerra e di 
        profitto, di sfruttamento e di ingiustizia che in questi anni hanno 
        prevalso nel pianeta e che hanno trovato coerente e fedele applicazioni 
        nelle politiche del governo Berlusconi.


        Vogliamo anzitutto che il centrosinistra si impegni a bloccare la 
        controriforma costituzionale delle destre, a difendere senza esitazioni 
        e dare piena attuazione ai valori della nostra Costituzione.


        Vogliamo l'abolizione della legge 30 ed una nuova politica del lavoro 
        per contrastare la precarietà, difendere ed estendere i diritti 
        sindacali. E poi un sistema fiscale progressivo, in cui paghi di più chi 
        più ha, con misure efficaci per combattere realmente l'evasione e la 
        ricchezza speculativa. Vogliamo tutelare i beni comuni ed i servizi 
        pubblici, che sono garanzia dell'uguaglianza dei cittadini e non devono 
        essere assoggettati all'interesse privato e al profitto.


        Vogliamo difendere lo stato laico, la libertà di scelta e di coscienza, 
        contrastare la tendenza ad un nuovo proibizionismo repressivo. Vogliamo 
        restituire dignità alla scuola pubblica, al valore sociale del sapere, 
        alla cultura come patrimonio collettivo.


        Vogliamo che siano aboliti i cpt insieme ad una legge infame come la 
        Bossi-Fini, ma anche una politica alternativa sull'immigrazione che 
        metta al centro la pienezza dei diritti di cittadinanza, a cominciare 
        dal voto degli immigrati nelle consultazioni amministrative.


        Vogliamo un paese che tuteli la libertà di informare ed essere 
        informati, ed un sistema pubblico che garantisca l'accesso di tutti i 
        cittadini agli strumenti della comunicazione. Vogliamo una nuova 
        relazione fra istituzioni, territorio e società, che allarghi gli spazi 
        pubblici della partecipazione dei cittadini e dell'autogoverno.


        Vogliamo infine un paese che non faccia più guerre e che non giustifichi 
        più guerre umanitarie, che lavori per prevenire i conflitti e costruire 
        politiche di pace, che riduca le spese militari e recuperi alla 
        sovranità nazionale i territori oggi occupati dalle basi straniere.


        Sono scelte che non cancelleranno certo tutte le ingiustizia del mondo, 
        ma possono contribuire a rendere migliore questo paese, e realizzarle è 
        assolutamente possibile.


        Sono i primi passi necessari per aprire un vero progetto di alternativa. 
        Sono le indicazioni unitarie su cui si sono costruite in questi anni le 
        vertenze e le pratiche di grandi alleanze sociali, di reti, di movimenti 
        italiani, europei e globali.


        Su questi obiettivi concreti vogliamo dare ai cittadini la possibilità 
        di pronunciarsi, per prendere parola e pesare nella discussione con chi 
        si candida a governare il paese nei prossimi anni.


        Confidiamo che le tante organizzazioni e reti sociali con cui 
        condividiamo questi obiettivi vogliano impegnarsi insieme a noi. Per 
        fare della costruzione del programma dell'Unione l'occasione di una 
        grande vertenza democratica che liberi le energie da investire nel 
        progetto di un paese migliore.



        La presidenza nazionale Arci








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