[NuovoLaboratorio] ancora marcia perugia-assisi Memo2

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Incollo sotto un contributo, che mi sembra molto interessante, di Flavio Lotti
(Tavola della Pace) pubblicato sul Manifesto di ieri:
"Come si può impedire che gli Stati uniti affossino le Nazioni unite
MINE A STELLE E STRISCE SOTTO IL PALAZZO DI VETRO
La strategia degli Usa è chiara: l'Onu si conquista o si distrugge. E' in atto
una pericolosa scalata per ridurla all'impotenza, anzi alla subaternità alla
cultura delle guerre preventive. Il ruolo della società civile mondiale per
fermare l'aggressione"

link diretto:
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/19-Agosto-2005/art112.html

** Ne approffitto per segnalare che Arci Genova (insieme ad altre associazioni e
soggetti della societa' civile cittadina) organizza pullman per la trasferta a
Perugia dell'11 settembre, per la marcia perugia-assisi.

PER INFO testoni@???
(presto altre segnalazioni e dettagli!)

I pulman saranno gratuiti, soprattutto per giovani e studenti, disoccupati,
precari, persone senza possibilità di "investire" in un posto-pulman per la
marcia

In mailing list presto posteremo altre novita' sulla marcia esulle modalita' di
adesione/partecipazione.
grazie per l'attenzione
ciao, laura


laura testoni
arci genova
via san luca 15/9
tel 010-2467506
fax 010-2467510
mob 347-8437722
testoni@???
www.arciliguria.it


:::::::::articolo manifesto:::::::::::::::
Come si può impedire che gli Stati uniti affossino le Nazioni unite

MINE A STELLE E STRISCE SOTTO IL PALAZZO DI VETRO
La strategia degli Usa è chiara: l'Onu si conquista o si distrugge. E' in atto
una pericolosa scalata per ridurla all'impotenza, anzi alla subaternità alla
cultura delle guerre preventive. Il ruolo della società civile mondiale per
fermare l'aggressione
FLAVIO LOTTI *

Conquistare o distruggere. La strategia degli Stati uniti non potrebbe essere
più chiara. L'attacco è in corso da tempo ma pochi sembrano averne compreso la
gravità. L'obiettivo non è una città irachena in mano agli insorti ma nientemeno
che l'organizzazione delle Nazioni unite. Da molti anni, il Palazzo di Vetro era
sotto assedio. L'assalto a Boutros Boutros Ghali, capo dell'Onu dal 1990 al
1995, aveva inferto un colpo mortale all'integrità, obiettività e indipendenza
del Segretariato generale. Soffocata finanziariamente e trascinata sull'orlo
della bancarotta per il mancato pagamento delle quote dovute dagli stati membri,
l'Onu ha dovuto smantellare molte delle sue attività costringendo le sue agenzie
a dipendere quasi esclusivamente dai contributi volontari degli stati. Privata
dei fondi necessari per adempiere al proprio mandato ed espropriata dei poteri e
delle missioni che la Carta le aveva assegnato, l'Onu è stata progressivamente
marginalizzata sia nel campo della sicurezza che in quello dello sviluppo a
vantaggio delle grandi potenze e delle istituzioni di Bretton Woods. Quello che
doveva essere «il centro di armonizzazione delle azioni tra le nazioni», la sede
del negoziato e delle decisioni a scala globale, è stato ridotto ad una società
di dibattiti. Tutte le proposte di riforma, rafforzamento e democratizzazione
sono state sistematicamente bocciate, gli sforzi di miglioramento sono stati
boicottati.

La campagna denigratoria

Allo stesso tempo, l'intero sistema delle Nazioni unite è stato oggetto di una
pesante campagna denigratoria e di disinformazione che ha diffuso una percezione
negativa dell'Onu nell'opinione pubblica mondiale. Dopo aver subito lo schiaffo
del Consiglio di Sicurezza che nel 2003 si è rifiutato di autorizzare la guerra
contro l'Iraq, il governo degli Usa ha deciso di sferrare l'attacco finale. Gli
storici ci racconteranno i dettagli dello scontro. Preso in ostaggio il
Segretario generale, Kofi Annan, (con il pretesto dello scandalo Oil For Food)
sono iniziate le grandi manovre di conquista del Palazzo di Vetro. Dicono i
pochi osservatori accorti che le battaglie si stanno conducendo stanza per
stanza. Obiettivo: insediare nei posti chiave i propri uomini di fiducia. Così,
in pochi mesi l'amministratore americano dell'Undp, Marck Mulloch Brown, diventa
capo di gabinetto di Kofi Annan e ne ristruttura completamente lo staff; Ann M.
Veneman, ex ministro dell'agricoltura di Bush e convinta neoconservatrice,
diventa la nuova direttrice esecutiva dell'Unicef; James T. Morris, uno dei
fedelissimi della Casa bianca, diventa il capo della Fao e Christopher B.
Burnham, fiduciario del partito repubblicano ed entusiasta sostenitore di Bush,
assume la carica massima di vicesegretario dell'Onu, incaricato della gestione
del personale. E' lui a parlare chiaro: «Sono venuto qui perché me lo ha chiesto
la Casa bianca. Il mio dovere è di rendere l'Onu più efficiente. Devo
innanzitutto essere leale con gli Stati uniti».

La posta in gioco è altissima, lo scontro duro e Bush dimostra di fidarsi solo
dei suoi fedelissimi neocons. Per questo impone, nonostante le resistenze del
Senato, il superfalco nemico giurato dell'Onu, John Bolton, quale proprio
ambasciatore alle Nazioni Unite. Per la Casa Bianca, l'Onu ha un futuro solo se
serve agli interessi degli Usa. Per questo deve essere radicalmente riformato.
«Questo è il momento giusto per agire», hanno dichiarato Newt Gingrich e George
Mitchell, presidenti bipartisan della task force incaricata dal Congresso degli
Stati uniti di preparare il rapporto «Gli interessi americani e le Nazioni
unite». «La grave crisi dell'Onu offre delle straordinarie opportunità che vanno
colte al volo». In apparenza, il discorso dell'amministrazione americana è
persino convincente. «L'Onu -si sente ripetere continuamente- è in crisi perché
è stata gestita male. Si sono sprecati molti soldi. E' diventato un carrozzone
burocratico. Spesso è condizionato da regimi dittatoriali che ne paralizzano
l'azione. La sua struttura è anacronistica. Ha fatto alcune cose buone ma ha
mancato molti dei suoi obiettivi. Mentre a New York si curano i mal di pancia
dei diplomatici, in Darfur si muore. L'Onu è sempre meno credibile. C'è anche un
problema morale. Ci sono stati scandali che hanno coinvolto alti funzionari.
Altri caschi blu si sono resi colpevoli di violenze sessuali. Insomma, o l'Onu
cambia o è condannato perdere ogni residua credibilità e a morire. Noi americani
possiamo riparare l'edificio, rinvigorirlo, liberarlo dalle incrostazioni,
adeguarlo alle sfide del nostro tempo, renderlo efficiente ed efficace».

Nella sostanza, gli Usa vorrebbero ridisegnare completamente le missioni
dell'Onu assegnandole un solo compito veramente importante: autorizzare o
approvare l'uso della forza da parte degli stati, singoli, «coalizioni di
volonterosi» o organizzazioni regionali, tutte quelle volte che si rendesse
necessaria un'azione militare «preventiva» o «protettiva» di fronte a una
minaccia non imminente o latente o di fronte al pericolo di genocidio o atrocità
affini. Un vero e proprio stravolgimento della Carta dell'Onu e delle sue
funzioni. Anziché operare per «preservare le future generazioni dal flagello
della guerra», l'Onu diventerebbe così il luogo dove discutere se dare il via a
questa o quella guerra. Nessun vero ruolo nella prevenzione e soluzione dei
conflitti. Nessun ruolo in campo economico. Un po' di peacekeeping (ma solo ed
esclusivamente con personale messo a disposizione di volta in volta dagli stati
o dalle coalizioni regionali), un po' di peacebuilding (ma senza alcun ruolo per
la società civile che invece si è contraddistinta per la sua efficacia), un po'
di aiuti umanitari per quelli che muoiono di fame o di qualche altra catastrofe
naturale, in stretto rapporto con la Banca Mondiale guidata da Paul Wolfowitz,
architetto della guerra in Iraq.

Nell'interesse dei contribuenti americani, all'Onu viene richiesto naturalmente
di combattere il terrorismo, di impedire che armi di distruzione di massa
possano finire in mani sbagliate, di promuovere la democrazia nel mondo e il
rispetto dei diritti umani. Tutti obiettivi sacrosanti che gli Usa si propongono
di raggiungere imponendo all'Onu di adottare gli stessi metodi e strumenti di
interventismo militare della politica americana. L'idea di fondo è che l'Onu non
dovrebbe più essere la casa di tutti ma la «Casa delle democrazie» che, agendo
di concerto, potrebbero impedire e sanzionare terrorismo, genocidi e violazioni
dei diritti umani. Per coltivare questo disegno, gli Stati uniti propugnano
anche un'ampia riforma istituzionale che include: la definitiva degradazione
dell'Assemblea generale e la sua trasformazione in un forum permanente per
dibattiti inconcludenti; la trasformazione del Segretario generale in un manager
sotto il controllo dei maggiori paesi contribuenti; il controllo del bilancio di
ogni singola attività, anche attraverso una commissione esterna; la possibilità
di controllare i bilanci anche da parte delle Agenzie investigative degli Usa e
del Congresso americano; la riduzione del personale direttamente assunto
dall'Onu (e che ne dovrebbe garantire l'indipendenza); l'assunzione di nuovo
personale solo a tempo determinato; l'aumento del personale fornito direttamente
dagli stati (che in questo modo aumenterebbero la loro capacità di promuovere i
propri interessi all'interno dell'organizzazione e, ovviamente, tenerla sotto
controllo); l'apertura delle porte dell'Onu ai privati e la chiusura ai
parlamenti, alla società civile e agli enti locali.

Che fare? Primo. Per quanto l'assalto degli Usa possa sembrare invincibile,
l'esito della battaglia non è affatto scontata come non lo è stato il voto sulla
guerra in Iraq. E' vero che gli stati sono ricattabili e si lasciano ricattare
ma a tutto c'è un limite. Secondo. Nessuno può arrendersi all'idea che l'Onu
diventi uno strumento dei più forti e del loro unilateralismo. Molte delle
grandi sfide dell'umanità sono globali e per vincerle sono indispensabili
soluzioni globali condivise. L'unilateralismo e il «multilateralismo alla carta»
fanno male al mondo. L'alternativa a un «centro armonizzatore» è il caos
mondiale nel quale stiamo precipitando. Terzo. Questo è il momento in cui tutti
gli amanti della pace, diritti umani, democrazia, legalità, giustizia e libertà
debbono unirsi e battersi per salvare, rafforzare e democratizzare l'Onu. La
società civile mondiale impegnata a contrastare miseria e ingiustizia,
unilateralismo e globalizzazione selvaggia, guerre e terrorismi deve assumersi
questo compito. Un grande ruolo spetta all'Unione europea (se deciderà di
esistere e agire) e a quei governi del sud del mondo che decideranno di non
piegare la schiena fino a terra. Ma senza la mobilitazione della società civile
è certo che sarà impossibile ridare al Palazzo di Vetro dignità, efficacia e
futuro che deve avere.

Che fare?

Con questa consapevolezza, dal 7 al 10 settembre, alla vigilia della Marcia
Perugia-Assisi e del Vertice delle Nazioni unite, centinaia di persone e
organizzazioni di tutto il mondo, membri del Forum Sociale Mondiale e di tante
altre reti, si riuniranno a Perugia nella sesta Assemblea dell'Onu dei Popoli
per discutere che fare. Se, com'è prevedibile, il summit di settembre sarà un
disastro, perché non lavorare alla convocazione di una «Convenzione universale
sul futuro dell'Onu» che riunisca tutti coloro che dell'Onu non vogliono (e non
possono) fare a meno? E se gli Stati uniti insistono nell'attacco, perché non
promuovere una campagna per il trasferimento del quartier generale dell'Onu da
New York a Roma o, magari, a Gerusalemme?

*coordinatore nazionale della Tavola della pace