[Cm-roma] :) + bici

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uscito su Carta ETC. numero 1 luglio 2005
Le città sostenibili    


Qualcuno da Roma … qualcuno da Roma
Dublino , ore 11, inizio di Velo-city, la conferenza internazionale su mobilità sostenibile e ciclabilità nelle grandi città del mondo. Molta gente presente, circa 500 persone, si incontrano e discutono della qualità della vita nei centri urbani. Delegati da tutto il mondo fanno una staffetta di sessioni, per parlare insieme e risolvere, caso dopo caso, il problema delle città congestionate. I risultati sono a volte sbalorditivi, a volte semplicissimi (sensi unici trasformati con un cartello in doppio senso ciclistico), e comunque sempre utili alle comunità.
Dalle piste ciclabili del nord Europa alle crescenti metropoli sudamericane intasate per giorni, non manca decisamente nessun caso. E da quest’anno non manca neanche quello di Roma, che per anni ha visto le sue istituzioni snobbare o meglio non presentare in questo contesto la sua crisi di congestione, divenendo oggetto di battute e racconti negativi (o se vogliamo il caso più disperato di congestione da traffico e miopia nelle politiche sulla viabilità in Europa). Così, hanno pensato bene alcuni ciclisti romani di venire a esporre un progetto a Dublino, tra lo stupore di chi dei romani in bici non aveva mai sentito parlare, e chi invece non ha perso un attimo e si è segnato indirizzi e contatti, per avviare collaborazioni. Stiamo parlando delle ciclofficine romane, e di tutti i ciclisti di Roma, che con la loro determinazione hanno permesso la realizzazione di questo progetto. Ecco a voi “cicloromanza”. Come ti trasformo un pezzo di bici buttato nelle isole ecologiche in una sfida al sistema, colorata e intelligente. E ora, facciamo un passo indietro.

In principio era il chaos
C’era un tempo in cui le persone vivevano ad un ritmo più umano, le strade e le piazze erano affollate di bimbi in bicicletta, di anziani giocatori di traversone e briscola, di vinerie e bar con le sedie scomode, e il vino a poco prezzo. Era il tempo in cui le mogli dei giocatori di cui sopra capavano verdure sedute per strada, e la comunicazione si faceva senza promozioni aziendali, e soprattutto senza SMS o reti UMTS. La gente viveva a poco a poco, gli spostamenti erano rari, e si facevano a piedi, in bicicletta, o con i trasporti pubblici. chi aveva una bottega possedeva un carretto, e il garzone faceva le consegne pedalando. I padroni, o borghesi, o insomma quelli con la grana erano gli unici a permettersi un’auto, scoppiettante e fumogena, ma pur sempre auto-mobile.
col dopoguerra le cose cambiarono, le città videro la comparsa sempre piu aggressiva delle macchine, arrivò il boom economico, la crescita ridondante di PIL e di beni di consumo. Nacquero le prime arterie di collegamento, i quartieri vennero costruiti su modelli sempre meno umani, sempre piu autocentrici. Le periferie urbane si riempirono sempre di più, la crescita perenne divenne l’idea chiave di tutto il sistema, la città divenne il suo cuore pulsante, e il traffico, privato, civile, di mezzi e di beni, di persone e di capitali, fu ricercato, costruito, infrastrutturato, accelerato, steso e realizzato.
Erano anni d’oro, ogni famiglia aveva una lavatrice, ognuno era in grado di comprarsi una piccola utilitaria, e godersi allegramente spostamenti sempre piu lunghi, sempre piu lontani.
Ogni polo produttivo godeva dello sviluppo di agglomerazioni industriali sempre piu imponenti, autostrade sempre piu ramificate e estese, e politiche locali e europee sempre puntate alla crescita. Tutti votati al cemento e al petrolio in un modo abbastanza spregiudicato e sicuramente irragionevole. Era l’eldorado, baby! Capitali e persone si spostavano talmente bene, che l’unione europea intera si aggregò, per permettere appunto tutto questo traffico, prima di merci, ovvio, e poi di umani… con le precauzioni dovute.
per le città del mondo intero, questo progetto continua tuttora, lo sviluppo e la crescita demografica ed economica sono ancora considerate il modello di vittoria, di riuscita, di competitività.

Wake_up
Ognuno di noi, oggi, sa cosa tutto questo ha generato. Una matrice inestricabile di automobili e mezzi pesanti, che si incanala in arterie affollate come una spiaggia adriatica a ferragosto, chilometri di code, chilometri e chilometri di lamiere brucianti in fila, tutti ordinati e fusi in modo da non poter mai piu riconoscere il bandolo della matassa. Città dove le doppie triple e quadruple file hanno lentamente eroso quei magri e striminziti marciapiedi, per poi umiliarli definitivamente con i parcheggi selvaggi di motorini e motociclette.
Un incubo.
E questo incubo, in inglese, si dice Congestion.
E’ per risolvere in modo costruttivo questo problema che nasce, circa 25 anni or sono, la Velo-city: una grande conferenza sulla mobilità sostenibile e la ciclabilità delle città. E’ Brema la prima che la ospita, e ogni due anni si cambia città. A Parigi nel 2003 giunge al suo apice di concretezza, forgiando di fatto una alleanza molto interessante con la città (ricordiamo la pedalata di circa 9000 ciclisti nelle strade di Parigi) e le sue istituzioni, che prendendo con la giusta filosofia le informazioni circolate in questa conferenza, hanno steso circa 600 chilometri di piste ciclabili, e innumerevoli parcheggi/zone di scambio con mezzi pubblici. Le corsie preferenziali sono ora il doppio di quelle per macchine, e sono accessibili ai ciclisti.
Quest’anno invece è toccato a Dublino, città rigogliosa di marciapiedi enormi, di automobilisti gentili, e di parcheggi per bici ad ogni angolo di strada. La National Concert Hall ha fatto da scenario molto affascinante, e molte sessioni/dibbattiti/workshops si sono tenuti in Aule Universitarie, situate all’ala destra della Hall.
In realtà la velo-city è un luogo di incontro per un mare di gente, proveniente da tutto il mondo, che ogni giorno promuove/vende/ricicla/gestisce la bicicletta, in tutte le sue forme e concezioni.
Le sessioni sono molto brevi, mezz’ora al massimo, ed ogni volta segue un dibattito, delle domande, o ulteriori interventi. È un ritmo molto sostenuto, a volte si perdono alcune sessioni interessanti. La cosa più sorprendente però è il fatto che chi segue i dibattiti poi ne riparla, con esterni, condivide dubbi e domande, genera in massa, ma con tutte le voci distinte, la stessa idea madre: dobbiamo ridurre l’uso dell’automobile, e dei combustibili fossili in generale, in tutto il mondo, e anche in fretta. L’aria si fa irrespirabile in alcune città non ancora velocizzate. I primi passi sono già fruttuosi, e le città che assumono dosi di mobilità sostenibile importanti godono di ottimi risultati, e i quartieri ridiventano vivibili e allegri. Poi ci sono ovviamente i problemi, le cose che non quadrano, le differenze tra città e città. Le soluzioni, per dirla breve non sono sempre le stesse, e vanno studiate per bene.

Delivering solutions
Montréal ha innestato parcheggi per bici, ha creato il contraflow (nei sensi unici, le bici hanno precedenza in entrambi i sensi, e la velocità deve essere di 30 km/h), e ha raddoppiato le corsie per autobus. Risultato? Velocità media del Bus ottimizzata, una frequenza maggiore di mezzi pubblici, metà strada per le macchine e il 20 % della popolazione che si sposta in bici.
Anche Bruxelles ha innestato questa ormai famosa contraflow, e a quanto pare, anche lì funziona.
Londra ha addirittura obbligato la velocità nelle strade a una corsia a 30 km/h, e ha imposto la traffic congestion charge, la così discussa tassa d’ingresso in città. I risultati sono nel centro riduzione del traffico di 45%, incremento di orari e numero di trasporti pubblici, strade sicure per permettere ai bimbi di andare a scuola in bici, e un numero incredibile di ciclisti. E i risultati sembrano piacere sia a commercianti che a cittadini. Persino la sanità pubblica si trova alleggerita da una buona percentuale di malattie cardiovascolari e respiratorie.
Per le città tedesche, la pista ciclabile è ormai una realtà talmente conosciuta e funzionale che in alcune città, come Bremen, hanno un cittadino su due che va in bici. Si si, uno su due.
l’Italia, dal canto suo, era molto scarsamente rappresentata, nonostante gli ottimi risultati di città come Ferrara o Brescia, divenuti ormai modello di sviluppo per molti operatori del settore. Anche la F.I.A.B. era li, a ribadire il suo costante impegno nella promozione dell’uso della bicicletta.
Poi ci sono gli esempi “dal basso”. Forse dovevo metterli per primi, ma tant’è, andiamo avanti.

Dicevamo di Roma
cosa strana e inaspettata come già detto, quest’anno a Velo-city ha partecipato anche Roma, o meglio una parte di essa: i suoi ciclisti, per la precisione, e il loro modo di trovare dal basso le soluzioni ai loro problemi. Le ciclofficine hanno innanzitutto partecipato grazie ad una raccolta fondi, ed hanno portato a Dublino l’idea ancor piu morbida e sostenibile che ogni bicicletta rotta è una bici riparabile, e riciclabile. Il tutto assolutamente gratis. Bastano un po’ di braccia e menti. Alcuni vanno a raccogliere e riciclare le biciclette che i romani buttano ogni due domeniche nelle isole ecologiche. Altri aiutano i ciclisti inesperti a ripararsi la bicicletta, insegnandoli qualche trucco.
Altri ancora promuovono la veloruzione con flyers e manifesti. E dalle officine di roma, ogni settimana escono si e no 15 biciclette funzionanti. Sbalorditi, i membri della conferenza guardavano i dati e le cifre delle ciclofficina, e molti chiedevano maggiori informazioni, interessati. Ma non finisce qui, perché da questo stand dove esponevano i nostri romani, sono nati contatti con tutte le realtà analoghe in giro per il pianeta; sul mappamondo steso per terra in modo poco manageriale, decine di puntini sono stati segnati, le e-mails sono state raccolte, e ogni realtà ha iniziato cosi il processo di condivisione di idee e metodi. Perché ogni ciclofficina ha il suo modo di operare, la sua sacrosanta soluzione personale: chi affitta bici, chi le costruisce, chi le ricicla, e via di seguito. In america è molto usuale per esempio noleggiare ad un prezzo basso, biciclette riciclate e rimesse in ordine da giovani senza lavoro, o da associazioni di ex detenuti. Molti workshops si tengono in piazze o strade.
In Europa le ciclofficine sono più votate alla ridistribuzione, con workshop incluso. Le persone vengono, imparano a riparare la loro bici, e se la portano via. Il risultato, seppur modesto, è inequivocabile. ogni ciclofficina ricicla una buona dose di bici a settimana, e ne promuove direttamente uso e diffusione. A Dublino c’è la squareWheel cycle workshop. È un negozietto in centro Dublino molto simile per ideologia e concezione alle ciclofficine popolari, e il suo responsabile Keyran Byrne, è persino sceso in campo contro le bici da supermercato, perché troppo pericolose, e costruite secondo criteri bassissimi di sicurezza e qualità. Lui le chiama “road to hell”, strada per l’inferno. Il suo archivio fotografico e i suoi reperti, stipati in un bustone nero, erano inequivocabili.
in Olanda, a Tilburg, esiste un’associazione che si chiama cycle friends, e il suo scopo è bello quanto tenero: aiutare chi non ha mai pedalato a farlo. lavorano molto con donne immigrate, e le aiutano nel loro processo di integrazione sociale.

Curtains
Dopo aver parlato di come vendere, promuovere, sostenere e riciclare la bicicletta, la velo-city si è conclusa nell’aula centrale della Hall, con tutti i delegati presenti.
tra gli interventi conclusivi è stato molto seguito e apprezzato quello di Jacques Barrot, commissario europeo per il trasporto, che ha sottolineato l’interesse crescente che la comunità europea ha per il trasporto “dolce”. Per la sua promozione, Barrot si è detto pronto a prendere seriamente in mano la situazione, affinché tutte le città d’europa abbiano uno standard elevato di aria respirabile e traffico sostenibile. Serviranno però, sostiene sempre il commissario, importanti misure strutturali, e drastici tagli al traffico commerciale e privato. Il lavoro, insomma, è tutt’altro che archiviato.
Il direttore di velocity Olly Hatch ha poi concluso la sessione, da vero anchorman, e ha premiato i quattro progetti piu validi: la pista ciclabile di Odense, quella di Perth, in Australia, il progetto contraflow di Bruxelles, e strano a dirsi, ma molto commovente, il progetto di Roma, a cui è andato il premio di bronzo.

Non finisce qui, baby.
È dunque cosi che si sono svolte le cose a Dublino, e tracciando i risultati ottenuti, la conferenza si è data il prossimo appuntamento, doppio questa volta, a Johannesburg per Vélomondial 2006 e a Monaco di Baviera, per Velo-city 2007. lo scopo delle prossime conferenze sarà anche quello di recuperare lungo il percorso le città non ancora allineate, e confermare i risultati di quelle già avviate sulla strada della vivibilità e del decoro ambientale. E sé da un lato le istituzioni saranno sempre più presenti, con progetti sempre più efficaci e radicali, l’augurio che molti hanno espresso in questa sede è che aumentino anche le partecipazioni di organizzazioni dal basso, di progetti di base, e di cittadini comuni. Ammesso, ovviamente, che le tariffe di iscrizione vengano ridimensionate a prezzi più accessibili. Perché per parlar di bici non servono necessariamente capitali d’investimento.
Pedalate, gente, pedalate.

Mr. Hubbert


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