Cari e care amici/amiche
senza voler forzare la mano a nessuno unisco due documenti per chi vuole
capire di più. Come sapete Carlos Montemayor è fra i più obbiettivi e
accurati analisti del problema indigeno. Luis Hernandez è notoriamente l'
intellettuale più vicino agli zapatisti tanto da essere considerato da
alcuni un loro portavoce. Partendo da questi e dal colloquio avut con Miguel
al telefono deduco questo:
- gli zapatisti non pensano di riprendere unilateralmente le armi
- gli zapatisti possono dedurre da vari fatti obbiettivi in progressione
negli ultimi giorni che esiste il pericolo di una offensiva dell' esercito
(in un momento di grave debolezza politica del Presidente Fox che darebbe ai
militari più forza per imporre la loro soluzione)
- che in una situazione di grave deterioramento politico della situazione
messicana nota a chi non si concentri solo sul Chiapas e ormai in campagna
elettorale gli zapatisti vogliano riproporre politicamente un discoro su
loro e sul paese
Personalmente sia nel 2 che nel 3 caso mi pare sia utile rafforzare questa
iniziativa. Ovviamente tanto più se fosse i pentola la seconda ipotesi.
Scusate il nuovo intervento
Aldo
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La coltivazione di droga, strategia contrainsurgente
MONTEMAYOR: IMMINENTE RISCHIO DI VIOLENZA
BLANCHE PETRICH
Lo scrittore Carlos Montemayor afferma che la "allerta
rossa" dell'EZLN è un allarme sulla "imminente
esplosione di violenza" in una zona del Chiapas dove,
in cinque anni di governo foxista, si sono accumulate
tensioni e rimangono intatte le strutture dei gruppi
paramilitari che continuano a godere della protezione
dei governi federale, statale e dello stesso Esercito
Messicano.
Nell'intervista a La Jornada, sottolinea che questa
allerta, la terza emessa dall'EZLN in 11 anni, "toglie
il passamontagna alla politica dissimulata di
aggressione dei paramilitari in Chiapas, dietro i
quali si nascondono i governi statale, federale e
l'Esercito. È un importante messaggio politico, non
solo militare o tattico".
In nessun modo, sottolinea, si può leggere in questo
testo l'intenzione di un'aggressione unilaterale
dell'EZLN. "Al contrario - aggiunge - quello che si
annuncia sono piani preventivi che si svilupperanno
come azioni difensive rispetto al grado di violenza
che forze istituzionali eventualmente dispiegheranno."
Autore di importanti romanzi sulla insurgencia in
Messico (Guerra nel paradiso, Le armi dell'alba, I
rapporti segreti), Montemayor avverte anche della
"evidente artificiosità" del bollettino della
Segreteria della Difesa Nazionale che ieri stesso ha
comunicato il ritrovamento di colture di marijuana in
zone sotto il controllo zapatista negli Altos del
Chiapas. "La semina di colture in territori che si
decide di attaccare", segnala, da anni fa parte dei
manuali di contrainsurgencia delle forze armate.
Definisce il comunicato zapatista come "un messaggio
politico multiplo" che parte dai "15 minuti" che il
candidato Vicente Fox destinava alla soluzione del
conflitto in Chiapas e che "diventano cinque anni di
costruzione di una pentola a pressione pericolosa".
Avvertire sul pericolo di una prossima esplosione di
violenza, latente da anni per la presenza di
paramilitari "incoraggiati, armati, addestrati e
protetti dalle forze federali", non equivale
all'annuncio di azioni belliche unilaterali dell'EZLN,
insiste. Ammette che in questo testo si annunciano
"azioni future" di questa forza dalle cui
responsabilità solleva tutti i collaboratori civili,
ma, analizza, "è una strategia difensiva in ragione di
strategie offensive cui deve resistere".
Ritiene che la parte centrale della "allerta rossa"
sta nell'avviso che non saranno smantellate le
strutture dei Caracoles né le Giunte di Buon Governo,
ma che lavoreranno in maniera clandestina e mobile.
"In altre parole: diventeranno più forti
politicamente, si radicheranno maggiormente, saranno
più indistruttibili a medio termine." Aggiunge che
segnando questa rotta per il progetto che definisce
del "cuore politico e giuridico delle proposte dello
zapatismo", l'EZLN conferisce al suo documento "un
altissimo valore politico".
Davanti al pericolo di una nuova tappa di instabilità
in Chiapas, Montemayor propone che così "la reazione
sociale che richiede un tale avvertimento, deve essere
non solamente di opposizione assoluta alla violenza
militare e paramilitare, ma una rivalutazione
dell'essenza pacifista, giuridica e sociale delle
giunte".
- Il comando dell'EZLN prevede azioni governative e
chiede il rispetto dei civili che restano nelle sue
comunità. Ci sono indizi di attacchi da parte del
governo?
- Ci sono troppe tensioni nella zona: sgomberi
forzati, conflitti per l'acqua, per la terra,
sequestri, che lasciano una scia di tensione
crescente. La mancanza di informazione ci fa credere
che c'è stabilità. L'allerta rossa sta mostrando fatti
che noi ci siamo rifiutati di vedere, seguire,
verificare e considerare.
"Non è possibile credere che i paramilitari hanno
continuato ad accumulare armi e addestramento per
niente. È parte di una strategia in movimento.
L'apparente abbandono di distaccamenti militari lascia
un territorio scoperto, 'libero' per l'azione dei
paramilitari. Questo è già accaduto: Acteal."
- La dichiarazione dell'Esercito Zapatista arriva
nello stesso momento in cui un bollettino della Difesa
denuncia l'esistenza di colture di marijuana in zone
zapatiste. È qualcosa di casuale o la costruzione di
un'immagine di narcoguerriglia che potrebbe
giustificare un'offensiva armata?
- In documenti discussi in seno all'Esercito tra
ottobre e dicembre del 1994, che si trovano nella
parte finale del mio romanzo "I rapporti segreti", si
prospettano azioni di questo tipo come strategie
contrainsurgentes. Non solo si può seminare un pugno
di coca e marijuana in strada o in un domicilio. Si
può arrivare anche a seminare realmente un territorio
che si vuole attaccare.
(
www.jornada.unam.mx - Traduzione Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)
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Luis Hernández Navarro
MANCA QUELLO CHE MANCA
La partita è ripresa. Dopo avere subito un goal
illegale nella propria porta ed essere stati
condannati all'oblio, gli zapatisti hanno rimesso la
palla al centro ed il gioco è ripreso. Sanno che
l'arbitro ed i guardalinee sono contro di loro. Che
solo ieri l'Esercito li ha accusati di seminare
stupefacenti a Tapilula, Pueblo Nuevo e Rayon, proprio
loro che nelle proprie comunità non permettono neppure
la vendita di alcolici. Ma non importa: la palla si è
rimessa in movimento.
Lo hanno comunicato meno di un mese fa. In una lettera
indirizzata a Massimo Moratti, presidente della FC
Internazionale di Milano, annunciavano: "P.S. Con tono
e volume da cronista sportivo - Il Sup, che usa la
tattica dell'uruguayano Obdulio Varela nella finale
contro il Brasile (Mondiale di Calcio, Stadio
Maracaná, Río de Janeiro, 16 luglio 1950), con la
palla in mano ha camminato come al rallentatore (a
partire dal maggio del 2001) dalla porta zapatista.
Dopo aver reclamato all'arbitro l'illegittimità del
goal ricevuto, mette la sfera al centro del campo. Si
volta a guardare i suoi compagni scambiando sguardi e
silenzi. Con i pronostici, le scommesse ed il sistema
intero contro, nessuno spera negli zapatisti.
Incomincia a piovere. Ad un orologio sono quasi le 6.
Tutto sembra essere pronto perché l'incontro
riprenda....."
Gli zapatisti, non bisogna dimenticarlo, dicono quello
che fanno e fanno quello che dicono. Comunicano quello
che faranno e lo portano a termine. L'allerta rossa
decretata in territorio ribelle è l'ultima
dimostrazione di questo stile di fare politica. Da
mesi avvertivano: manca quello che manca. Oggi,
sappiamo di nuovo che sono qui.
"Manca quello che manca" è il sottotitolo del romanzo
"Morti scomodi" che il subcomandante Marcos ha scritto
a quattro mani con Paco Ignacio Taibo II. Manca quello
che manca è il ritornello che appare in vari
comunicati diffusi dai ribelli all'opinione pubblica,
nei quali analizzano il comportamento della classe
politica e la congiuntura nazionale.
Che cosa manca? Che in un momento della vita politica
del paese, definita dall'agenda di quelli in alto,
l'altro giocatore, quello in basso, che è ignorato,
contro il quale molto tempo fa l'arbitro ha estratto
il cartellino rosso, si rimetta in campo per dire
ancora una volta "Ya Basta!" Sono qui, la partita
continua. Che, in un'epoca in cui è in pericolo la
sopravvivenza del pensiero autonomo di sinistra,
questo sopravviva. Questo è quello che stanno facendo
adesso gli zapatisti.
Il 14 agosto 2001, è stata promulgata una caricatura
di riforma costituzionale sui diritti e cultura
indigeni, approvata dal Congresso dell'Unione, che ha
chiuso la porta dell'inclusione politica allo
zapatismo ed ai popoli indios. La Suprema Corte di
Giustizia della Nazione non ha fatto nulla per
evitarlo, nonostante gli oltre 300 ricorsi
costituzionali presentati dai municipi indigeni. Lo
Stato messicano in plenum ha condannato quelli in
basso all'esclusione.
Da allora, il governo di Vicente Fox ha perseguito la
politica dello struzzo. Ma, sebbene in foxilandia non
ci sia guerra nel sudest messicano, l'Esercito
continua a pattugliare la regione ed i paramilitari ad
operare. Il suo delegato per la pace, Luis H. Alvarez,
si è dedicato a fare la guerra. Con valigette piene di
denaro ha sparato cannonate di migliaia di pesos
contro le comunità in resistenza. Come risposta, in
diversi casi le popolazioni ribelli, che hanno tanto
bisogno di tutto, hanno dato fuoco alle banconote. A
Guadalupe Tepeyac l'inviato governativo ha dovuto
darsela a gambe davanti all'ira degli abitanti. Quasi
nessuno è sembrato comprendere allora il messaggio dei
ribelli.
Ma sarebbe illusorio supporre che il problema sia solo
con il governo federale. Tutta la classe politica ha
cancellato dalla propria agenda il tema della pace e
dei pieni diritti dei popoli indigeni. Nelle grandi
mobilitazioni cittadine contro l'esautoramento il tema
è stato inesistente. Gli accordi di San Andrés sono
diventati, semmai, un simbolo retorico per i discorsi
ufficiali di qualche politico di sinistra.
I grandi mezzi elettronici di comunicazione sono
pronti a documentare l'eventuale incontro tra la
nazionale zapatista di calcio e l'Inter di Milano, ma
ignorano sistematicamente l'esperienza delle Giunte di
Buon Governo o la lotta delle comunità in resistenza.
La stampa internazionale ha riportato l'uscita del
romanzo poliziesco "Morti scomodi", ma ha dimenticato
di raccontare quello che succede in Chiapas.
Ed anche tra le file di una certa sinistra si è voluto
ignorare l'importanza dell'EZLN per le lotte di
resistenza in corso contro il neoliberismo. Il disagio
che provoca la sua eterodossia in chi possiede già
tutte le risposte a tutte le domande, ha ceduto il
passo a critiche astratte dalla purezza
rivoluzionaria, alla rivendicazione del modello
venezuelano come qualcosa da contrapporre
all'esperienza zapatista ed al silenzio.
Sì, manca quello che manca. Sì, è necessario che gli
invisibili, quelli in basso, gli esclusi, i rifiuti, i
non ascoltati, abbiano un posto degno in questo paese.
Lo zapatismo ha saputo essere paziente, ma la pazienza
ha un limite. Lo zapatismo è stato prudente, ma la
prudenza non può essere confusa con l'inazione. Lo
zapatismo è stato misurato, ma la misura non può
consistere nel sopportare stoicamente ogni tipo di
aggressione.
Sono già le sei. La partita è ripresa. Sì, manca
quello che manca. Speriamo che non sia troppo tardi
perché la parola - quella che in alto è stata
deliberatamente ignorata - sia ascoltata.
(
www.jornada.unam.mx - Traduzione Comitato Chiapas"Maribel" - Bergamo)