Tom e Marco
Pierluigi Sullo
Sono terribilmente stanco di scrivere necrologi, ricordi di persone amiche
che se ne vanno. Negli ultimi due anni questo rosario si è allungato,
allungato, e ad ogni occasione si tratta di dire qualcosa, perché tacere,
limitarsi a piangere il meno possibile, trattenendo il respiro e
ricominciando subito dopo, il lavoro, il giornale, quel che c'è da fare, non
si può. E' una scuola durissima, quella di sopravvivere alle persone che
amiamo.
Un anno fa se ne andò, proprio il 20 giugno, Tom Benetollo. Morì nel giro di
qualche ora, lasciando tutti senza fiato, senza alcuna possibilità di far
finta di abituarsi. Dico far finta, perché ci sono assenze che creano buichi
nell'anima. E ancora oggi ci sono momenti in cui alzo la mano per telefonare
a Tom, quando ho un problema che richiede la sua saggezza, il suo modo
apparentemente trasandato di mettere in fila un ragionamento. Poi lascio
cadere la mano.
Domenica se n'è andato Marco Beltrami, e mi pento di non essere andato fin
lassù, a Imperia, quando me lo chiese, qualche mese fa. Eravamo presi dal
nuovo settimanale, pensai che ci sarebbe stato tempo. Anche perché il suo
tumore andava e veniva, sembrava sotto controllo, e la sua voce di poco più
che trentenne, al telefono, era tranquillizzante, anzi tranquilla. Combatteva
la sua battaglia di radioterapie e chemioterapie con apparente serenità. Non
lo so, non lo vedevo da almeno due anni, però sapevo che era lì, a fare una
piccola cosa preziosa che si chiama La talpa e l'orologio. Chi ha avuto
l'occasione di prendere Carta della scorsa settimana, ha potuto leggere che
cosa era, quel "centro sociale" di Imperia, e cos'è Imperia, e quanto era
difficile tener viva una speranza, aperto uno spiraglio, un società dei
volonterosi, in una città simile.
Quando si dice "centro sociale" si allude, lo dico per i giornalisti e spesso
purtroppo per la gente di sinistra, a qualcosa che si presume di conoscere. E
che è invece molto più complicato dell'immagine che ne circola. Un centro
sociale come quello di Marco è una domanda tanto pressante quanto inevasa:
cosa c'è, nella vita, oltre ai percorsi obbligati del denaro, in un luogo che
invecchia male, che divora se stesso per inseguire il "turismo", che non ha
più - come dice il segretario della Camera del lavoro di Imperia, Claudio
Porchia - nemmeno una fabbrica, nemmeno un operaio. Cosa resta, se non
l'attività di uno come Marco, occupare un edificio e tenerlo aperto a tutti,
crearvi una bottega del commercio equo, tenere lo sguardo lungo sul mondo,
far circolare libri e idee?