Manifestazione contro il Muro a Bil'in violentemente repressa
dall'esercito israeliano
Venerdì 17 giugno siamo tornati a manifestare contro il Muro:questa
volta a Bil'in, villaggio a circa 15 minuti da Ramallah dove i lavori
di costruzione sono iniziati da ormai alcuni mesi.
Il concentramento era alle13 ma già dalle11 sono cominciati ad
arrivare alla spicciolata i e le manifestanti: come sempre si tratta
di persone di diverse origini e nazionalita', con diverse storie e
motivazioni, ma tra le quali si stabilisce quasi subito una certa
solidarietà. Ci siamo trovati così a cercare di chiacchierare con uno
studente olandese o un giornalista tedesco; a conversare con una
signora che pensavamo palestinese e abbiamo scoperto invece essere
un'israeliana emigrata dalla Siria e che ci ha detto "Io lì ho vissuto
sulla mia pelle la discriminazione e non posso permettere che il mio
popolo faccia altrettanto con i palestinesi?". Alle 13.00 eravamo
circa 300 manifestanti tra residenti di Bil'in, attivist* israelian* e
internazionali, abbiamo iniziato a marciare, come accade da mesi
ormai, verso il cantiere del muro. Portavamo tutt* lapidi in
polistirolo con l'insegna "R.I.P., vittima palestinese del Muro a
Bil'in. 2005".
L'esercito, che aveva dichiarato tutta la zona del villaggio, e di
altri due circostanti, zona militare chiusa, ha attaccato la
manifestazione non appena questa ha superato l'ultima casa del
villaggio.
Inizialmente hanno utilizzato una nuova macchina che emette un sibilo
ad una frequenza che risulta insopportabile e può causare danni
all'udito. Ma dopo una decina di secondi, mentre già indietreggiavamo
hanno cominciato a lanciare lacrimogeni ad altezza d'uomo.
Il bilancio è stato molto pesante: quindici ferit*, colpit* e
ustionat* da candelotti incandescenti, granate assordanti, ferit* con
proiettili ricoperti di gomma, e nuovi proiettili di plastica della
dimensione di una pallina da pingpong. Mentre scappavamo ormai
dispers* tra i campi, hanno cominciato una caccia all'essere umano,
caricandoci fin dentro il villaggio.
Lacera il cuore il ricordo delle urla della gente investita dalla
carica violentissima dei sodati e l'espressione di terrore, dolore e
sgomento di una giovane ragazza colpita in piu' parti del corpo dal
cilindro metallico incandescente del gas lacrimogeno. Un ragazzo di
quindici anni è stato invece colpito alla testa da un candelotto ed è
stato trasportato in ospedale. Secondo il portavoce dell'esercito i
soldati feriti sarebbero tre, colpiti da pietre. Sette gli e le
arrestat*, quattro israelian* e tre palestinesi, tra cui uno dei
membri del Comitato di Resistenza Popolare e un ragazzo ferito ad una
gamba mentre giaceva al suolo accanto alla lapide in polistirolo,
durante la prima fase di protesta simbolica. I soldati, dopo averlo
arrestato, hanno negato che gli si prestassero cure o che lo si
trasportasse in ospedale, sebbene stesse perdendo molto sangue. Tutt*
sono accusat* di avere lanciato pietre, nonostante un video dimostri
che il loro arresto è stato precedente al momento in cui giovani
palestinesi hanno iniziato a lanciare pietre per contrastare l'attacco
dei militari ormai penetrati dentro il villaggio. I/le tre israelian*
ancora in stato di arresto hanno rifiutato di essere rilasciat* senza
gli altri arrestati e in serata si trovavano ancora in prigione
insieme ai tre palestinesi.
Negli ultimi mesi il villaggio di Bil'in è stato vittima di una
pesantissima repressione a causa delle attività di resistenza. I
membri del comitato popolare sono stati incarcerati, picchiati, le
loro case assaltate e danneggiate, le loro famiglie aggredite
dall'esercito occupante israeliano. L'intero villaggio subisce
frequenti punizioni collettive e il comandante dell'esercito
responsabile della zona ha recentemente dichiarato al quotidiano
Haaretz che maggiore sarà la resistenza, maggiore diventerà la
repressione, e ha pubblicamente difeso l'uso delle punizioni
collettive, considerate peraltro illegali persino dalle leggi
militari.
Ci domandiamo perché si parli di periodo di distensione, di passi per
la pace, di calma relativa. Ci domandiamo perché di ciò che accade
nelle campagne, di ciò che accade a contadini e contadine palestinesi,
private dei loro mezzi di sussistenza, nessuno parli. La Palestina è
un paese prevalentemente agricolo e l'attenzione dei media
internazionali continua invece a concentrarsi sulle aree urbane,
ultimamente relativamente più tranquille (cioè meno devastate del
solito). Ma la costruzione del Muro rappresenta da un lato una fase
centrale della politica di annessione ed espulsione dello Stato
israeliano, dall'altro è lo scenario in cui si sta sviluppando una
nuova (terza?) resistenza popolare. Forse sarebbe necessaria una
maggiore presa di consapevolezza su questo, in Italia come altrove.
Le nostre emozioni sono state ambivalenti, come già in passato in
situazioni simili. Ci travolge essere testimoni di una tale impunità.
La sensazione di essere inutili ed indifesi e indifese di fronte alla
pura violenza delle forze di occupazione ci dispera. Ma di fronte al
coraggio, alla forza dei e delle palestinesi, di quelle persone che si
sono trovate costrette a subire la macchina di distruzione dello Stato
Israeliano, di fronte a persone che continuano a non chinare la testa,
riusciamo ancora a credere che ogni singola azione di resistenza valga
la pena. Esigere giustizia e diritti, senza temere chi hanno davanti
mantiene vivo questo popolo.
ruby, sobrin, nadia.
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