[Cerchio] Sulla marcia Susa/Venaus del 4 giugno

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Migliaia di NO al TAV

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C'è chi dice trenta chi dice quarantamila. In ogni caso tantissimi: una marea umana avvolta nelle bandiere NO TAV, che è sfilata da Susa a Venaus per manifestare per l'ennesima volta la propria opposizione ad un progetto destinato a devastare la Valle a spaccare in due i paesi della Gronda Ovest per far correre sempre più veloci le merci per il profitto di pochi sulla pelle dei più.
Oltre un decennio di lotta non ha fiaccato la volontà di Resistenza della gente della Valle, cui, negli anni, si sono uniti quelli della cintura Ovest di Torino.
La consapevolezza che la realizzazione di questa linea di treni superveloci significherà un peggioramento della qualità della vita, rischi per la salute ed un enorme spreco di denaro pubblico che potrebbe essere impiegato per migliorare i servizi alle persone costantemente peggiorati negli anni, ha mantenuto salda la determinazione ad opporsi ad un progetto di morte.
Nella pur vasta piazza della Stazione di Susa si sono incontrati in tanti da tutti i paesi. In testa al corteo bambini e studenti delle scuole, chiuse per lo sciopero proclamato dalla CUB scuola contro il TAV, poi i sindaci dei paesi, i presidenti della comunità montana, i numerosissimi comitati antiTav che in questi anni sono stati i veri motori della lotta. C'era anche un nutrito spezzone anarchico aperto dallo striscione della Federazione Anarchica e chiuso da quello dell'Osservatorio Ecologico occupato dagli squatter che portavano uno striscione in ricordo di Sole e Baleno, morti "suicidi" tra la primavera e l'estate del 1997 dopo essere stati imprigionati con l'accusa, rivelatasi infondata, di aver commesso attentati proprio in Val Susa. Nelle settimane che hanno preceduto la marcia Susa/Venaus siamo stati in tanti a notare che gli organi di stampa nei loro reportage si soffermavano sui presunti rischi di una "escalation" violenta del movimento, che aveva cittadinanza s!
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i loro corsivi. Le loro aspettative (o desideri?) sono state deluse e quella del 4 giugno è stata una grande giornata di protesta popolare.
Una protesta che purtroppo sono stati in molti a voler cavalcare: dalla sinistra DS a Rifondazione, dalla Margherita al PdCI, per finire ai sei sette esponenti leghisti, le cui bandiere, pur cacciate dal palco dove si sono tenuti i comizi finali, sono sfilate nel corteo.
Si è trattato, inutile negarlo, di un segnale di debolezza del movimento e, in particolare, dei comitati antiTav, che da iniziali promotori dell'iniziativa sono finiti con l'occupare il mero ruolo di aderenti di seconda fila. L'unità del movimento è certamente un'arma importante contro il potente blocco di interessi che, con l'appoggio di destra e di sinistra, vuole l'Alta Velocità, tuttavia non dovrebbe divenire ostacolo allo sviluppo di quelle pratiche di autorganizzazione dal basso che sono state sinora il reale punto di forza di un'opposizione che ha saputo non far sconti a nessuno. Al punto che nel movimento non sono mai mancate le critiche anche alle aree politiche di appartenenza dei singoli esponenti dei comitati. In una recente assemblea a Pianezza un consigliere comunale del PRC di Alpignano ha pubblicamente dichiarato di vergognarsi per l'ignobile sceneggiata di cui erano stati protagonisti i sei rappresentanti del suo partito in consiglio regionale, che, dopo ave!
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cciato la fuoriuscita dalla giunta della neogovernatore Bresso per il suo appoggio al TAV, erano rapidamente rientrati nei ranghi.
Vale la pena di ricostruire una vicenda che minaccia di essere foriera di sviluppi, specie dopo il grande successo della manifestazione.
La partita sulla TAV si è in parte spostata a Torino, dove l'amministrazione regionale ha aperto un tavolo di "trattativa". All'inizio di maggio, quando lo scontro tra la popolazione, Lyon Turin Ferroviaire (il General Contractor incaricato della parte centrale dell'opera), e le amministrazioni regionale e provinciale stava per imboccare una strada senza ritorno, la neo presidente della Regione Piemonte, la "sinistra" Mercedes Bresso, ha convocato i sindaci valsusini e i presidenti delle due comunità montane per reperire un po' di soldi con cui pagare la pace sociale.
In questa partita si sono inseriti i consiglieri regionali di Rifondazione, PRC e Verdi che hanno minacciato di opporsi, "minaccia" presto rientrata di fronte alla promessa di tenere aperto il tavolo di trattativa. È stata una vergognosa pantomima in cui si è pesata la malafede e le promesse da mercanti elettorali di certa sinistra, pronta a svendere la salute della gente per mantenere le "cadreghe" appena conquistate.
È possibile, lo sapremo dopo l'incontro fissato per il 9 giugno, che Bresso e suoi vogliano tener buoni i valsusini e gli abitanti della Gronda Ovest con qualche rinvio tattico in cambio della pace "olimpica" necessaria alla grande kermesse del prossimo anno. È un gioco sporco che occorrerebbe sventare in modo netto.
Nel volantino distribuito al corteo dalla FAI torinese era scritto a chiare lettere che "non si tratta sulla vita della gente!"
Non basterà certo la promessa di qualche galleria in più, di un po' di soldi per iniziative culturali, di una variante di percorso per trasformare un'opera devastante in un progetto ecocompatibile.
E delle compatibilità della "politica" i valsusini, gli abitanti della Gronda Ovest e i torinesi schiacciati dalle olimpiadi hanno sinora dimostrato di infischiarsene.
Sarebbe stato però opportuno che la denuncia dei tentativi di chiudere la partita con un tavolo di trattative istituzionale fosse fatta in modo più netto, prendendo chiaramente le distanze da chi, come Verdi, PdCI e Rifondazione ha dimostrato di tenere i piedi in due scarpe: un piede nell'Anti Tav e un altro, ben piantato, nelle istituzioni.
Alla manifestazione del 4 giugno gli striscioni contro Bresso e la sua giunta non si contavano. La gente sa bene che non serve una proroga all'inizio dei lavori, non serve un Tav "dolce", serve rispetto per una popolazione che ha detto in modo chiaro che il Tav non lo vuole, che le loro vite non sono in vendita, che quello che chiamano sviluppo è solo morte.
Sarebbe stato necessario che quanto veniva dichiarato in modo netto su tanti cartelli e striscioni trovasse un modo, anche simbolico, di esprimersi. Il progetto iniziale dei comitati Anti Tav prevedeva che la manifestazione terminasse all'interno dell'area in cui dovrebbe essere allestito il cantiere della CMC (la Coop. Rossa, specialista in devastazioni ambientali che ha vinto l'appalto). In quest'area vi sono ancora dei capannoni, serviti per i lavori dell'autostrada, i cui piloni incombono sulla strada che porta a Venaus. In quest'area si giocherà la partita vera. Quella della resistenza alle ruspe. In quest'area sarebbe stato opportuno marcare la volontà di un'altra non meno importante resistenza: quella contro i tentativi dei politici di imbalsamare la lotta, di anestetizzare l'impatto della manifestazione.
Invece la marcia si è conclusa al campo sportivo con gli interventi dei sindaci, dei presidenti delle Comunità montane alta e bassa Valsusa, con quello di un'esponente dei comitati anti Tav. Davanti al cantiere si sono fermati solo gli anarchici che hanno preferito terminare lì il corteo, volantinando e spiegando al microfono le ragioni di questo presidio di fronte al cancello ben sprangato del cantiere. Solo più tardi, a comizi finiti, parte dei comitati si dirigeva al cantiere mentre il cancello finalmente si apriva e con gli anarchici in prima fila si occupava simbolicamente l'area. Peccato che a quel punto gran parte dei manifestanti fosse tornato alla partenza con i pullman messi a disposizione dalle amministrazioni.
Il presidio permanente al cantiere, annunciato da mesi, partiva comunque. Purtroppo in questo modo la maggioranza della gente non ha neppure assistito all'atto di nascita dell'iniziativa, che, non a caso, alcuni quotidiani il giorno dopo attribuivano ai soliti "centri sociali".
La mancata pubblicizzazione durante il corteo del presidio, la decisione di rimandare al dopo manifestazione l'entrata e l'occupazione simbolica dell'area destinata a cantiere TAV, ha di fatto creato una separazione tra gente ed attivisti politici, che sembra demandare a questi ultimi, "specialisti" della politica, la pratica dell'autogestione delle lotte. Un errore che occorrerà in futuro evitare, pena una pericolosa divisione "funzionale" preludio ad un ancor più pericolosa divisione politica, tra chi delega alle istituzioni locali e chi agisce in prima persona.
Quello che serve ora è rovesciare i tavoli di concertazione tra Bresso e presidenti delle Comunità Montane praticando l'azione diretta popolare! Un'azione che non può essere "delegata" ai "professionisti" ma necessita dell'impegno di tutti, perché anche in Val di Susa quella che è in ballo non è solo l'opposizione ad un progetto devastante ma la capacità di autonomia della gente.
La popolazione di Scanzano Jonico, che si è ribellata alla discarica nucleare occupando per settimane e settimane strade e ferrovie, ci ha dimostrato che il solo tavolo di trattativa efficace è la lotta. Solo agendo in prima persona è possibile fermare il treno della morte.
Quella che si gioca in Valle di Susa, nella Gronda Ovest e a Torino non è solo una partita sull'ambiente ma è anche una battaglia politica, economica e culturale in cui è in ballo il destino delle trentacinquemila persone che l'abitano, che, di fronte alla "fretta" della globalizzazione, non sono che piccoli ostacoli lungo il "corridoio" destinato a collegare sempre più celermente Torino all'Europa. Il 4 giugno eravamo tanti, tantissimi ad opporci e nonostante l'Alta Velocità veda il consenso sia del Polo che dell'Ulivo, nonostante gli enormi interessi in ballo siamo scesi in piazza a batterci per le nostre case, per la nostra salute, per il diritto dei nostri figli a crescere in un ambiente sano.
Di fronte alla devastazione del TAV, di fronte alla folle corsa verso il profitto per i soliti pochi potenti la parola e l'iniziativa tornano alla gente, alla gente della Valle ed a quella della città, a quelli che in quest'angolo del Piemonte vogliono vivere e non correre, a quelli che della Val Susa amano i sentieri ed i boschi, a chi desidera un futuro per se e per i propri figli.
Di fronte ai giganti è giusto ribellarsi.
Ma. Ma.

Da Umanità Nova n. 21 del 12 giugno 2005