[Lecce-sf] Fw: [aa-info] Il piano anti-Siria di CIA e Mossad

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Autore: Rosario Gallipoli
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Oggetto: [Lecce-sf] Fw: [aa-info] Il piano anti-Siria di CIA e Mossad
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Sent: Saturday, June 04, 2005 5:22 PM
Subject: [aa-info] Il piano anti-Siria di CIA e Mossad



per contestualizzare i fatti di questi giorni:

(fonte: www.contropiano.org / Documenti - Medio Oriente - 2/4/05)

La CIA ed il Mossad lanciano il piano "Anti-Siria" in Medio Oriente

di Manuel Freytas - IAR

Stati Uniti e Francia hanno appena lanciato una campagna mediatica
internazionale volta ad esercitare pressioni sulla Siria, affinché
ritiri le sue truppe militari dispiegate in Libano, sotto l'accusa che
la sua presenza serve a proteggere i gruppi "terroristici" che
minacciano la pace e la stabilità della regione.

Dal canto loro i siriani rispondono - quasi senza eco nella struttura
dei mezzi di comunicazione di massa - che l'unica cosa "minacciata"
dalla loro presenza nel Libano è l'espansione del dominio dello Stato
di Israele, socio strategico e privilegiato delle politiche
depredatorie degli USA in tutto il Medio Oriente.

La manovra conta sull'approvazione dell'ONU, dell'Unione Europea,
della Russia e dei paesi della Lega Araba coinvolti negli interessi
economici della dominazione imperiale ebraico-nordamericana, tanto in
Medio Oriente come nella zona del Golfo.

Le grandi catene internazionali, abituali centrali mediatiche della
CIA, realizzano da parte loro una scoperta campagna "anti-Siria"
ricreando nei suoi contenuti e titoli il modello paradigmatico delle
accuse alla Siria realizzate dai funzionari di Washington e Tel Aviv.

Si ripete quanto già avvenuto per l'Iraq: senza alcun tipo di
elaborazione od analisi, le grandi catene informative imperiali
manipolano l'opinione pubblica internazionale mescolando parole chiave
come: "Siria", "terrorismo", "guerra civile", "attaccante suicida",
"tensione", "combattenti", "estremismo islamico", nella loro
conosciuta ricetta di "demonizzare" il "nemico" di turno della
macchina militare statunitense.

Come ieri Saddam ed il suo regime, oggi è la Siria ad essere accusata
di "dittatura protettrice dei terroristi".

George W.Bush e Jaques Chirac ripeterono questa settimana, durante il
loro incontro in Europa, che Damasco deve ritirare i 14.000 soldati
che mantiene dispiegati nel Libano, in compimento della risoluzione
dell'ONU votata nel settembre dello scorso anno.

Il sottosegretario di Stato, William Burns, disse a Beirut, dove
assistette alle funzioni funebri dell'ex premier libanese, che
"l'assassinio di Hariri deve aiutare il Libano a liberarsi dalla
presenza della Siria. La segretaria di Stato Condoleezza Rice,
intanto, segnalò che "disgraziatamente il governo siriano non va verso
un miglioramento delle sue relazioni con noi bensì verso un
deterioramento".

La soluzione al dilemma: la Siria deve ritirarsi dal Libano e
riorganizzare il suo regime nel quadro di un "processo democratico",
come segnalano gli statuti del "mondo libero" scritti da George W.Bush
e dai suoi instabili soci all'ONU.

Il Piano

Espulsa la Siria dal Libano, rimane aperta la porta per un intervento
militare statunitense-israeliano orientato a sterminare le basi
logistiche ed i comandi operativi delle organizzazioni armate che
combattono Israele e gli USA nella regione, soprattutto in Iraq e
Palestina.

Il piano d'azione psicologica mediatica per giustificare le operazioni
contro la Siria è un calco di quello che utilizzarono per invadere
l'Iraq: appoggio al "terrorismo internazionale" e possesso di armi di
distruzione di massa.

Tra le tesi a sostegno, costantemente riproposte dalle centrali
mediatiche della CIA, si menzionano:
a) La Siria mette in pericolo la pace in Medio Oriente, e la sua
presenza militare può imbarcare il Libano in un'altra crudele guerra
civile come quella che visse nella decade del `70.
b) La situazione del Libano, come paese occupato dalla Siria e dalla
rete internazionale del "terrorismo islamico", giustifica
un'operazione militare per la sua "liberazione", e per lanciare nel
seguito le forze fino a Damasco e sterminare la radice originaria
della "minaccia islamica" alla regione.

Le idee-forza, lanciate massicciamente per mezzo di slogan
giornalistici, coronano il piano-madre del sionismo
ebraico-nordamericano di Washington, forgiato dal trio di esperti
comandato dal vicecapo alla Difesa, Paúl Wolfowitz.

Questa lobby, diretta politicamente dalla Casa Bianca dal
vicepresidente Dick Cheney, e capeggiata nella segreteria della Difesa
dal suo titolare, Donald Rumsfeld, rappresenta essenzialmente
l'interesse dei fabbricanti d'armi, delle industrie petrolifere e dei
consorzi di servizi che operano contratti milionari col Pentagono
statunitense.

Il gruppo dei neoconservatori, esecutore della linea madre della
politica estera nordamericana a partire dall'11 settembre, difende
apertamente l'intervento militare in tutta la mappa del Medio Oriente
per eliminare "la minaccia araba verso Israele".

Dopo aver pianificato l'invasione dell'Afghanistan (con il pretesto di
distruggere la rete "Al Qaeda") e l'occupazione militare dell'Iraq
(con il pretesto di eliminare le armi di distruzione di massa di
Saddam Hussein), la lobby ed i falchi nordamericani, fortificati dalla
rielezione di Bush e contando sulla sottomissione di Europa e Russia
alla "guerra contro il terrorismo", hanno posto sotto mira tre paesi
chiave: Siria, Libano ed Iran.

Il gruppo di falchi militari e civili pro-Israele pianificò
l'invasione dell'Iraq a partire da un principio basato sulla "teoria
del bowling" del Medio Oriente, secondo il quale un colpo diretto
contro l'Iraq potrebbe abbattere vari regimi arabi del Medio Oriente.

Giacché tale principio è fallito in Iraq, reiterano ora la stessa
teoria ponendo al centro la Siria ed il mirino puntato sui restanti
paesi, definiti "obiettivi" nell'agenda del Pentagono nel secondo
mandato di Bush, come ad esempio l'Iran, altro obiettivo strategico di
grande portata che i falchi vogliono conseguire.

Il piano, battezzato progetto di "rimodellamento del Medio Oriente",
fu riaffermato dal presidente George W.Bush nel suo discorso di
assunzione del secondo mandato, lo scorso 20 gennaio.

Per precisare il nuovo contesto, il capo della Casa Bianca ricordò,
nel suo discorso, gli attentati terroristici dell'11 settembre 2001,
come "un giorno di fuoco", ed aggiunse: "il nostro dovere non è
definito dalle parole che uso, bensì dalla storia che abbiamo visto
insieme".

"La migliore speranza di pace nel nostro mondo risiede nell'espansione
della libertà in tutto il Pianeta", affermò Bush chiarendo che la
politica estera iniziata dopo l'11 settembre continuerà inalterabile e
con più forza con il falco nero, Condoleezza Rice, a capo del
Dipartimento di Stato.

Il discorso di Bush non faceva altro che "riciclare" con parole
aggiornate il progetto di "rimodellamento del Medio Oriente", vestito
ora da crociata liberatrice contro il terrorismo e le "tirannie del
mondo".

Il governo siriano, secondo il decalogo bushiano della Casa Bianca, si
adatta perfettamente al modello: è un regime "dittatoriale" che
protegge e promuove il "terrorismo".

L'Operazione Siria, pezzo forte del piano, ha per obiettivo strategico
garantire il controllo delle riserve energetiche nel Medio Oriente e
negli Stati del Golfo, assicurare una base di controllo
geopolitico-militare con proiezione verso l'Asia, e continuare le
conquiste di nuovi mercati, appoggiandosi sul potere nucleare-militare
d'Israele a livello regionale.

Il piano ha per alleati la Giordania ed alcuni paesi della Lega Araba,
e conta sul fatto che la maggior parte degli emirati mantengano un
atteggiamento passivo come quello tenuto con l'Iraq. Dopo la conquista
militare dell'Iraq rimangono solo tre paesi fuori controllo: Iran,
Siria e Libano.

Nella decade degli anni `50 David Ben Gurion lanciò la tesi-madre: per
porre fine alla minaccia dei suoi vicini, Israele deve prendere il
controllo dell'"anello più debole della catena della Lega Araba": il
Libano.

Il generale sionista Ariel Sharon, che nel 1982 entrò coi suoi
carrarmati a Beirut ed aiutò le milizie cristiane a massacrare gli
abitanti degli accampamenti di rifugiati della capitale, Sabra e
Chatila, è il grande prosecutore della tesi di Ben Gurión.

Il piano di sterminio della resistenza palestinese ed irachena,
obiettivo centrale in questa fase, richiede di distruggerne le basi
logistiche ed operative in Siria e Libano.

Circa le operazioni militari contro la Siria, nel Pentagono domina
l'idea degli attacchi aerei "preventivi" con compito di
"ammorbidimento" ed appoggio all'invasione terrestre dei carrarmati e
forze speciali israelo-nordamericane.

Nel gennaio del 2004, Donald Rumsfeld presentò a Bush un documento
elaborato sulla base d'informazioni raccolte dalla CIA in Medio Oriente.

La relazione assicurava che i "terroristi", tra i quali figuravano i
membri del movimento Hezbolláh, "continuano ad attraversare la
frontiera dalla Siria all'Iraq" per prendere contatti con i gruppi
iracheni che lottano contro le forze d'occupazione USA. Lo stesso
documento forniva "prove" di armi chimiche in possesso della Siria.

In conclusione la relazione sollecitava Bush a lanciare attacchi aerei
"preventivi" ed incursioni di forze speciali in territorio siriano,
così com'erano stati eseguiti nella cosiddetta "zona di esclusione"
dell'Iraq prima dell'invasione militare nel marzo del 2003.

L'attacco aereo israeliano al Libano, nel gennaio 2004, servì da
modello sperimentale e per la segnalazione dei nuovi obiettivi,
violando per la prima volta la "linea blu", ovvero la frontiera
approvata dall'ONU nel maggio del 2000.

Per lo sviluppo di questa fase del piano è necessario che CIA e Mossad
preparino il "clima anti-Siria" e le condizioni politico-sociali
derivanti da un confronto tra ufficialità ed opposizione in Palestina,
e tra pro-siriani ed anti-siriani in Libano.

Questa tappa - in esecuzione - prepara e precede la fase delle
operazioni militari lanciate per porre fine al "terrorismo
disgregante" ed alle lotte fratricide in Medio Oriente, la cui testa
organizzativa e logistica - secondo gli strateghi sionisti di
Washington ed il Pentagono - si trova in Siria.

Nella fase uno del piano, che sta funzionando in questo momento, la
CIA ed il Mossad (servizio segreto israeliano) giocano un ruolo chiave
nell'armamento e nell'esecuzione delle operazioni fraudolentemente
addebitate al "terrorismo", nella tattica divisionista per portare
allo scontro oppositori e filogovernativi, e nei tracciati della
campagna di azione psicologica volta a creare basi di consenso locale
ed internazionale ad un intervento militare in Siria.

L'operazione Palestina

In una prima fase, il piano richiede la dimostrazione che la Siria
continua a stare dietro le quinte di tutte le operazioni
terroristiche, attraverso la sua presenza militare in Libano e
l'esistenza nel suo territorio di basi e campi d'addestramento di
"estremisti" islamici.

Rispetto all'attacco terroristico di sabato notte a Tel Aviv, fonti
dei servizi segreti arabi concordano sul fatto che si trattò di
un'operazione della CIA e del Mossad, con la stessa metodologia
operativa già utilizzata per implicare la Siria nell'assassinio di
Rafic Hariri.

In entrambe le operazioni si perseguirono obiettivi simili: rompere le
linee di negoziazione tra ufficialità ed opposizione ed acutizzare
all'estremo il conflitto per provocare una reazione armata.

In un video diffuso dalla AFP ed altre agenzie, il presunto autore del
massacro di Tel Aviv rivendica l'attentato in nome del movimento
radicale palestinese Jihad Islamica, adducendo che "l'attacco fu
eseguito in risposta agli assassini ed alle distruzioni di case"
commesse da Israele.

Nel video, il soggetto identificato come capo locale delle Brigate Al
Qods, braccio armato del movimento, appare armato con un fucile
automatico davanti ad una bandiera della Jihad Islamica e con altri
tre fucili al suo fianco. Accusa l'Autorità Palestinese, che denunciò
energicamente l'attentato, di "collaborare" con Israele e Stati Uniti.
"Faranno la fine del generale Antoine Lahad", afferma riferendosi al
capo dell'Esercito del Libano Meridionale, una milizia pro-israeliana,
che si rifugiò in Israele dopo la ritirata israeliana dal sud del
Libano nel maggio del 2000.

Attraverso alcuni portavoce, l'organizzazione Jihad Islamica aveva
comunicato, immediatamente dopo l'attentato di sabato notte, che il
gruppo che rivendicava l'attacco era una frazione scissa
dell'organizzazione, la quale aveva realizzato una tregua ed aspettava
una risposta dal governo israeliano alle sue richieste di libertà di
prigionieri palestinesi. Pertanto l'imputazione dell'attacco era assurda.

Portavoce di Damasco, dal canto loro, segnalavano che il gruppo che si
era attribuito l'attentato ed il presunto autore dell'attacco suicida
erano stati infiltrati da agenti della CIA e del Mossad, e che
l'operazione era stata realizzata localmente con l'obiettivo di
frustrare il processo di tregua della guerriglia col governo di Abás,
ed impastoiare il negoziato per la liberazione dei prigionieri
palestinesi, negoziato che si stava realizzando tra le organizzazioni
armate palestinesi ed il governo di Sharon.

Curiosamente, poco prima che il presunto gruppo attaccante assumesse
la paternità, fonti del Ministero della Difesa israeliano assicuravano
che l'attentato era stato portato a termine dalla Jihad Islamica,
seguendo le istruzioni dei capi nella capitale siriana, mentre
l'Autorità Palestinese manteneva la versione che addossava la
responsabilità agli Hezbollah del Libano.

Domenica, fonti del governo Siriano affermarono che l'operazione della
CIA e del Mossad con l'apparizione del video del presunto kamikaze,
era stata pianificata per acutizzare la confusione tra il governo
palestinese ed i gruppi armati e per verificare la disposizione ad un
conflitto armato tra quei settori.

La CIA ed il Mossad avevano necessità di mostrare ciò che emergeva con
immediatezza dall'atto terroristico a Tel Aviv: la violenza politica
che mette a rischio il processo di pace in Medio Oriente ed il regime
costituzionale in Palestina.

L'operazione doveva essere in perfetta sintonia con l'accusa ufficiale
del governo israeliano.

Dopo l'attentato di sabato notte a Tel Aviv, il Ministro della Difesa,
Shaul Mofaz, incolpò la Siria di essere dietro al movimento radicale
palestinese Jihad Islamica, gruppo rivendicatosi autore dell'attacco.

La radio militare israeliana riportò la dichiarazione di Mofaz durante
una riunione di importanti responsabili di sicurezza dello Stato
Maggiore a Tel Aviv: "Disponiamo di prove che mettono direttamente in
collegamento la Siria con questo attentato".

Altro segno complementare lo diede Ariel Sharon nel non rilasciare
dichiarazioni nelle ore seguenti l'attentato.

La radio militare israeliana rivelò che il primo ministro israeliano
venne informato durante tutta la notte sugli avvenimenti, ma non si
pronunciò fino alla domenica, così consigliato da agenti ufficiali dei
servizi segreti che gli suggerirono di aspettare "la reazione dell'ANP
e del suo presidente Mahmud Abás".

La domenica, dopo aver verificato la mancata determinazione di Abas
verso i gruppi armati, Sharon disse che il processo di pace era in
pericolo e minacciò di frenare i negoziati con l'ANP, se questa non
avesse preso "energiche misure" contro i gruppi estremisti.

In sintesi, Sharon, seguendo il manuale della CIA e del Mossad,
approfittò del massacro di Tel Aviv per fare un passo avanti verso lo
scontro interno tra palestinesi. Una formula che CIA e Mossad
continueranno ad alimentare con azioni psicologiche ed ulteriori
attentati.

L'operazione Libano

Dopo l'assassinio dell'ex premier libanese Rafic Hariri, la
televisione Al Iraquía aveva mostrato immagini di nuovi presunti
"combattenti" iracheni, due dei quali confessarono di aver ricevuto
addestramento all'uso di armi ed esplosivi in Siria.

"Fui reclutato nel 2001 dai servizi segreti siriani nel porto siriano
di Latakia, dove ricevetti istruzione nella fabbricazione di
esplosivi, preparazione di autobombe ed assassini", assicurava uno dei
detenuti, identificato come Mohanat Abdula Sultán al Tai, secondo
l'emittente irachena.

L'operazione fu realizzata nel bel mezzo delle accuse di Washington e
Tel Aviv al governo siriano per l'attentato che pose fine alla vita di
Hariri, un alleato storico degli USA che capeggiava i settori
anti-siriani del Libano.

Portavoce dei servizi segreti siriani segnalarono che la manovra aveva
a che vedere con la preparazione di un "clima anti-siriano", lanciato
da Casa Bianca e Pentagono, per giustificare le operazioni militari
già previste contro la Siria e le organizzazioni operanti dal
territorio libanese contro Israele.

Rafic Hariri, alleato di Washington assassinato due settimane fa in
Libano, era stato sconfitto nell'agosto dello scorso anno quando la
sua richiesta di rinuncia dell'attuale presidente e di ritiro delle
truppe siriane, fu respinta dalla maggioranza del Parlamento libanese,
dovendo così rinunciare al suo incarico di primo ministro.

Nell'opinione dei portavoce di Damasco, il settore "anti-Siriano" di
Hariri, dopo la sua sconfitta, aveva perso seguito politico, mentre
invece il suo assassinio ha rafforzato l'opposizione al governo ed i
gruppi pro-statunitensi che chiedono il ritiro delle truppe siriane
dal Libano.

Hariri manteneva una posizione di dialogo tanto col governo
pro-siriano come con le organizzazioni armate islamiche, e scommetteva
di prendere di nuovo il potere in un processo democratico, confidando
sul suo carisma politico.

Il Ministro della Giustizia, Addoum, minimizzò la possibilità che
l'attentato fosse attribuibile ad Al Qaeda, per i vincoli economici e
politici di Hariri con l'Arabia Saudita.

Il premier assassinato, d'altro canto, manteneva buone relazioni con
la Siria attraverso l'ex capo dei servizi segreti militari di quel
paese, generale Ghazi Kenaan, che gli servì come aggancio tra Siria ed
Arabia Saudita durante il suo mandato di primo ministro del Libano.

Il suo assassinio pertanto non aveva alcun senso pratico e non portava
alcun vantaggio ai settori pro-siriani né al governo alleato della
Siria in Libano, e meno ancora alle organizzazioni della resistenza
che mantennero lo status di riconoscimento ufficiale durante la
gestione di Rafic Hariri come primo ministro.

Le versioni ufficiali fornite dalla stampa segnalavano inoltre che
Hariri, con sette guardie del corpo ed un aiutante personale, più
altre sette persone, erano state uccise da un'autobomba carica di 300
chili di dinamite.

Mezzi d'informazione arabi, tra i quali la catena Al Jazeera, avevano
segnalato dopo la morte di Hariri, che l'esplosivo utilizzato per
l'attentato non era presente nell'arsenale di alcuna organizzazione
islamica della regione, ed il suo alto potenziale (uccise Hariri e la
sua scorta al completo, oltre ad altre persone) era dimostrato dal
cratere di quasi 10 metri di diametro che aveva lasciato.

L'esplosione fu tanto potente che ruppe le finestre in un raggio di
vari isolati e distrusse le auto Mercedes Benz del convoglio come se
fossero giocattoli.

Fonti di sicurezza segnalarono che le caratteristiche tecniche della
bomba erano tanto avanzate che l'attacco eluse l'azione dei
dispositivi di blocco ad alta tecnologia, di cui erano fornite le
automobili del corteo di Hariri, predisposti per interferire con
telefoni cellulari e televisori.

La stampa araba rese pubbliche perizie dei servizi segreti libanesi,
le quali segnalavano che il materiale esplosivo utilizzato
nell'attentato si trova soltanto in possesso della CIA, del Mossad
israeliano e dell'M-16 britannico, e proviene dalla centrale nucleare
di Dimona in Israele.

In sintesi, e come sostengono i siriani ed i servizi segreti arabi,
tutte le impronte digitali dell'attentato contro Rafic Hariri
conducono ragionevolmente alla CIA, al Mossad ed ai principali
beneficiari del suo assassinio: Washington e Tel Aviv, che hanno così
ottenuto l'argomento giustificatorio principale per il loro piano
d'invasione della Siria.

Tratto da: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=12043

Traduzione dallo spagnolo a cura di Adelina Bottero e Luciano Salza





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