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Rinvii e archiviazioni
Lorenzo Guadagnucci
L'articolo di Guido Ruotolo pubblicato sulla Stampa del 17 maggio esprime bene il sentimento di noia e fastidio che sta diventando il senso comune di tanti "democratici" rispetto agli sviluppi giudiziari e politici del G8 del 2001. Ruotolo, commentando il rinvio a giudizio di 45 agenti e medici per gli abusi contro detenuti compiuti nella caserma di Bolzaneto, scrive che "troppi rancori, sospetti, accanimenti segnano la vicenda del G8 di Genova". Ruotolo contesta chi continua ad invocare verità sui fatti di Genova ed "insiste ancora oggi" nella richiesta di istituire una commissione parlamentare d'inchiesta. Sia chiaro, Ruotolo non è fra quelli che parlano di "presunte violenze" e chiudono gli occhi di fronte alla gravità degli abusi compiuti dalle forze dell'ordine; sostiene, piuttosto, che la questione è competenza della magistratura e che questa, appunto, sta facendo il suo dovere, come l'avvio dei processi per la Diaz e Bolzaneto comprovano.
Ruotolo, per dimostrare che si è fatto il massimo per accertare fatti e responsabilità, ricorda anche il comitato parlamentare d'indagine attivo nell'estate del 2001 e una "commissione amministrativa interna voluta dall'allora ministro dell'Interno, Claudio Scajola". La conclusione del giornalista della Stampa è che "la pagina vergognosa di Genova, nei fatti è stata archiviata da tempo. Nel senso che da allora c'è stata un'accorta gestione dell'ordine pubblico, della piazza. 'Genova è stata una lezione per tutti - riconosce un dirigente della polizia - da non dimenticare'".
Il commento di Ruotolo va preso molto sul serio, perché il suo ragionamento è lo stesso di tanti dirigenti delle attuali opposizioni, che non negano la gravità dei fatti accaduti nel 2001 ma ritengono che la questione sia politicamente chiusa, visto che i processi sono in corso e le eventuali responsabilità penali saranno individuate in tribunale. La conseguenza logica di questa valutazione, è che la richiesta di istituire una commissione d'inchiesta, o l'idea di preparare una seria riforma delle forze dell'ordine, sono forme di accanimento e non proposte politiche da prendere in considerazione. Questa diffusa convinzione, che spiega i tanti silenzi e le tante reticenze del centrosinistra in questi anni, va respinta e contraddetta, perché tradisce una grave sottovalutazione dell'emergenza diritti civili che affligge l'Italia. Il progetto autoritario che sta dietro i fatti di Genova, nato prima del 2001 ma accelerato dai fatti del G8 e dallo choc dell'11 settembre, è in pieno svolgimento.
Chi sostiene la tesi che il G8 è politicamente da archiviare, dovrebbe rammentare che l'uccisione di Carlo Giuliani resta una ferita aperta nella nostra democrazia, che non abbiamo ancora una legge sulla tortura (unici in Europa) pur avendo 45 agenti e medici alla sbarra per i fatti di Bolzaneto, e che l'Italia non sta rispettando nessuna delle tre condizioni indicate da Amnesty International come indipensabili per prevenire nuove esplosioni di violenze ed abusi da parte delle forze dell'ordine. Queste condizioni sono: la sospensione degli agenti imputati; la condanna penale per i responsabili degli abusi; la condanna politica di quegli stessi abusi da parte del potere politico. Sappiamo qual è la reale situazione italiana: gli imputati non sono stati sospesi e anzi i più alti in grado hanno ottenuto promozioni; la prescrizione salverà probabilmente tutti; i vertici delle forze dell'ordine e dello Stato non hanno mai fatto autocritica e semmai hanno coperto i responsabili delle violenze, arrivando in qualche caso a contrastare l'azione della magistratura. L'idea che l'intera vicenda sia risolta perché ormai avviata sul binario dei processi, cozza dunque con l'esperienza maturata nel mondo sul tema delle libertà civili: l'Italia del resto è ben nota per le sue "disattenzioni" in materia.
Diciamola tutta: chi considera il G8 genovese una pratica da mettere politicamente nel cassetto, sta collaborando, più o meno consapevolmente, alla costruzione di una democrazia autoritaria.
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