[Lecce-sf] Fw: [antiamericanisti] il deserto osceno dei necr…

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Autor: Rosario Gallipoli
Data:  
Asunto: [Lecce-sf] Fw: [antiamericanisti] il deserto osceno dei necroyankhamburgers

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From: "Joe" <flespa@???>
To: <antiamericanisti@???>; <Al-Awda-Italia@???>
Sent: Friday, May 06, 2005 11:11 PM
Subject: [antiamericanisti] il deserto osceno dei necroyankhamburgers


Da: " Sergio Serrao"
Data: Fri, 6 May 2005 20:34:00 +0200
Oggetto: [antiamericanisti] Falluja peggio di Guernica. Gas nervino, iprite,
napalm.

LIBERTA' DI STAMPA
Falluja, Guernica irachena


JOHN E LUCIO MANISCO




Il generale di brigata dei marines John Sattler, meglio noto tra sciiti e
sunniti moderati come «il macellaio di Falluja», ha manifestato grande
soddisfazione per il successo della sua missione. Riecheggiando l'infausto
annuncio del maresciallo di Francia Horace Bastioni, «la tranquillité règne
a Varsovie», ha dichiarato a Wolf Blitzer della Cnn: «Oggi Falluja è uno dei
luoghi più sicuri dell'intero Iraq». Ha aggiunto alcuni dati a riprova: 2000
insorti uccisi, 100.000 dei 300.000 abitanti rientrati nelle loro
abitazioni. Quanto siano «sicuri» la città e qualsiasi altro centro del
paese è dimostrato dal fatto che l'intervista, alla vigilia del richiamo in
patria del generale, è stata effettuata da Blitzer ben lontano dal teatro di
guerra e cioè a Kuwait City; tutti gli altri dati sono stati peraltro
contestati dalla Croce rossa internazionale, dalla Mezzaluna rossa,
dall'alto funzionario della sanità irachena Khalid as-Shaykhli, da Reporters
sans Frontières, da Human Rights Watch e persino da quegli enti
internazionali più o meno allineati sulle posizioni dell'amministrazione
Bush.

I pochi testimoni oculari che sono riusciti a penetrare la cortina di ferro
eretta dalle forze di occupazione intorno alla città hanno presentato una
immagine terrificante delle devastazioni e dei massacri perpetrati a Falluja
dai marines. Ferrea la censura imposta dalle autorità americane e caro il
prezzo pagato direttamente o indirettamente da quei giornalisti non
«embedded» che hanno cercato di intervistare i profughi e di far affiorare
con altri mezzi la verità su quanto accaduto dal novembre scorso al marzo di
quest'anno: i casi più noti sono quelli di Giuliana Sgrena, Florence
Aubenas, Hussein Hanoun, un cameraman iracheno della Cbs arrestato a Mosul,
il giornalista della rete Al-Arabya Wael Issam, anche lui arrestato
all'aeroporto di Baghdad perché trovato in possesso di alcuni filmati
amatoriali girati tra le rovine di Falluja, e molti altri ancora espulsi con
fittizie motivazioni dall'Iraq.

Il tutto nel quadro a più fosche tinte dei 14 operatori dell'informazione
ammazzati dai militari Usa negli ultimi 18 mesi. Le esclusioni e le
rappresaglie contro i testimoni indesiderati sono state accompagnate da
restrizioni altrettanto severe sui profughi riammessi nella città: 20 mila
circa, e non i 100 mila di cui ha parlato il generale dei marines, tutti
soggetti a identificazioni bio-metriche, foto segnaletiche, impronte
digitali e a severe limitazioni dei loro movimenti. Proibito anche il
ritorno a quegli abitanti della città nati altrove.

Un «blackout» totale dunque, perché il mondo non deve sapere di quali
nefandezze si sono macchiate le forze occupanti, anche se il Pentagono non è
riuscito a sopprimere tutte le testimonianze: come quella resa dal su
menzionato Khalid as-Shaykhli, dirigente della sanità irachena e quindi non
sospetta fonte governativa, che in una conferenza stampa del 16 marzo,
trasmessa in diretta da Al-Jazeera e ignorata da tutti i giornalisti
occidentali presenti, ha testualmente dichiarato: «Le indagini condotte da
una mia squadra di medici hanno provato che le forze di occupazione hanno
fatto ricorso a sostanze messe al bando dalla comunità internazionale come
l'iprite, il gas nervino e il napalm». L'impiego di queste armi di
distruzione di massa è stato accompagnato, prima ancora dell'offensiva
scatenata dai carri armati Abrams in dotazione a 10 mila marines, da tre
mesi di intensi bombardamenti aerei con F-16 e elicotteri da combattimento.

I conti, quelli del generale John Sattler, non tornano affatto: ai 2000
cosidetti insorti uccisi devono aggiungersi altre migliaia di civili periti
sotto il fuoco americano; se è poi fosse vero che il numero dei profughi
riammessi nella città devastata è di 100.000, che fine hano fatto gli altri
200.000? Secondo la Mezzaluna rossa ed altre organizzazioni umanitarie che
operano sul campo sono poco più di 100.000 quelli rintracciati nelle
tendopoli di Baghdad e dintorni. Calcolando che ammontino a 40 o 50mila
quelli dispersi in case di parenti o amici nell'intero Iraq, ne mancano
all'appello altri 50.000.

Johnathan Steele e Dahr Jamail hanno scritto sul britannico Guardian che
«Falluja è la nostra Guernica». Una analogia approssimativa per difetto
perché statisticamente inesatta: il 26 aprile 1937 il bombardamento
«sperimentale» degli aerei tedeschi della legione Condor uccise circa 1.500
civili nella cittadina spagnola e tutto induce a credere che l'eccidio
protratto e ad alta tecnologia di Falluja abbia mietuto un numero ben più
elevato di vittime. Nella storia senza fine della umana barbarie Coventry e
Dresda potrebbero fornire paragoni più calzanti.

Troppo facile ma non meno calzante la citazione di Cornelio Tacito: «Lì dove
fanno un deserto, lo chiamano pace».

(john e lucio manisco)



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