Poche righe per dire la nostra, convinti, oggi più che mai, che più
delle
parole siano le pratiche a comunicare fra noi.
Un oceano multiforme e precario, a tratti bellissimo, ha invaso Milano
per
la May Day 2005.
Risultato di tutt* coloro hanno alimentato e costruito, nelle
quotidianità
di questi anni, il terreno della riappropriazione di diritti, la
rivendicazione di bisogni, l'esigenza di desideri nelle nostre vite
precarie.
Ma quest'anno la nostra parade non è mai iniziata.
"Quer pasticciaccio brutto di Porta Ticinese" ci ha consegnato un
risultato ancora prima di
partire.
Tre compagni in ospedale, un'aggressione effettuata con bastoni e
bottiglie, hanno generato un clima di tensione e settarismo. Qualcosa
che
sentiamo come altro da noi. Le derive raggiunte alla fine della parade
sono
state la (a)normale conseguenza dell'aria respirata lungo le strade di
Milano.
La nostra solidarietà incondizionata ai compagni di Acrobax e del
Vittorio
di Ostia.
Chi pensa e sceglie di risolvere differenze politiche usando bastoni e
procurando teste rotte, si assume una responsabilità tanto grave quanto
improduttiva. Non si tratta di fare processi, più semplicemente di dire
con
chiarezza che queste sono pratiche inammissibili e ingiustificabili.
Esprimiamo sdegno per chi non rispetta l'orizzontalità dei percorsi e
delle lotte,
per chi attraverso overdose di testosterone crede che le proprie
identità
siano più forti
e quindi si sente autorizzato a prevalicare.
Forse a volte è meglio spendere 15 ore d'assemblea per provare a
superare
le differenze e i rancori con un confrondo (anche duro) aperto e
diretto,
piuttosto che perdere le stesse 15 ore in silenzi, cose non dette,
sotterfugi e ambiguità per poi ritrovarsi in piazza a risultare l'unico
pezzo di moltitudione fuori luogo.
Riteniamo folle ogni tentativo di cavalcare l'onda precaria da parte di
chiunque.
Il precariato è un soggetto talmente forte, maturo e multiforme che non
può essere strumentalizzato da nessuno.
Detto questo, è grande la rabbia sotto il cielo di Roma.
Siamo qui a dissertare su camion, bastoni e teste rotte, mentre a
livello
cittadino con sempre più fatica riusciamo ad aggregare e a produrre
conflittualità, quella vera.
Invece di costruire momenti di discussione collettiva, aprire spazi di
produzione cittadina, è forte la sensazione che sempre più spesso
preferiamo (TUTT*) chiuderci nelle rispettive singolarità dei nostri
percorsi.
Forse pensando di raccogliere qualche successo sul breve periodo, ma
scontando poi la più completa incapacità di parlare alla città.
Dal 7 novembre '04 questo per lo meno è quello che abbiamo dimostrato.
Se la lunghezza d'onda fra noi continuerà ad esser questa, sarà molto
difficile pensare di uscire dalla pochezza delle quattro briciole che ci
ritroviamo per le mani.
latorre.csa
*quelli che.. preferiscono stare in coda*