[Incontrotempo] May-Day 005- ai/alle precari/e, ai movimenti…

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Author: info@acrobax.org
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Subject: [Incontrotempo] May-Day 005- ai/alle precari/e, ai movimenti, a chi costruisce MayDay tutti i giorni
May-Day 005-
ai/alle precari/e
ai movimenti
a chi tutti i giorni costruisce MayDay

A Milano c’erano più di 100.000 persone di diverse età, con diversi percorsi di
lotta o semplicemente in lotta con la solitudine che la precarietà sociale e di
vita impone. MayDay è volontà di espressione di chi subisce la precarietà, è
espressione della volontà di cambiare la propria condizione; è i mille volti di
chi è senza diritti, di chi fa un lavoro di merda, di chi subisce la
flessibilità, di chi è senza casa o è prigioniero/a di un affitto o di un
mutuo, di chi è ricorso ad una finanziaria per arrivare alla fine del mese e di
chi paga la sua formazione per diventare precari@. Ancora mille volti, mille
colori e mille storie, molti, così tanti da non poterli descrivere tutti.
La MayDay è la connessione di tutte quelle esperienze e realtà che
quotidianamente portano avanti lotte sociali sui propri territori, che hanno
dato vita alle mobilitazioni nazionali per il Reddito per tutti/e (22 novembre
03 e 6 novembre 2004), e che si scontrano da un lato con i limiti e le
contraddizioni delle battaglie sociali e dall’altro con la repressione e il
controllo diffuso (le 73 denunce seguite alla giornata del 6 novembre 04 per
citare solo un esempio significativo).
La costruzione di questa Parade è sempre stata ostinatamente aperta e
orizzontale, proprio perché la sfida che dovrebbe animare questo percorso
comune è quella di superare identitarismi e politicismi, per respirare e
cospirare insieme in un movimento di precari e precarie in grado di sovvertire
e agire la precarietà. Da Palermo a Napoli, fino a Barcellona, Parigi,
Helsinky…, pur nelle diversità che inevitabilmente ha proposto, la May-Day
rappresenta proprio questo carattere aperto e plurale che deve necessariamente
caratterizzare un movimento complesso di opposizione alla precarietà.
È evidente che questo percorso faccia gola a partiti e sindacati, tanto più ora
che si stanno preparando a salire al governo (il povero S. Precario martire
delle leggi regionali), come è evidente che il mercato stesso è sempre pronto a
sussumere e commercializzare ogni produzione culturale che questo movimento è in
grado di produrre, (come nel caso della nostra stilista Serpica Naro).
Eppure la sfida è un'altra.
La sfida è quella di aumentare la partecipazione quotidiana alle lotte che i
precari e le precarie costruiscono sui loro territori, è quella di rendere
riproducibile, desiderabile e necessaria ogni forma di conflitto che possa
portare di un passo più avanti le nostre rivendicazioni per nuovi diritti.
Se qualcuno per spazio pubblico intende uno spazio dove esercitare la propria
egemonia, o presunta tale, questo spazio pubblico non ci interessa. Se per
spazio pubblico si intende uno spazio dove sussumere le istanze di un
precariato sociale diffuso per poi farle rivalere su tavoli dove si giocano
posti o posticini di potere locale o nazionale, questo non ci interessa.
Se qualcuno per spazio pubblico e per Mayday intende il luogo dove ergersi UNICO
fautore e portatore di istanza di cambiamento radicale dello stato di cose
presenti, questo non ci interessa.
Per noi le May-day devono essere uno spazio e un luogo orizzontale e partecipato
da tutti i soggetti singoli o collettivi, organizzati o meno, dove ognuno porta
avanti una propria istanza di cambiamento in una prospettiva comune, con delle
rivendicazioni collettive e con delle pratiche e dei modi di AUTORAPPRESENTARSI
multiformi. Per noi la Mayday era e rimarrà tutto ciò, se tutt@ avranno la
voglia di difendere l'agibilità pubblica di spazi di decisione comune,
collettivi, assembleari ed orizzontali. Se la Mayday, come spazio di tutt@
i/le precari@ non è più tutto questo o lo è solo parzialmente, per quanto ci
riguarda non è uno spazio che ci interessa.
Fatto stà che abbiamo peccato di generosità, abbiamo sempre pensato, dalla prima
May-day a cui abbiamo contribuito fino all’ultima, che questa fosse uno spazio
aperto, comune, di responsabilità comune oltre che nella partecipazione
all’evento, nella garanzia della sua caratteristica principale cioè la
partecipazione affinché questa si svolga in maniera condivisa.
L’assenza della componente dell’assemblea milanese in piazza XXIV maggio, la
superficialità dimostrata nel non comunicare ai vari spezzoni del corteo la
possibilità di una forzatura annunciata e il fatto di aver lasciato che il
carro di Global\Cantiere forzasse la piazza sono la dimostrazione di una
debolezza collettiva nel percorso di costruzione della May-Day milanese.
L’orizzontalità è pratica necessaria, e il rispetto delle decisioni assembleari
(anche quando le assemblee sono confuse o difficili è lì che vanno prese le
decisioni, è lì che va fatta pesare la propria volontà) è un tassello centrale
per costruire insieme percorsi condivisi.
Quando questa condizione viene a mancare bisogna assumersi le proprie
responsabilità politiche e non ci si può aspettare che le forzature passino
senza un minimo di reazione.

Sarebbe semplice e semplicistico fare un comunicato che parli delle gravissime
responsabilità di 40 bambini arroganti, capitanati da altri bambinoni
arroganti, che con “spade” di legno e telecamere alla mano (nessun
mediattivista degno di questo nome avrebbe ripreso scene di tensione tra
compagni: dov’è finita l’autotutela e soprattutto le cassette?) hanno tentato
di imporsi fisicamente su di noi, ma non è successo solo questo.
Il Global/Cantiere ha imposto una modalità di “attraversamento” di uno spazio
pubblico e collettivo che è quanto di più lontano dalla nostra idea di
movimento e che consideriamo un attacco ai percorsi di autorganizzazione tra
precari@ e questo è successo sotto gli occhi di tutt@, comprese le forze
dell’ordine. Tre persone dello spezzone che abbiamo costruito sono finite in
ospedale, una delle quali con un grave trauma cranico provocato da una
vigliacca bastonata alla tempia.
Crediamo che numerosi altri compagni e compagne presenti, anche e soprattutto di
Roma, dell’ “area” di Global Project, avrebbero dovuto assumersi la
responsabilità di evitare che la struttura milanese facesse una forzatura su
tutta la MayDay.
Crediamo che la logica di guerra e la logica di sopraffazione siano stato il
peggiore degli spettacoli visti in piazza a Milano ed era inevitabile che un
corteo che vive dell’emotività, del desiderio e della partecipazione di tutt@
noi precar@ ne risentisse, fino al punto di dover vivere i fatti gravissimi di
via Cadorna cui sono seguiti quelli di Piazza Castello. Nulla accade per caso.
È questa logica che vogliamo sia condannata, al di là della “semplice”
solidarietà. E’ l’arroganza insita in questo presunto far politica che crediamo
debba essere condannata e isolata da tutte quelle realtà che si dicono e si
sentono parte di un movimento orizzontale e partecipato.
Siamo convinti che chi ha saputo costruire (e non distruggere) questa May-Day
debba esprimere pubblicamente la sua condanna politica. Lungo tutto il percorso
abbiamo ricevuto solidarietà da tutte le componenti, in molti ci hanno chiesto
delle condizioni dei compagni feriti. In molti ci hanno assicurato prese di
posizioni chiare e nette. Aspettiamo di leggerle nero su bianco.
In questo momento sentiamo che il silenzio equivale ad un assordante assenso.

L.o.a. Acrobax Project (Roma), Coordinamento cittadino di lotta x la casa
(Roma), C.s.o.a. Vittorio Occupato (Ostia)