[Cerchio] Torino: tre striscioni contro il fascismo e chi lo…

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Szerző: Federazione Anarchica Torinese
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Tárgy: [Cerchio] Torino: tre striscioni contro il fascismo e chi lo riabilita
Striscioni e cartelli al Martinetto, alla sede dei DS, di fronte al Comune.

Foto a quest'indirizzo:
http://italy.indymedia.org/news/2005/04/779786.php

"Coi fascisti nessuna pacificazione!"
Uno striscione con questa scritta è stato appeso all'ingresso del sacrario del Martinetto, il luogo ove a Torino vennero fucilati i partigiani.

"Violante: la memoria non si cancella!"
Un cartello con questa scritta è stato affisso sul portone di ingresso del palazzo in cui ha sede la Federazione di Torino dei DS, in corso Vinzaglio.

"Chiampa e Fini, amici per le foibe. Né lager, Né gulag, Né CPT"
Uno striscione con questa scritta è stato appeso di fronte all'ingresso del Municipio in piazza Conte Verde per accogliere degnamente il sindaco e la sua giunta che questa mattina celebrano il sessantesimo anniversario della Resistenza.

Una piccola azione per ricordare che chi confonde i carnefici con le vittime, ne diviene complice.
Oggi come ieri. Oggi come 60 anni fa, quanto Togliatti amnistiò i fascisti e lasciò al loro posto quasi tutti i prefetti nominati da Mussolini.

Abbiamo visto nel 1994 il presidente della camera Violante inaugurarla invitando alla "pacificazione" con "ragazzi di Salò", i crudeli assassini che hanno martoriato il nostro paese, torturato a morte i partigiani, bruciato paesi e massacrato la popolazione accanto alle truppe di occupazione naziste.

Abbiamo visto il "partigiano" Ciampi avallare la presenza del fascista Storace alle fosse Ardeatine, uno dei luoghi-simbolo della ferocia nazifascista.

Abbiamo visto il sindaco Chiamparino sedere accanto al ducetto Fini per commemorare i "martiri delle foibe", mentre NON UNA PAROLA veniva spesa per i MILIONI di vittime civili della guerra scatenata da Mussolini in Jugoslavia. Non una parola per l'italianizzazione forzata delle popolazioni croate e slovene in Istria e Dalmazia, NON UNA PAROLA per le cento e più "Marzabotto" di cui si sono macchiate le truppe di occupazione italiane in Jugoslavia.

Oggi come 60 anni fa l'antifascismo anarchico è lotta contro ogni forma di autoritarismo, sia di "destra" che di "sinistra", per la giustizia sociale e la libertà concreta di tutti e di ciascuno.

Per chi vuole approfondire la storia di questi 60 anni di revisionismo storico proponiamo uno scritto dell'Archivio Antifa che verrà pubblicato su uno dei prossimi numeri di Umanità Nova.

I RECUPERANTI

Niente avviene per caso.
Se oggi, a sessant'anni dalla Liberazione, in Italia un partito "postfascista" come Alleanza Nazionale, che conserva sia nel proprio simbolo che nella propria dirigenza l'eredità di un passato mai passato, rappresenta una delle maggiori forze politiche parlamentari e può ormai da un decennio essere parte essenziale e dinamica dei governi di centro-destra, significa che la memoria collettiva e la cosiddetta pregiudiziale antifascista della repubblica nata dalla Resistenza sono state soppiantate da uno spirito di pacificazione che nella società italiana ha avuto l'effetto combinato di uno schiacciasassi e di un macina carne.
Prima infatti ha appiattito una guerra civile e sociale che ha dilaniato circa un quarto di secolo di storia patria, almeno dal 1919 al 1945, quindi ha triturato e impastato i morti dell'una e dell'altra parte per azzerare ogni divisione e responsabilità.
Molti sono stati quelli che hanno lavorato più o meno scientemente in questa direzione, dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, seppur in diverso modo e a diverso livello ed anche con diversa connotazione ideologica; basti pensare al cosiddetto "revisionismo storico" che in realtà iniziò subito a modificare gli eventi connessi alla Resistenza affrettandosi a stabilirne la data di nascita (8 settembre 1943) e, soprattutto, quella di morte (25 aprile 1945).
Era infatti, per troppi, una pagina da chiudere quanto prima non solo sul passato, ma anche sul presente e sull'avvenire.
Tanto quindi ci sarebbe da dire sul ruolo dei cosiddetti storici, da quelli accademici agli esperti ad uso e consumo dei palinsesti televisivi, dai curatori dell'istruzione scolastica agli autori di saggi in vendita nei supermercati, ma per tale approfondimento è preferibile riferirsi ad alcuni testi che hanno affrontato seriamente la questione; in queste righe è possibile soltanto cercare di ricordare le tappe dello "sdoganamento" politico dell'estrema destra ed il suo completo inserimento nel contesto democratico.
A far tornare inizialmente sulle scene della politica nazionale, nel conflittuale dopoguerra italiano, fu Palmiro Togliatti. Di fatto, fu proprio il segretario del Partito Comunista Italiano che, nella sua veste di ministro Guardasigilli della neonata repubblica, pose la sua firma nel giugno '46 a quell'amnistia che assicurò impunità e scarcerazione a circa 10 mila fascisti della repubblica di Salò, compresi torturatori di partigiani e fucilatori di civili inermi.
Le indagini avviate invece sui tanti eccidi compiuti in Italia dai nazi-fascisti finirono invece sepolte negli "armadi della vergogna", da dove soltanto da poco stanno riemergendo.
Non per caso il Movimento Sociale Italiano nacque a pochi mesi dalla generosa amnistia, nel dicembre dello stesso anno, raccogliendo nel nuovo partito innumerevoli esponenti del passato regime e una serie di formazioni minori clandestine.
Giudici più che indulgenti, formati e legati ideologicamente agli imputati, nel frattempo rimettevano in circolazione, tra il '46 e il '47, il grosso dello stato maggiore fascista e repubblichino; d'altra parte risultava evidente la continuità del ceto che esercitava le funzioni repressive statali incaricate, si fa per dire, di impedire il ritorno al passato: dei 369 prefetti soltanto 2 non avevano fatto parte dell'ingranaggio fascista; dei 135 questori e 139 vicequestori soltanto 5 tra quest'ultimi avevano avuto rapporti con la Resistenza; dei 1.642 commissari soltanto 34 avevano avuto dei contatti con l'antifascismo.
Si tratta dello stesso apparato che continuava a schedare i "sovversivi"; nel casellario del Ministero dell'Interno su 13.716 sorvegliati per ragioni politiche 12.491 risultavano di sinistra; questi almeno i dati ufficiali, dato che l'attività di schedatura e controllo era capillare, sistematica e larghissima.
La comparsa del MSI, fortemente avversata a livello popolare, fu quindi possibile grazie a consistenti assensi e complicità politiche. Innanzi tutto va sottolineato il beneplacito dei Liberatori, ossia delle autorità politico-militari inglesi e statunitensi già da tempo impegnate nell'arruolamento in chiave anticomunista di innumerevoli dirigenti del nazismo e del fascismo; quindi non si può tacere la connivenza sia dei vertici della Democrazia Cristiana, in esecuzione delle volontà della Chiesa di Pio XII apertamente favorevole ad una totale riabilitazione dei fascisti, che quella della dirigenza del PCI, tutti interessati a favorire la creazione di una estrema destra politicamente ben individuabile, isolabile e ricattabile, secondo le opportunità e le circostanze, utilizzando a tal fine in modo strumentale anche la minaccia di scioglimento per "ricostituzione del partito fascista".
L'appoggio, anche finanziario, da parte delle gerarchie cattoliche a favore dei fascisti ebbe come principali sostenitori la curia romana, l'Azione Cattolica, l'organo dei Gesuiti La Civiltà Cattolica e i Comitati civici di Luigi Gedda.
Ovviamente anche il padronato vide favorevolmente tale riorganizzazione antioperaia e anticomunista; lo stesso Enrico Mattei, esponente di punta nel neocapitalismo italiano, avrebbe paragonato i fascisti ad un taxi di cui servirsi, pagando, finché potevano essere utili per il mantenimento del comando nelle fabbriche.
Ad entrambi i due maggiori partiti democratici, DC e PCI, non era sicuramente estraneo l'intento di volersi sottrarre reciprocamente una fetta considerevole di potenziali elettori fascisti che, senza un partito, avrebbero potuto confluire nella Democrazia Cristiana in nome dell'anticomunismo o nel Partito Comunista per ostilità verso la democrazia borghese e l'occupazione Usa.
In tale ambiguo clima di pacificazione nazionale, nel gennaio del '47 il PCI giunse a promuovere manifestazioni pubbliche a Perugia e Roma, con la partecipazione di Ezio Maria Gray, già ministro fascista ed in seguito dirigente missino, a fianco di esponenti partigiani. Nel 1951, fu quindi lo stesso Togliatti ad intervenire presso le autorità per consentire - contro la mobilitazione partigiana e popolare - un comizio del segretario missino De Marsanich, già sottosegretario agli Affari esteri ai tempi del duce.
La legittimazione istituzionale e l'accesso in Parlamento, furono presto ripagati dal MSI.
La prima occasione fu l'elezione del sindaco, democristiano, di Roma nel '47, in cui voti missini si rilevarono decisivi; negli anni seguenti il MSI appoggiò i governi regionali in Sicilia e Sardegna e le giunte comunali in mano alla DC in diverse città del centro-sud.
Nel '52, vi fu l'allora clamoroso "abbraccio di Arcinazzo" tra il dirigente democristiano Andreotti e Rodolfo Graziani, il generale responsabile delle stragi di etiopi ed ex-capo dell'esercitò di Salò, appena scarcerato.
I voti missini risultarono ancora determinanti: nel '53 ci fu l'astensione a favore del monocolore tecnico di Pella, ex podestà fascista di Biella, che come capo del governo fu il primo a trattare col sindacato filofascista CISNAL. Nel '57 il MSI salvò il governo DC-PSDI-PRI guidato da Segni e, subito dopo, condizionò pesantemente il governo monocolore DC Zoli; simili favori furono ricompensati con l'autorizzazione del trasferimento a Predappio dei resti di Mussolini. Nel '59 il MSI sorresse un altro governo Segni e nel '60 si arrivò all'appoggio missino al governo Tambroni, ferocemente repressivo e antioperaio, finché non fu cacciato dalla rivolta popolare ormai dilagante da Genova a tutta Italia. L'Osservatore Romano intanto approvava la collaborazione democristiana con i fascisti sostenendo che questi erano in fondo dei buoni cattolici.
Interessante ricordare che già allora tra i collaboratori di Tambroni e tra i sostenitori di un governo autoritario vi era tale Giovanni Baget Bozzo a capo del gruppo "Ordine civile", ancora oggi ben noto per le sue posizioni di destra.
In una sua circolare il ministro della pubblica istruzione, il DC Ermini, invitava i provveditori "a celebrare nel giorno 25 di aprile l'anniversario della nascita di Guglielmo Marconi".
Nel maggio '62 il MSI non si lasciò sfuggire la possibilità di fornire nuovamente il proprio decisivo contributo alla elezione di Segni a presidente della repubblica.
Intanto finanziamenti al MSI, alla CISNAL e agli gruppi di estrema destra affluivano copiosamente e senza mistero dal mondo dell'imprenditoria, sia pubblica che privata.
Tutto questo, mentre ovunque in Italia gruppi fascisti di ogni risma imperversano con attentati, aggressioni e provocazioni collegate ad una serie di trame eversive occulte miranti al colpo di stato, che vedevano intersecarsi l'azione di settori fascisti, servizi segreti, ambienti militari, poteri occulti e strutture segrete della Nato. Tali piani, dopo alcuni tentativi di golpe più o meno credibili, determineranno, come è risaputo, la cosiddetta strategia della tensione e le stragi di stato degli anni Settanta.
Il "taxi" fascista era lanciato di corsa contro le lotte sociali, pilotato da soggetti alle dirette dipendenze delle strutture repressive statali impegnate ad impedire che il paese fosse "preda dei comunisti e dell'anarchia".
I partiti di centro (DC, PSDI, PLI, PRI), nascondendosi dietro la tesi degli opposti estremismi, si rendevano co-responsabili della sistematica repressione dei movimenti collettivi di sinistra da parte delle forze di polizia, mentre all'estrema destra era permesso tutto, compresi gli assassini mirati e i massacri indiscriminati per seminare terrore.
Nel dicembre del '70, ad esempio, il prefetto di Milano Libero Mazza redigeva un rapporto sulla situazione locale dell'ordine pubblico negando ogni pericolo da destra ed evidenziando la minaccia costituita da 20 mila militanti dell'estrema sinistra. Due anni dopo, il questore di Padova, Allitto Bonanno, stilava un analogo documento che minimizzava le attività dei "ragazzi nazionali" e criminalizzava la sinistra extraparlamentare.
Il potere politico, caratterizzato dall'egemonia della destra DC, rivelava in questo periodo la più sfacciata connivenza con le forze della reazione, nel marzo '71 ben 77 deputati democristiani solidarizzavano con il movimento della "Maggioranza Silenziosa" costituito da nostalgici fascisti, anticomunisti e squadristi abituali.
Nel sedicente Comitato di Resistenza Democratica, promosso dal noto "golpista liberale" Edgardo Sogno, figuravano invece insieme a vari fascisti, anche esponenti "moderati", come dirigenti del PLI e persino Paolo Pillitteri allora segretario regionale socialdemocratico.
Il ruolo del PSDI, a partire dall'operato del presidente della repubblica Saragat, era infatti improntato in tale periodo non solo alla contrapposizione con il Partito Comunista, ma anche verso le lotte operaie e i movimenti giovanili.
Nel dicembre del '71, i voti missini assicuravano l'elezione del democristiano Giovanni Leone alla presidenza della repubblica.
La campagna elettorale della primavera del '72, vedeva quindi l'opposizione delle piazze antifasciste ai comizi del MSI, difesi dalla Celere anche a costo di fare morti, come accadde a Pisa dove fu assassinato l'anarchico Serantini, ma legittimati anche dai partiti dell'arco parlamentare, PCI compreso, che non vollero fare propria la volontà di tanti nuovi e vecchi partigiani.
La politica in particolare del PCI apparve allora del tutto incomprensibile, anche a tanti propri aderenti, chiusa sia nei confronti dell'antifascismo militante che verso la campagna illusoriamente promossa da Lotta Continua per il "MSI FUORILEGGE". In realtà tale politica rientrava perfettamente nella logica della conquista dei voti moderati del ceto medio e nella prospettiva dell'intesa governativa con la DC meglio conosciuta come "compromesso storico".
Nel '74 al referendum per l'abrogazione della legge sul divorzio, scendeva in campo la santa alleanza DC-MSI.
Nell'aprile del '75, dopo l'ennesimo assassinio compiuto a Milano dai fascisti, esplodeva la rabbia antifascista ed ancora una volta le forze dell'ordine difesero le sedi del MSI e degli gruppi d'estrema destra causando morti e feriti tra i dimostranti.
Per tutti gli anni Settanta, tra una strage e l'altra, il MSI avrebbe continuato quindi a vivere ai margini della Democrazia Cristiana, momentaneamente tenuto in disparte, mentre lo stesso capitalismo italiano mostrava di preferire governi di centro-sinistra aperti all'utile collaborazione del PCI.
Nel dicembre '76, nasceva Democrazia Nazionale, aggregazione minoritaria fuoriuscita dal MSI su posizioni formalmente più moderate e presentabili che per tre anni anticipò il percorso di Alleanza Nazionale. Dietro tale operazione si parlò dell'appoggio fornito da Andreotti e dal venerabile Licio Gelli della Loggia P2, ma recentemente è emerso il sostegno consistente in 10 milioni di Lire elargito da tale Silvio Berlusconi.
Per uscire dal limbo della politica, il MSI doveva attendere i primi anni Ottanta quando il Partito Socialista di Bettino Craxi, rinnegando la propria origine e identità antifascista, scelse di riabilitare il partito con la fiamma tricolore, definendolo nell'83 "un partito come tutti gli altri".
Correvano, d'altronde, i mitici anni del rampantismo, delle tangenti e della morte delle ideologie.
Forte di questo clima, negli anni tra il '91 e il '94 il neofascismo italiano viveva quindi una nuova stagione. Nel '93 Silvio Berlusconi apriva una carta di credito a Fini, succeduto ad Almirante alla guida del partito, sostenendone la candidatura a sindaco di Roma; Forza Italia si alleava al MSI per le politiche nel Meridione (era dai tempi del Partito Monarchico Popolare di Lauro che un partito non fascista faceva una scelta simile), mentre i giornali scoprivano il volto "nuovo" e per bene del nuovo segretario, definito "un bravo ragazzo" anche da Francesco Cossiga.
Nel '94 il MSI andava al governo, con ben cinque ministri, con Forza Italia e la Lega Nord.
Nel '95 a Fiuggi si teneva il Congresso della "svolta" in cui, raccogliendo una manciata di ex-democristiani di destra, il MSI si trasformò in Alleanza Nazionale. All'interno del partito che conservava nella bandiera anche la fiamma tricolore ardente dal catafalco del duce, non si registrarono grandi cambiamenti sostanziali, ma fu sufficiente per il definitivo "sdoganamento". Applaude monsignor Ruini, fautore dell'alleanza di centrodestra, e il filosofo ex-DC Rocco Buttiglione definisce ormai i postfascisti come "la destra democratica".
Così cadevano anche le ultime resistenze.
Per la prima volta i partiti di sinistra mandano i loro rappresentanti al congresso di un partito erede della Repubblica di Salò; si sprecano i commenti positivi di personalità non di destra: Vittorio Foa, Eugenio Scalfari, lo storico liberale Denis Mack Smith, autore di un ponderoso saggio su Mussolini…
Da parte sua, l'onorevole diessino Luciano Violante riabilita in parlamento "i ragazzi di Salò".
Un suo compagno di partito va anche oltre: nel '98 il sindaco del PDS di Cattolica annuncia di voler ricollocare una targa rievocativa della Marcia su Roma inaugurata sotto il regime nel '32.
Nessun stupore quindi se oggi si torna a mettere in discussione il 25 aprile come festa della Liberazione, o che si voglia definitivamente togliere ogni residuo riferimento antifascista nella Costituzione, come proposto da Marcello Pera dall'alto della sua carica istituzionale.
Nessuna meraviglia neppure se oggi Alleanza Nazionale, oltre a raccogliere gli ex del MSI, si presenta come l'ultimo approdo dei reduci di altre formazioni dell'estrema destra degli anni Settanta e Ottanta (Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale, NAR, Terza Posizione…).
Siamo all'ultima mano di un gioco iniziato già all'indomani della Liberazione.
D'altra parte, aldilà dei saluti romani e delle fiamme tricolori, il nucleo ideologico-culturale di base risulta immutato, come provano in modo trasparente le recentissime dichiarazioni di un dirigente di Azione Giovani, l'organizzazione giovanile di AN, tale Francesco Marascio: "Essere conservatori significa sposare una visione del mondo tradizionale, cioè immune dalla contaminazione ideologica iniziata con la rivoluzione francese alla fine del 1700 (…) Volendo trovare uno slogan possiamo tranquillamente riproporre il celebre Dio, patria e famiglia".
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