brano tratto del libro ?Zia, cos?è la Resistenza?? in cui, rispondendo alle
domande di un?immaginaria nipotina, Tina Anselmi racconta la sua esperienza
di giovane partigiana.
?A spingermi ad una decisione così fondamentale per la mia vita fu un episodio
che determinò non soltanto me, che avevo appena 16 anni e mezzo, ma anche
altre ragazze.
Era il 26 settembre 1944, ed ero a scuola, frequentavo l?Istituto Magistrale
a Bassano, quando i fascisti costrinsero tutti gli studenti a recarsi in
Viale Venezia, ora Viale dei Martiri; i fascisti e i tedeschi avevano compiuto
un grande rastrellamento sul Grappa, avevano catturato 43 giovani e li impiccavano
agli alberi di Viale Venezia; tra quei giovani c?era il fratello della mia
compagna di banco. Costrinsero la popolazione e noi studenti ad assistere
all?impiccagione. Fu uno spettacolo orrendo: un impiccato fa paura, è una
visione tragica. Alcuni bambini svennero, altri piangevano, tutti erano
sconvolti.
Quei poveracci impiccati erano innocenti, ostaggi uccisi per rappresaglia,
perché i partigiani avevano fatto saltare un ponte.
Quell?episodio aveva drammaticamente accelerato la maturazione di certi
processi culturali e di certe scelte di vita. Si trattava non solo di rifiutare
la dottrina fascista, ma l?intera impostazione sociale che il fascismo faceva
pesare sulla nostra vita. Quando ci siamo trovati di fronte gli alberi dove
erano impiccati giovani innocenti, ci fu una reazione umana, maturò la convinzione,
la consapevolezza da parte della gente, dei contadini, di operai e giovani
studenti che bisognava operare per far finire la guerra ma che bisognava
innanzi tutto creare la condizioni migliori perché ?una volta finita la
guerra, nella pace- l?Italia potesse riprendere il proprio cammino sulla
strada della democrazia, della partecipazione. Per realizzare questo programma,
queste idee, era necessario prima sconfiggere i tedeschi e i fascisti, i
quali erano ora padroni della nostra patria, dei nostri paesi e delle nostre
campagne, e sino a quando non ce ne fossimo liberati non avremmo avuto quella
pace che era condizione anche per la libertà e la vita democratica.
Tutto questo mi portò a diventare partigiana.
Io appartenevo ad una brigata autonoma, ossia di quelle brigate partigiane
che erano svincolate dai collegamenti con i partiti politici e che aveva
l?obbiettivo di liberare il territorio circostante. Nel gruppo cui io appartenevo
non avevamo la cultura politica per comprendere fino in fondo quello che
accadeva, e avevamo deciso di non prendere posizione per nessun partito
politico, fin quando non fosse finita la guerra.
Io sono di Castelfranco Veneto, e proprio in questa zona del Monte Grappa
ci fu una resistenza molto accesa, con migliaia di combattenti morti.
Il mio compito principale era mantenere i contatti fra la diverse formazioni
della brigata e informare le bande sugli spostamenti dei tedeschi. Per assolvere
questo compito facevo più di cento chilometri al giorno, in bicicletta,
i chilometri erano tanti, le strade di ghiaia e i copertoni della mia bicicletta
si consumavano rapidamente. I miei amici partigiani erano costretti a rubare
le gomme di altre biciclette per rifornire la mia, una volta, non sapendo
chi ero, mi fermarono e volevano portarmi via i copertoni?
Certo, i pericoli c?erano. Li affrontavo anche con un pizzico di incoscienza,
considerato che avevo 17 anni. Ricordo che una volta mi diedero l?ordine
di portare da Treviso in provincia di Padova una radiotrasmittente che pesava
moltissimo. Mi avevano detto di percorrere solo strade di campagne e non
la strada principale lungo la quale c?erano posti di blocco dei tedeschi
e dei fascisti: questo avrebbe significato non riuscire ad arrivare in tempo
a scuola?Temendo di fare tardi e non volendo perdere un giorno di lezione,
l?incoscienza dei miei 16 anni ?e non solo l?incoscienza, perché se mi capitasse
ora morirei di paura- mi portò a fare l?autostop chiedendo un passaggio
ai? tedeschi che caricarono sul camion me, la mia bicicletta e la valigia
con la radiotrasmittente.
?Come pesa questa valigia?, mi dissero, e io gli risposi che c?erano tutti
i miei libri.
Quando scesi nel luogo fissato per l?appuntamento, il partigiano che doveva
liberarmi dal pesante fardello vedendomi arrivare con i tedeschi pensò che
mi avessero catturata, e scappò via come una lepre: ed io rimasi con la
valigia che non sapevo a chi consegnare.
C?era un pizzico di incoscienza, ma c?era soprattutto la convinta fiducia
in quello che facevamo.
Eravamo tutti molto giovani. Quando la notte aspettavamo di far saltare
un ponte o un locomotore conoscevamo i rischi che correvamo, sapevamo di
agire in un territorio occupato dai fascisti e dai tedeschi, ma pensavamo
solo al nostro compito che era quello di impedire che fossero portati in
Germania uomini e cose.
C?erano i pericoli reali: ricordo che una volta i tedeschi mi hanno inseguita
e mi sono salvata, sono sfuggita alla cattura gettandomi dentro un fosso.
Passato il pericolo, uscii fuori dal mio nascondiglio, ma era necessario
cercarne subito un altro perché in quelle condizioni, tutta sporca di fango,
avrei subito dato nell?occhio; dovevo dunque aspettare l?imbrunire per
muovermi, ma anche questo era assai pericoloso perché c?era il coprifuoco:
circolare dopo una certa ora era proibito, e rischiavo dunque di farmi impallinare
dai tedeschi.
La scoperta più importante fatta in quei mesi di lotta durante la guerra
è stata l?importanza della partecipazione: per cambiare il mondo bisognava
esserci. Questo è stato il motivo che mi ha fatto abbracciare l?impegno
politico: la convinzione che esserci è una parte costitutiva della democrazia,
senza partecipazione non c?è democrazia e il paese potrebbe andare nuovamente
allo sbando. Ecco il motivo per cui non dobbiamo tradire la Resistenza,
dobbiamo conoscerla e non tradire i valori su cui si è fondata questa pagina
della nostra storia e dobbiamo essere presenti come lo eravamo ieri. È con
questo spirito che, una volta finita la lotta di Liberazione, molti di noi
hanno scelto di contribuire con un impegno civile alla rinascita del nostro
paese.
Quando è terminata la guerra, la prima domanda che ci siamo posti, noi combattenti
per la libertà, è stata: ? Ora che cosa possiamo fare per non essere privati
di una libertà che abbiamo appena conquistato??. La risposta è stata: partecipazione
alla ricostruzione del paese, perché avevamo la sensazione che tutti potessimo
giocare un ruolo importante.?