[Badgirlz-list] Quando andavamo in manicomio

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Autore: Errata
Data:  
Oggetto: [Badgirlz-list] Quando andavamo in manicomio

Massimo Consoli wrote
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Quello che segue e' un documento importante per
dimostrare come ancora
negli
anni Settanta, un gay correva dei rischi concreti nel
voler essere
apertamente se stesso. Quasi tutti i nominativi
indicati dal
personaggio
centrale della vicenda sono stati pubblicati, a suo
tempo, con i loro
indirizzi e numeri di telefono. Oggi ce ne asteniamo
per motivi di
privacy.
Tutta la documentazione che segue, piu' una relazione
sanitaria
eseguita in
data successiva agli avvenimenit qui narrati, e'
apparsa su "Ompo" n.
36,
del Marzo 1978. Ma la notizia, comunque, venne
ampiamente commentata da
vari
giornali.

Carlo Di Marino

USCENDO DAL MANICOMIOŠ

Manuale pratico per omosessuali che non vogliono
essere internati in
case di
cura, ne' subire elettroshock, ne' essere infilati in
una camicia di
forza


E' stato presentato come esposto, in data 8/2/78 al
Tribunale di Napoli
e
trasferito per competenza al Tribunale di Salerno


Meta di Sorrento, 6 Gennaio 1978


La seguente testimonianza e' rilasciata da Carlo Di
Marino, nato a
Salerno
il 13.5.1954 da Vincenzo Di Marino ed Olga Ricciardi,
residente in
Salerno
in Via X, attualmente domiciliato presso lo studio
dell'avvocato
Granata,
Napoli.
Durante il mese di novembre, in seguito allo studio
intenso per vari
esami,
ed a motivi di carattere personale, ho avuto un forte
esaurimento
nervoso
accompagnato da insonnia ed eccitamento. Sono stato
visitato dal
cardiologo
Valerio Santoro (Salerno) che mi diede una cura
farmacologica che non
mi
soddisfece. Di conseguenza, in data 11 novembre, mi
recai a Roma dal
Dott.
Guglielmo Militello, neurochirurgo presso l'Ospedale
S. Camillo di Roma
(residente in Roma) che dopo una approfondita visita
durata tre ore mi
diede
una cura tranquillante che miglioro' immediatamente la
mia condizione,
ma mi
consiglio' di trovare un lavoro e rendermi
indipendente in quanto il
problema principale era di non trovarmi a mio agio
presso la famiglia,
che
non accettava la mia omosessualita', anzi la
considerava una malattia
da
curare.
Poiche' la cura del Dott. Militello mi aveva guarito
dall'insonnia ma
permaneva un certo eccitamento, i miei genitori mi
condussero dal Dott.
Domenico Ventra, di Salerno, che mi consiglio' farmaci
diversi, cui mi
sottoposi con un certo sospetto, avendomi il dottore
dedicato un
colloquio
di pochi minuti. Ho in seguito saputo dai miei
genitori che il dottor
Ventra
dichiaro' loro che io ero curabile solo con
l'internamento forzato, e
progetto' con loro e con mio zio, Dott. Ciro Galdi,
ufficiale sanitario
al
Comune di Cava dei Tirreni, di condurmi con un
pretesto alla clinica
Villa
Chiarugi (di cui il dottor Ventra e' direttore e
comproprietario).
Infatti
il giorno lunedi' 28 novembre i miei genitori mi
condussero insieme al
Dott.
Ciro Galdi alla suddetta clinica (situata in Nocera
Inferiore)
facendomi
credere che si trattasse della casa privata del
dottore, che mi avrebbe
visitato con piu' attenzione della volta precedente.
Arrivammo alla
clinica
verso le ore 18.30. Il dottor Ventra non mi visito'
affatto, ne' mi
fece
domande, invece mi consiglio' un periodo di cura in
una clinica (io
ancora
non mi ero reso conto che ci trovavamo nella clinica e
non in una sua
villa). Risposi che non avevo nessuna intenzione di
essere internato,
non
ritenendolo necessario, e dissi: "Papa', paga il Dott.
Ventra e
andiamocene.
Non ho fiducia in lui, voglio tornare dal Dott.
Militello a Roma".
Il Dott. Ventra mi chiese di entrare nella stanza a
fianco, il suo
studio,
ed aspettare li' da solo, mentre lui discuteva coi
miei genitori.
Dopo che avevo aspettato un po' di tempo, entrarono
quattro infermieri
(del
Primo Reparto Uomini, diretto da Suor Domenica),
guidati dal dottore di
turno quella sera, il Dott. Capo. I cinque mi chiesero
di seguirli al
piano
di sopra dove, dicevano, mi aspettava mia madre.
Io risposi che mia madre era invece nella stanza a
fianco e che non
intendevo seguirli. A quel punto, tre infermieri mi
afferrarono
sollevandomi, mentre il quarto (che sono in grado di
riconoscere) mi
passava
il braccio attorno alla gola per non farmi gridare. Mi
misero
nell'ascensore. Il Dott. Capo intervenne facendo
togliere il braccio da
attorno alla mia gola, essendosi accorto che stavo
soffocando.
Arrivammo nel Primo Reparto Uomini. Feci subito notare
che si trattava
di
sequestro di persona e chiesi di parlare coi miei
genitori. Il dottore,
invece, ordino' agli infermieri di praticarmi
un'iniezione. Io mi
rifiutai.
Mi fu risposto: "Vuoi che te la facciamo con le buone
o con le
cattive?".
Allora lasciai che mi facessero l'iniezione. Io
continuavo a sostenere
che
si trattava di sequestro di persona e che ero stato
internato solo per
la
mia omosessualita'. Arrivo' Suor Domenica,
responsabile del reparto,
con
alcuni miei indumenti. Compresi subito che i miei
genitori erano quindi
complici con il Dott. Ventra (in seguito ho saputo da
mia madre che il
Dott.
Ventra firmo' davanti a lei, mio padre e mio zio, un
certificato di
internamento. Inoltre, il Dott. Capo mi confesso' in
seguito di aver
ricevuto l'ordine di "ricevermi" dal Dott. Ventra).
Fui portato in una stanza a tre letti, uno dei quali
era un letto di
contenzione a cui era completamente legato mani e
piedi un uomo anziano
sulla settantina, di cognome Paolillo, da Maiori (Sa),
che e'
probabilmente
ancora internato. Egli urlava disperato, implorando di
essere liberato,
e la
scena mi spavento'. Mi coricai subito seguendo gli
ordini brutali degli
infermieri, con la paura di essere legato anch'io. Il
Paolillo
continuo' a
gridare per tutta la notte senza che gli infermieri di
turno facessero
nulla, non facilitandolo neppure quando chiedeva di
poter espletare le
funzioni corporali.
Non riuscii a chiudere occhio.
Il mattino dopo continuai a protestare per
l'illegalita' della mia
detenzione, con Suor Domenica, e gli infermieri, i
quali rispondevano
di
dover obbedire a ordini superiori. Inoltre, fui
maltrattato e trattato
in
modo vigliacco e volgare da vari infermieri a causa
della mia
dichiarata
omosessualita'.
Piu' tardi arrivo' il dottor Pisapia, medico di turno,
da Cava dei
Tirreni,
che io gia' conoscevo di vista. Pur avendo avuto
ordini superiori, egli
acconsenti' a farmi telefonare a casa e a mio zio, il
Dott. Ciro Galdi.
Feci
presente a quest'ultimo e a mia sorella che volevo
uscire e che ero
stato
sottoposto a maltrattamenti. (In seguito ho saputo dal
dottor Pisapia
che
per avermi lasciato telefonare, egli fu minacciato dal
dottor Ventra di
licenziamento, avendo il Ventra ordinato che io non
avessi qualsivoglia
rapporto col mondo esterno).
La stessa mattina (martedi' 25 novembre), incontrai
l'Assistente
Sociale di
Villa Chiarugi, Anna Vitolo da Pagani, che ebbe pieta'
di me e
acconsenti' a
portare un mio messaggio segreto fuori della clinica,
che ella
consegno'
alla mia collega di studi, sig.na Adalgisa Giorgio
(Pagani), e alla
prof.ssa
Paola Splendore dell'Istituto Orientale di Napoli, le
quali sono pronte
a
testimoniarlo e le quali sono in possesso dei miei
messaggi originali,
di
cui si allega copia fotostatica.
Nel pomeriggio venni visitato dallo psicologo della
clinica, Dott.
Michelino
Romano, Cava dei Tirreni, al quale feci di nuovo
presente che era
illegale
trattenermi con la forza li' dentro solo in quanto
omosessuale, e al
quale
denunciai i maltrattamenti subiti. Egli mi rispose con
arroganza che io
non
ero normale, come poteva desumersi dai "manierismi nel
tuo modo di
muovere
le mani".
Per tutto mercoledi' continuai a protestare con gli
infermieri, con
Suor
Domenica, coi vari medici di guardia, tra cui il Dott.
Amitrano, e
continuai
a essere maltrattato dagli infermieri. Notai, inoltre,
che gli
infermieri
tutti commettevano quotidianamente reato di plagio nei
confronti di
alcuni
internati che, in cambio di sigarette, svolgevano al
posto degli
infermieri
le mansioni piu' umili. (Denunciai piu' in la' questo
fatto ai dottori
Amitrano e Romano, chiedendogli di intervenire, ma
essi risposero che
anche
Ventra ne era a conoscenza).
La mattina di giovedi' mi fu messa la camicia di forza
con la
motivazione
che "parlavo troppo", agitando gli altri internati.
Solo la sera, verso
le
ore 6, il Dott. Amitrano mi fece liberare e trasferire
al Secondo
Reparto
Uomini, diretto da Suor Ciprana. Nel frattempo ero
sottoposto a vari
trattamenti farmacologici contro la mia volonta', cui
mi sottoposi solo
in
seguito alla minaccia di essere riportato all'altro
reparto.
Venerdi', 2 dicembre, verso le ore 18.30, il Dott.
Ventra passo' per i
tavoli mentre mangiavamo (egli visitava la clinica
ogni lunedi' e
venerdi'
sera). Gli feci presente per iscritto (il foglio era
stato
precedentemente
letto dal Dott. Romano) che volevo uscire in quanto il
giorno seguente
dovevo sostenere un esame decisivo presso l'Overseas
School of Rome,
essendo
risultato primo nel concorso nazionale per borse di
studio per gli USA.
Alla
presenza di Suor Cipriana e del medico di guardia, il
Ventra rispose:
"Non
posso impietosirmi. I tuoi genitori mi hanno dato
carta bianca su di
te". A
quelle parole io scoppiai a piangere, disperato.
I seguenti pazienti dello stesso reparto possono
testimoniare della mia
detenzione forzata: Francesco Cappelmi, residente in
San Giuseppe
Vesuviano
(NA), e Gennaro Focaccio, residente in Roma. Entrambi
sono stati
dimessi
alla vigilia di Natale. Il Cappelmi e' stato anch'egli
internato col
dolo
contro la sua volonta'. Entrambi possono, inoltre,
insieme a me
testimoniare
del reato di plagio commesso quotidianamente dagli
infermieri contro il
paziente Zampardino, probabilmente ancora detenuto,
che veniva da essi
adibito a tutte le funzioni piu' umili, quali lavare
per terra, in
cambio di
qualche sigaretta. Io stesso ho denunciato il grave
reato alla presenza
simultanea dei dottori Amitrano e Romano, i quali ne
risero e non
presero
provvedimenti anzi, dissero che lo stesso Ventra ne
era a conoscenza.
Nel frattempo continuavo a mandare messaggi segreti ai
miei amici
attraverso
l'assistente sociale Anna Vitolo, la quale puo'
testimoniare che per
ordine
di Ventra mi era vietato spedire lettere, fare
telefonate, e ricevere
visite.
Il giorno 7 dicembre, tre miei amici, Paola Splendore,
docente presso
l'Orientale di Napoli, Gordon Paole, lettore in
inglese presso
l'Orientale,
Antonella Russo, vennero a Villa Chiarucci, chiedendo
di vedermi, ed
ebbero
un lungo colloquio col dottor Romano, il quale si
rifiuto' di farmeli
vedere
e di rivelare a quali terapie fossi sottoposto.
Nel frattempo, la mia forza di volonta' crollava, e
sotto la continua
intimidazione da parte degli infermieri, mi
sottoponevo a varie
terapie,
quali 11 iniezioni di insulina, fattemi praticare dal
Dott. Pasquale
Giordano di Pompei, il quale si disse disposto a
testimoniare che gli
avevo
denunciato il mio internamento forzato, e 2
elettoshock, fattimi
praticare
dal Dott. Mazzarella di Napoli e dal suo assistente,
terapie che mi
hanno
lasciato un trauma da cui ancora non mi sono ripreso.
Questo e' un elenco dei vari infermieri del Reparto di
Suor Cipriana:
Luigi
Rea, Luigi Della Porta, Orilia, Cotursi, Barone,
Siani, ed altri, che
sono
in grado di riconoscere. In particolare il Siani, un
giorno che
rifiutai una
pasticca, minaccio' di portarmi nel Reparto Agitati.
Il giorno 17 dicembre, la summenzionata testimone
Antonella Russo da
Meta di
Sorrento, invitata telefonicamente dal Dott. Romano,
veniva a Villa
Chiarucci per ritirare il mio piano di studi
universitario. Ella
arrivo'
verso le ore 11.30, orario delle visite, ma il Dott.
Romano si rifiuto'
di
farmela vedere e disse la seguente gravissima frase
alla suddetta
signorina:
"Ne faremo un bel maschione"!
In precedenza, sulla base delle indicazioni da me
fornite nei messaggi
segreti consegnati dall'assistente sociale, la sig.na
Russo avvertiva
il mio
medico curante di Roma, il Dott. Guglielmo Militello,
neurochirurgo al
San
Camillo di Roma del mio internamento forzato e delle
terapie in corso.
Si
disse stupito, in quanto io "non ero affatto da
internare". Egli
telefono' a
Villa Chiarucci parlando col Dott. Romano e
condannando il trattamento
da me
subito e in particolare gli elettroshock.
La sig.na Russo avvertiva anche mia madre degli
elettroshock. Mia madre
telefono' al dottor Ventra, il quale menti', negando
che io fossi
sottoposto
ad elettroshock.
Il giorno martedi' 20 dicembre, evidentemente
intimoriti dalla
telefonata
del giorno precedente, il Dott. Militello e il Dott.
Romano adottavano
verso
di me un atteggiamento improvvisamente piu' gentile,
ed ammettevano
alla
presenza del Dott. Pisapia da Cava dei Tirreni, che io
ero da
dimettere.
Probabilmente anch'egli intimorito, anche per le mie
continue minacce
di
sporgere denuncia non appena libero, il dott, D'Amato,
capo del Reparto
Maschile, acconsentiva finalmente a farmi telefonare a
casa dopo che mi
era
stato impedito per ordine del Ventra dal giorno 29
novembre. Il giorno
23
dicembre telefonavo a casa denunciando a mia madre i
maltrattamenti
subiti e
chiedendole di vernirmi a prendere la mattina
seguente.
La mattina del 24 dicembre vennero i miei genitori e
finalmente uscivo,
ritrovandomi estremamente indebolito nel fisico e
nella mente e
fortemente
depresso a causa delle terapie e della detenzione
forzata.

Il sottoscritto autorizza il direttore di "Ompo" a
pubblicare la
testimonianza qui acclusa.
Carlo di Marino
19/2/78


        
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