liberazione 10 aprile 2005
Uno spazio per mettere in rete i conflitti
Social Forum italiano, farlo o no?
Checchino Antonini
Firenze
Gira che ti rigira lo snodo è sempre lo stesso: il social forum italiano. Farlo o non farlo? La domanda è così difficile che, l'incontro nazionale di Firenze, convocato dagli italiani di Porto Alegre, è iniziato con un lungo minuto di silenzio in attesa che qualcuno si decidesse a rompere gli indugi e parlare per primo. Poi, però, la discussione è stata ricca e articolata. Vi diremo subito com'è andata a finire: «Le campagne e le vertenze in corso sono parecchie di più di quelle coinvolte all'inizio del cammino che ci portò a Genova - ha spiegato Raffaella Bolini dell'Arci - ma ora non c'è nulla che le racchiuda. Noi, con spirito di servizio, potremmo produrre il luogo da riempire con i contenuti dei tavoli e dei conflitti che già sono in corso». E' questo, in estrema sintesi, lo stimolo - che sarà oggetto di un monitoraggio - scaturito dall'incontro alla Fortezza da Basso. Più o meno cento i partecipanti, vistosa l'assenza di disobbedienti. Risultato interlocutorio, dunque, per un incontro nazionale convocato in una fase molto diversa da quelle che lo hanno preceduto. Che cosa è cambiato? Intanto ora c'è un social forum mondiale che ha deciso di darsi una struttura policentrica e di convocarsi ogni due anni (nel 2007 sarà in Africa), come ha spiegato Marco Berlinguer di Transform, tra l'una e l'altra edizione si terranno fori regionali. Per i Cobas, lo ha detto Piero Bernocchi, esiste un problema di relazione tra Fse, più legato ai movimenti sociali e Fsm, egemonizzato da settori moderati. La percezione dei processi - italiani e internazionali - non è la stessa per tutti. Ad esempio Bernocchi, all'indomani della clamorosa intervista di Fassino, è scettico sulla possibilità che le anime del movimento italiano possano tornare a muoversi unite visto che una buona parte sarebbe lanciata verso un futuro di governo. Al contrario, Gigi Sullo di "Carta" s'è detto convinto che «culturalmente i movimenti stiano vincendo», sulla guerra, ad esempio, o sulle tematiche della democrazia partecipata. Se è grande il disordine sotto il cielo, a Sullo e ad altri, non pare un problema anzi, c'è molto di stimolante quando si incontrano, come avviene a Porto Alegre, 120 lingue, 4 generazioni, 13 religioni e un'infinità di modelli differenti. Su alcune questioni, tuttavia, erano tutti d'accordo: «Che sia chiusa la fase di costruzione per eventi, che ci siano esperienze sedimentate nei territori e un generale problema di efficacia», come ha detto Luciano Muhlbauer del SinCobas.
Così è tornata alla ribalta l'idea di «uno spazio pubblico a disposizione dei conflitti», «cominciando, ad esempio, col mettere insieme tutte le campagne che implicano una dimensione europea», suggerisce Marco Bersani di Attac Italia. «Se parliamo di guerra militare ed economica serve un luogo per tenere insieme le lotte - chiede Patrizia Sentinelli della segreteria di Rifondazione - Le reti si sono costruite, ora sono maturi i tempi per riconnetterle». «A noi interessa - ha detto Gianfranco Benzi della Cgil - ma deve essere un punto di incontro di esperienze reali».
Intanto, le reti di movimento sono già al lavoro per il forum sociale mediterraneo (Barcellona dal 16 al 19 giugno), il controvertice scozzese in concomitanza col G8 di Glasgow (luglio) e il social forum europeo di Atene. E gli occhi sono puntati su Francia e Danimarca che potrebbero bocciare, nei referendum, la Carta della Ue. «In quel caso - spiega Franco Russo della Rete per la democrazia costituzionale - i movimenti potrebbero riaprire una fase costituente rimettendo al centro i diritti di cittadinanza, il ripudio della guerra, i beni comuni».
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