[Lecce-sf] Fw: [antiamericanisti] Geopolitica del Conclave

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著者: Rosario Gallipoli
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題目: [Lecce-sf] Fw: [antiamericanisti] Geopolitica del Conclave

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Sent: Saturday, April 09, 2005 11:04 PM
Subject: [antiamericanisti] Geopolitica del Conclave




Geopolitica del Conclave
di Giancarlo Zizola
[Giornalista vaticanista, autore di importanti saggi quali Il
Successore e L'altro Wojtyla, Zizola è uno degli analisti più acuti
e informati in fatti di Chiesa. Questo articolo sull'imminente
Conclave è a nostro parere, tra i molti pubblicati in questi giorni
da tutte le testate italiane, il più completo e pedagogico circa gli
schieramenti interni che vanno ad affrontarsi nel segreto della
Sistina, ed è apparso sul Sole 24ore]

Due linee fondamentali si confrontano nel collegio degli elettori
del successore di Giovanni Paolo II. I "riformisti" appoggiano un
papa abbastanza giovane per affrontare un regno di almeno dieci
anni. Un papa disposto ad impegnarsi sui nodi della crisi della
Chiesa attraverso una politica di riforme e capace di riparare le
fratture interne ereditate dal wojtylismo. Nell'altro campo,
i "conservatori", partigiani di un "wojtylismo senza Wojtyla", sono
invece decisi a sfruttare a fondo l'impulso dato dal papa polacco
per ricollocare la Chiesa in un ruolo pubblico influente di fronte
alla crisi della società moderna sui terreni etico e politico.
Gli uni e gli altri sanno che le questioni che aggravano le scelte
del futuro papa sono strategiche. Colui che, fra i 120 cardinali
elettori, sarà chiamato a rivestire l'abito bianco, diventerà il
pastore supremo di circa 1 miliardo e 50 milioni di fedeli,di cui
l'87% abitano ormai il Sud del pianeta. È anzi in Africa,in Asia e
in America Latina che abitano i cattolicesimi più vitali per
espansione apostolica.
Perché non è più attuale la domanda: Papa italiano o straniero?
Le opposizioni convenzionali del dibattito elettorale precedente nei
due conclavi dell'estate 1978 - papa religioso o papa politico, papa
italiano o papa straniero - questa volta sono considerate a Roma
come obsolete, dal momento che la ricerca del successore del papa
slavo si situa oggi a un altro livello, senza paragoni più ricco di
universalismo e più esigente. Questa dimensione si è incarnata nella
tendenza internazionalista sviluppatasi con le creazioni di
cardinali nel 2001 e nel 2003. Grazie alle scelte di Wojtyla è
aumentato nel Sacro Collegio, sia pure di pochissimo, lo spazio
della "Terza Chiesa", con una sostanziale equiparazione della
rappresentanza fra i cardinali dell'America Latina,dell'Africa e
dell'Asia, da un lato, e quelli europei e specialmente italiani
dall'altro. Ancora negli anni 60 questi ultimi erano la schiacciante
maggioranza.
Nel programma dell'ala riformista figurano così due degli apporti
più importanti del pontificato di Wojtyla: il dialogo della Chiesa
con l'ebraismo, con l'islam e con le altre religioni del mondo, e il
cambiamento di certe modalità nell'esercizio del potere papale, una
riforma da lui stesso preconizzata nell'enciclica "Ut unum sint".
Per realizzare questa riforma, il prossimo papa dovrà dedicarsi a
ridurre il peso della Curia romana e fare evolvere il governo della
Chiesa verso un sistema collegiale, come lo aveva stabilito il
Concilio Vaticano II a metà degli anni 60.
Gli altri punti del programma riformista riguardano cambiamenti sul
ministero sacerdotale l'ordinazione della donna, l'assoluzione
generale, il celibato del clero, l'accesso ai sacramenti per i
divorziati e sul decentramento alle Chiese locali specialmente
africane e asiatiche, mortificate dal tallone vaticano. Una modifica
profonda è prevista per il sistema di selezione e di nomina dei
candidati all'episcopato, dopo le crisi scatenate in varie Chiese
dal sistema centralizzato vigente. Paradossalmente si trovano anche
nella Curia romana dei cardinali disposti a condividere, almeno in
parte, un programma di riforme. Nei settori cardinalizi riformisti
si vorrebbe associare questo piano al fascino simbolico di un papa
latinoamericano per spingere sul trono di Pietro un uomo capace di
rappresentare l'alternativa spirituale della Chiesa dei poveri al
dominio globale del denaro.
L'opzione latino-americana: Maradiaga e Bergoglio
La figura emergente in questo scenario è l'arcivescovo di
Tegucigalpa (la capitale dell'Honduras) Oscar Andrés Rodrìguez
Maradiaga (1942), un religioso della Congregazione salesiana che
riunisce un ventaglio di interessi nei più svariati campi e parla
cinque lingue. A Roma egli si è fatto conoscere come membro del
Consiglio "Cor Unum" e del Consiglio Giustizia e Pace. Eletto dal
Sinodo dei vescovi alla segreteria generale (1994-2001), è stato
segretario del Sinodo per l'America curando il documento
postsinodale "Ecclesia in America", diagnosi inflessibile della
dottrina neoliberista.
L'argomento principale a favore di un candidato latinoamericano è il
valore simbolico del primo salto transoceanico del papato, oltre che
il riconoscimento dovuto a una cristianità che raccoglie più della
metà dell'insieme della Chiesa romana. In quest'area è trattata
anche la candidatura dell'arcivescovo di Buenos Aires, cardinale
Jorge Mario Bergoglio (1936), gesuita emerso alla ribalta per il suo
attaccamento personale alla Chiesa dei poveri, il ruolo positivo
svolto per favorire la soluzione della crisi economica argentina, la
delicatezza con cui ha mediato con i teologi della liberazione al
tempo della loro condanna romana.
Nella prospettiva di un'opzione simbolica dei nuovi mondi, anche
l'Asia è pronta a presentare una candidatura: il nome
dell'arcivescovo di Bombay (oggi Mumbai) cardinale Ivan Dias
corrisponde alle aspettative di una nuova apertura della Chiesa
cattolica alle relazioni con l'universo delle grandi tradizioni
spirituali e culturali della Cina, dell'India, del Giappone, delle
Filippine, un orizzonte cruciale per il futuro dell'umanità.
Baricentro demografico del pianeta, lo scenario asiatico dominato
dai nuovi protagonisti della globalizzazione economica coincide
anche con una presenza assolutamente microscopica del cattolicesimo,
che tuttavia registra proprio in Asia il più alto tasso di aumento,
vicino al 180% in più di proseliti. Implicita nell'opzione di un
papato asiatico sarebbe l'adozione di un programma che rilanci la
teologia del dialogo fra le grandi religioni mondiali, avviando a
soluzione quei nodi che avevano rallentato l'espansione dell'impegno
interreligioso di Giovanni Paolo II.
Ivan Dias, un cardinale dalla lontana India
Il tentativo dei vescovi indiani di risagomare le verità
cristologiche nel linguaggio spirituale indiano è stato stroncato
dalla Congregazione per la Dottrina e fu proprio il cardinale Dias a
dare una mano a Ratzinger per domare le più spericolate impazienze
dei teologi indiani dell'inculturazione. Diplomatico di carriera,
discepolo spirituale di Madre Teresa di Calcutta, Dias ha posto la
premura per i poveri e la carità in cima alla sua missione di
rappresentante pontificio in Costa d'Avorio prima e poi di primo
nunzio apostolico nell'Albania del dopo Muro. Consacrato arcivescovo
nel 1982, egli ha ricostruito la Chiesa cattolica in Albania,
intervenendo con spirito ecumenico a sedare i conflitti etnici.
Nella sua figura quindi si potrebbero riconoscere tanto le esigenze
che accentuano il polo dell'unità gerarchica della Chiesa sotto
l'autorità del papa, quanto le spinte universalistiche e missionarie
ai nuovi mondi, mediante l'accettazione di una opzione non
eurocentrica della missione della Chiesa e lo sviluppo del dialogo
fra le religioni su basi di chiarezza dogmatica. Per la prima volta
il papato andrebbe fuori dell'Occidente, e non solo per uno
spiazzamento geopolitico o solo simbolico: seguirebbe a distanza di
millenni le orme di una evangelizzazione di origine apostolica.
È innegabile tuttavia che la soluzione latinoamericana e quella
asiatica sono considerate ancora premature da coloro per i quali la
cosa più necessaria è un papa che sappia far atterrare la Chiesa,
dopo il lungo "stato di eccezione" carismatico e volante di "Karol
il Grande", sulla pista dei problemi istituzionali critici, lasciati
da parte da troppo tempo, e porti l'aereo nell'hangar per una
attenta verifica delle ali e dei motori. Se questa visione dovesse
prevalere, il Conclave potrebbe orientarsi, come soluzione di
compromesso, verso un esperto capo-officina, più che su un altro
gigante carismatico. L'identikit di questa candidatura includerebbe
esperienza pastorale, capacità di governo, conoscenza delle pratiche
scottanti, temperamento di mediazione per recuperare sulle questioni
critiche il metodo del dialogo tra principi immutabili e concreta
realtà storica e ripristinare la comunicazione bilaterale tra la
curia romana e le Chiese locali. Questo identikit sembra adattarsi a
personaggi del sistema, disposti a prudenti aperture.
Gli italiani «prudenti»: Re e Tettamanzi
Uno dei candidati in questa linea è Giovanni Battista Re, prefetto
della Congregazione dei Vescovi, noto per essere stato fra gli
uomini di fiducia del papa slavo. Originario di Brescia, la diocesi
di Paolo VI - del quale ha esaltato la dottrina del dialogo - un'età
relativamente giovane (1934) e una carriera in Segreteria di Stato,
Re potrebbe catalizzare i consensi degli elettori interessati più a
un papa di soglio che a un papa carismatico, a un uomo capace di
riparare le fratture interne ereditate dal wojtylismo, di mettere le
mani sulla riforma della Curia e sulla rianimazione della
collegialità nel governo centrale e di restituire alle Chiese locali
quello che la politica centralista ha loro tolto negli anni 90.
Quanto all'età, l'alternanza tra un papato lungo e uno corto, senza
essere assoluta, continua a godere di una certa razionalità
statistica: i cardinali infatti, dopo il lungo regno di Wojtyla,
sarebbero meglio disposti a valutare i vantaggi di un pontificato
breve, di riassestamento e di riequilibrio, orientandosi dunque per
un cardinale anziano, purché valido. Era accaduto nel 1958 con la
scelta del "vecchio" cardinale Angelo Roncalli, per un "papato di
transizione", dopo i 19 anni di Pacelli.
Il nome che ricorre più frequentemente nelle liste dei papabili è
quello del cardinale Dionigi Tettamanzi, successore di Carlo Maria
Martini a Milano. Ritenuto adatto a una soluzione mediana, capace di
realizzare una convergenza sia dal campo riformista che da quello
moderato, questo prelato milanese del 1934 non gode del fascino
cosmopolita di un Wojtyla e non ha la sua sterminata conoscenza
delle lingue. Tuttavia la sua finezza intellettuale si è applicata a
far evolvere la teologia morale, il suo campo di specializzazione,
nel quale ha messo in evidenza le sue capacità di prudente apertura
in tempi di massimalismo.
Egli non ha mancato di dimostrare la considerazione in cui tiene il
ruolo dell'Opus Dei e ha messo nel suo programma l'operazione di un
recupero del controllo di Cl, nel quadro di un riequilibrio generale
della situazione interna della Chiesa, sbilanciata dall'eccesso di
spazi attribuiti ai movimenti negli ultimi decenni. Ha esperienza
pastorale, come arcivescovo di Ancona, prima, di Genova poi. Ha
fatto pratica di governo centrale, come segretario della Conferenza
episcopale italiana e collaboratore (e moderatore) delle encicliche
morali del papa,fino al suo trasferimento a Genova nel 95 . Si è
lanciato sul piano internazionale con un intervento riformista nel
Sinodo europeo del 99 quando ottenne, nelle votazioni per la
segreteria generale, il primo posto fra gli italiani eletti. La sua
lettura positiva della crisi della cristianità e la convinzione che
il primato dello spirituale esige un nuovo ciclo riformista nella
Chiesa lo hanno avvicinato alle posizioni di Martini.
Emerge anche uno schieramento sull'obiettivo di prolungare la
politica di Wojtyla in un rafforzamento di stile gregoriano della
potenza etico-politica della Chiesa romana, come era accaduto
nell'anno Mille dopo il pontificato di Silvestro II, il papa
francese che aveva aperto la via a Gregorio VII. Questa alleanza
potrebbe contare sulla convergenza delle lobbies dei Movimenti, in
particolare dell'Opus Dei, dei Focolari e di Cl, da un lato, e
dell'ala tradizionalista sia lefebvriana che legalitaria dall'altro.
La loro consistenza sarebbe sufficiente a bloccare il terzo dei voti
all'inizio per poter impedire l'elezione di un candidato non
omogeneo nei primi tre giorni di scrutini, per i quali vige la
maggioranza qualificata dei due terzi, in modo da ottenere il voto
sull'abbassamento del quorum alla metà più uno dei voti e portare il
loro uomo sul trono, sia pure dopo almeno tredici giorni di Conclave
e a prezzo di lacerazioni.
I «grandi elettori» di Curia: Ratzinger e Sodano
Uno schieramento del genere si dirige verso una personalità
pragmatica, di tendenza conservatrice, opportuna nelle situazioni di
estrema urgenza. In questo scenario non è consigliabile trascurare
il peso elettorale di una possibile coalizione tra grandi elettori
di curia, come Josef Ratzinger e Angelo Sodano, e l'ala integralista
rappresentata dai cardinali latino-americani con incarichi in curia.
La prospettiva latino-americana sarebbe allora recuperata in
funzione del programma conservatore. E nella stessa direzione
sarebbe disponibile, alla confluenza fra i settori più tradizionali
della curia e i ceti di cardinali africani e asiatici più sensibili
al vento romano, il prefetto della "Congregazione per
l'evangelizzazione dei popoli" cardinale Crescenzio Sepe,
proveniente dai ranghi della Segreteria di Stato ai tempi in cui era
costretto a mordere il freno sotto il sostituto Giovanni Benelli.
Il Patriarca di Venezia Angelo Scola, che proviene dal movimento di
Comunione e Liberazione, potrebbe costituire fra gli italiani una
possibile alternativa a Tettamanzi, se il Conclave si orientasse per
la continuità sostanziale degli stili di Wojtyla, con in più il
minimo di aggiustamenti strutturali indispensabili a rafforzare il
ruolo politico della Chiesa. L'aggregazione di lobbies varata
dall'Opus Dei potrebbe avere allora un peso ingente nel portare al
successo la candidatura di questo fine teologo, cresciuto fra le
braccia di Urs von Balthasar e arricchito dall'esperienza pastorale
in diocesi, dalla pratica del governo centrale da un posto
privilegiato come l'ufficio di rettore dell'Università del Laterano
e dalla collaborazione alla redazione di importanti documenti
pontifici.
Due outsider: Schonborn e Antonelli
Meno lacerante sarebbe la candidatura del cardinale Christoph
Schonborn, il brillante domenicano arcivescovo di Vienna, redattore
del Nuovo Catechismo della Chiesa cattolica, il quale, senza le
asprezze identitarie di Biffi, e il rigore metallico del suo sponsor
Ratzinger, anzi aperto al dialogo, assicurerebbe un'interpretazione
suggestiva alle aspettative dell'ala intransigente e della più ampia
cerchia del conservatorismo cattolico.
Una soluzione mediana potrebbe invece apprezzare anche candidature
di profilo più spirituale e pastorale, sia pure organiche ad alcuni
movimenti, però da posizioni distinte. Questo orientamento
troverebbe la sua espressione portando al papato l'arcivescovo di
Firenze, il cardinale Ennio Antonelli (1936), vicino al Movimento
dei Focolari di Chiara Lubich.
Attraverso questa mappa di tendenze che si affrontano per il dopo-
Wojtyla si profila all'orizzonte un Conclave di capitale importanza
per gli equilibri futuri della Chiesa e per la sua presenza nella
società intera. Il criterio fondamentale nella scelta degli elettori
sarà il modello di Chiesa da proporre per risolvere la crisi che la
erode dall'interno e per rispondere ai bisogni spirituali
dell'umanità.
Gli elettori sceglieranno il modello spirituale o l'opzione
politica? Si può prevedere che i conservatori perderanno ancora
terreno. Il successore di Giovanni Paolo II verrà probabilmente
dalla corrente dei cardinali moderati. Tuttavia, considerando le
resistenze e le alleanze che si muovono nell'apparato ecclesiastico -
oltre all'abile attivismo e all'influenza di alcuni esponenti
dell'establishment vaticano, come il cardinale Ratzinger - è
difficile immaginare che possa accedere al magistero supremo un vero
continuatore di Giovanni XXIII,deciso ad aprire alla Chiesa le porte
dell'avvenire.

Pubblicato Aprile 9, 2005 12:06 AM


http://www.carmillaonline.com/archives/2005/04/001317.html





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