Carta - l'editoriale
29 marzo 2005
Basta
Pierluigi Sullo
Non si fa che incontrare gente che ti [e si] chiede: "Beh, cosa
pensi? Come andrà?". Ci sono momenti in cui la qualità dei candidati
del centrosinistra, e la più o meno forte capacità - da parte della
società civile - di proporre temi e programmi, passano in secondo
piano. E, mentre in moltissimi vorremmo essere cittadini pugliesi,
per poter partecipare del clima che si è creato nella regione di
Nichi Vendola, è anche vero che molte persone più scettiche,
disincantate o astensioniste incallite ti dicono serenamente: questa
volta ci vado proprio, a votare.
Magari si sono decise perché c'è un candidato "sostenibile", a fare
un po' da alibi. Magari, invece, perché s'è diffusa a macchia
d'olio, come capita in certi momenti, la sensazione che,
centrosinistra o meno, questa volta qualcosa accadrà. Qualcosa,
voglio dire, diverso dal semplice "alternarsi" di centrodestra e
centrosinistra, per ottenere poi politiche simili: privatizzazioni
di destra e di sinistra, ponti sullo stretto di destra e di
sinistra, centri di detenzione per migranti di destra e di sinistra,
scuole-supermercato di destra e di sinistra, ecc.
Sbaglierò, ma la differenza che passa tra l'essere i difensori di un
bunker o persone che scommettono sul cambiamento sta proprio qui:
nel sentire il vento che cambia. E' un po' quel che dice Nicola
Fratojanni, segretario di Rifondazione della Puglia, che racconta
quanto sia difficile avere l'opportunità di parlare ai cittadini
invece che ai militanti. Non che sia un bene, mettere in secondo
piano qualità dei candidati e programmi: espone a delusioni come
quelle che abbiamo avuto in passato. Anzi peggio: perché il secondo,
eventuale Prodi, la cui vittoria l'anno prossimo sarebbe resa assai
più probabile da uno sfondamento del centrosinistra nelle regionali,
verrebbe qualche anno dopo l'irruzione sulla scena di uno strano,
tutto nuovo movimento globale, coi suoi linguaggi e la sua
narrazione del mondo. La cui smisurata ambizione non può certo
consentirgli di essere soddisfatto di qualche seggiola, nei consigli
elettivi, occupata da persone che da lì provengono.
Ma il primo passo, tutti lo annusano, è dare una lezione alla non
più tollerabile armata berlusconiana. Contando - dove più e dove
meno - sulla possibilità di far contare esperienze, conflitti e
proposte nuove anche dopo le elezioni, su futuri presidenti
regionali dell'Unione, spesso ignari, spesso mediocri e talvolta
liberisti, vetero-democristiani e così via.
E il vento che si sente è che potrebbe accadere, nel voto, qualcosa
di simile a quel che accadde in Spagna, quando Zapatero vinse su
Aznar, e in Francia, quando le sinistre fecero tombola nelle
elezioni regionali. Una di quelle ondate che ogni tanto avvengono,
quando ciascuno ha i suoi conti da presentare al potere in carica:
la verità su Genova e la svendita dell'acquedotto, l'aggressione
alla Costituzione e l'impoverimento generale, gli affari privati
divenuti legge e l'avventura militare in Iraq.
D'altra parte, chi ti incontra e ti chiede "cosa pensi?", subito ti
racconta di voci di voci su condaggi segreti che dicono. E
Berlusconi che non doveva fare campagna elettorale e invece la fa,
Berlusconi che dice "contano i voti non le regioni", il Watergate
targato Storace nel Lazio e il Watergate targato Formigoni in
Lombardia [ossia i complotti sulle firme e gli affari di "oil for
food"]. Ma, più seriamente, la fine dell'incantamento,
dell'"arricchitevi!" con cui Berlusconi aveva ipnotizzato anche i
poveracci, quattro anni fa: imbrogli, pasticci, corruzioni,
volgarità tali da aver raggiunto il colmo. E anche gli scettici, gli
incalliti dell'astensione, si dicono "va bene, ora basta".
Carta sta cercando di mettere in fila, insieme a molti altri, quel
che si potrebbe fare di buono, e che il movimento ha suggerito in
questi anni. Nell'Almanacco di Carta che resterà in edicola fino
alla prossima settimana pubblichiamo le "schede programamtiche" sui
temi che abbiamo discusso al primo "Cantiere sul che fare", che si
tenne in gennaio [mentre il prossimo è in preparazione per il 6 e 7
maggio, su welfare e comunicazione, presente anche Romano Prodi, e
sarà la prima volta che il candidato del centrosinistra si troverà
faccia a faccia con un programma "dal basso"]. E' quel che bisogna
fare, e lo stiamo facendo.
Ma la premessa necessaria è che si crei il clima che si è creato in
Puglia. Certo, Nichi è ben più entusiasmante di altri candidati
dell'Unione. Ma lo è perché da anni fermenta un rinascimento -
culturale e sociale - meridionale che ha archiviato le menzogne
sullo "sviluppo", per chiedersi sriamente, e coralmente, quale altre
strada, data la sua storia, la sua geografia e la sua umanità, la
parte più mediterranea del nostro paese può intraprendere. E il nord
in crisi, in cui il mito della competitività si è rovesciato in
richieste di "dazi", ha - forse per la prima volta nella storia
dell'Italia unita - molto da imparare dal suo sud "sottosviluppato".
E' una miscela di orgoglio locale, di liberazione dai complessi di
inferiorità e di eruzione di nuove idee nate in quella rete delle
reti che è il movimento altermondialista: qui ha fermentato il
successo di Nichi Vendola.
Così, la vittoria elettorale del centrosinistra può qualcosa di
diverso dall'affermazione di un liberismo più gentile, obbediente ai
poteri transnazionali ma con garbo. E' già accaduto in molte città e
province, l'anno scorso. Anche se non tutto accade dappertutto nello
stesso momento. Ma le premesse esistono.
Saremo come al solito troppo ottimisti. Andremo a votare per
chiunque assomigli a quella nuova narrazione, e lunedì pomeriggio,
quando si apriranno le urne, potrebbe essere un buon momento.
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