[NuovoLaboratorio] da il secolo xix del 21.03.05

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Bombe e computer
Inchiesta sugli insurrezionalisti che hanno colpito a Genova, Milano, Roma,
Bologna.
Gli anarchici radicali giocano con l'informatica in contatto con gli hacker
È loro il falso volantino in lingua araba sull'uccisione delle due Simona

Milano. Una sola scorribanda esplosiva. O, come unica ipotesi alternativa,
due piccoli gruppi (due, tre persone al massimo) che agiscono
contemporaneamente, dopo un rapido, fugace incontro organizzativo. Questo è
il quadro d'indagine sul doppio attentato ai carabinieri dello scorso primo
marzo. Un progetto che corre sull'asse Genova-Milano e che sfiora, ma solo
come intento mediatico, Sanremo. Ancora in azione lo snello, sparuto
gruppetto che, secondo gli inquirenti, rappresenta la quasi totalità del
fenomeno insurrezionalista in Italia. Almeno, la sua ala più dura, quella
degli ordigni esplosivi e dei pacchi bomba. Rapidissimo negli spostamenti,
nel nord e nel centro Italia.
Non è un caso se dal Ros di Milano, dove da qualche mese è giunto al comando
il maggiore Mario Mettifogo (una lunga esperienza, nello stesso ruolo, a
Genova), il cinque marzo è partita una segnalazione alla procura della
Repubblica. Sottolinea l'esigenza di «approfondire il controllo sugli
spostamenti di alcuni individui particolarmente sospetti». E, anche
stavolta, la lista è estremamente breve. Non più i 250 nomi censiti nel 2003
e fatti circolare, dall'Ucigos, negli uffici delle Digos italiane. Non più
il centinaio scandagliato nella prima metà del 2004.
«In realtà - è l'ammissione che giunge anche dalla Digos di Genova - si sta
ormai lavorando su una platea di trenta, quaranta persone al massimo. Tra di
loro ci sono, con assoluta certezza, quelli che mettono le bombe. Non più di
sei, sette persone». Difficile però, tenerli costantemente sotto controllo.
Un aspetto, la prevenzione, sul quale fino a oggi si è riusciti a lavorare
poco: è la sincera ammissione degli inquirenti.
Nel mirino delle Digos delle due città c'è un esponente dell'estremismo
anarchico meneghino, vicino al centro sociale Villa Litta, che da qualche
tempo si è trasferito a Genova in un casolare nell'immediato entroterra del
capoluogo. Non risulta indagato, ma gli inquirenti lo sospettano, possibile
contatto tra la realtà ligure e quella lombarda. La vicenda ha persino
qualche tratto da gossip. Una genovese, che abitava nell'alta Valpolcevera,
decide di andare a vivere con un giovane di Rovereto. fa armi e bagagli e lo
raggiunge in Trentino; cede, però, l'uso della sua abitazione al fratello
anarchico milanese, che lì si installa. Nei giorni successivi all'attentato
i carabinieri del Ros tengono la zona sotto controllo, controllano le
frequentazioni, fermano e perquisiscono due persone (un uomo e una donna)
definiti «molto interessanti».
Però, ancora una volta, la mancanza di immediati riscontri investigativi
rappresenta il principale ostacolo. «Il problema - spiega il pm bolognese
Paolo Giovagnoli, che da anni si occupa degli attentati insurrezionalisti
come coordinatore del pool antiterrorismo della procura - è molto diverso da
quello affrontato con le nuove Br. In quel caso, una volta individuate le
persone, le perquisizioni hanno portato a colpo sicuro a risultati
consistenti. Nel caso degli insurrezionalisti, non si trova mai nulla. Anche
i materiali utilizzati per confezionare gli ordigni sono oggetti comuni,
casalinghi, senza alcuna connotazione, caratterizzazione».
Gli attentati del primo marzo hanno segnato una svolta. I bombaroli miravano
stavolta a interrompere il festival di Sanremo. Dopo quattro esplosioni
vere, l'effetto-annuncio di una quinta non poteva essere ignorato. Ora si sa
perché il progetto è saltato: il carabiniere del nucleo radiomobile che, a
Milano dopo il primo botto, ha raccolto in un cassonetto il volantino che
annunciava il falso attentato nella città dei fiori ne ha letto solo le
prime righe. Immediatamente ha intuito il rischio e si è allontanato,
abbandonando quel foglio.
La cautela gli ha evitato danni peggiori, perché dopo poche decine di
secondi anche il secondo contenitore è esploso, ribadendo ancora una volta
la ritualità di questo genere di attacchi, sempre contrassegnati da due
deflagrazioni in rapida successione. Il volantino, che annunciava
l'attentato-fantasma all'Ariston di Sanremo è andato distrutto. «Ma il
tentativo di trovare una nuova, grande ribalta mediatica potrebbe essere
ripetuto», è l'allarme dell'antiterrorismo del Viminale. Risultato:
un'informativa invita le forze dell'ordine ad aumentare la vigilanza intorno
alle sedi istituzionali in occasione di grandi avvenimenti ripresi dalla
televisione.
Un concetto espresso anche da Cesare Martellino. Magistrato, Martellino è il
membro italiano di Eurojust, la super procura europea con sede all'Aja.
Anche Eurojust, nel dicembre 2003, finisce nel mirino degli
insurrezionalisti. Una serie di pacchi esplosivi arriva al presidente della
banca centrale Jean-Claude Trichet a Francoforte, al direttore di Europol
Juergen Storbek e, per l'appunto, nella sede della procura europea. «Tutti
quei pacchi - spiega oggi Martellino - partivano da Bologna. Gli
insurrezionalisti hanno diffuso un senso generalizzato d'inquietudine in
tutta l'Unione semplicemente imbucando, senza rischi, delle buste in
Italia».
Il massimo risultato con il minimo sforzo. Però c'è un dettaglio più
inquietante. «Deve comunque trattarsi di persone informate, molto informate
sulla nostra attività. In pochi, credo, se non tra gli addetti ai lavori,
conoscono Eurojust e sanno dove si trova. Altro dettaglio allarmante: il
plico esplosivo è giunto pochi giorni dopo la conclusione di una sessione di
lavoro dei magistrati europei. Il tema? L'anarco insurrezionalismo».
Pochi ma determinati. Sicuramente attenti alle dinamiche di quella che
definiscono repressione, nelle sue più varie articolazioni. Sicuramente
esperti di tecnologie. Sicuramente a contatto, spiegano oggi gli esperti
dell'antiterrorismo, con hacker in grado di violare sofisticati sistemi
informatici. Ma anche molto, molto informati («in maniera inquietante»,
commentò Martellino all'epoca dei plichi esplosivi) sulle attività delle
istituzioni. Non solo quelle italiane, ma soprattutto quelle dell'Unione.
Competenza che si mescola al gusto per la beffa: anche quando, come nel caso
scoperto dal Sismi nel settembre dell'anno passato, è una beffa atroce.
L'attacco al sistema mediatico, con una serie di falsi messaggi in arabo su
internet («maturati in ambienti del radicalismo anarchico ligure e volti a
screditare il Governo», scrive l'intelligence militare nella relazione
inviata dal Cesis alla presidenza del Consiglio), è passato anche per il
falso annuncio dell'uccisione di Simona Pari e Simona Torretta, le
volontarie italiane rapite in Iraq. Quel messaggio mandò in tilt il sistema
dell'informazione e si guadagnò grandissimo spazio su tutti i media.
Ma quali sono i sistemi di finanziamento del piccolo universo
insurrezionalista? A Bologna i pm ammettono di indagare «su una serie di
furti e rapine che sembrano ricondursi alla necessità del gruppo di trovare
fondi per gli spostamenti e le azioni dinamitarde». A Milano invece si sta
invece scrutando con interesse è nel mondo delle agenzie interinali. Perché
c'è il sospetto (avvalorato da qualche specifica segnalazione
d'intelligence) che, per garantirsi una discreta disponibilità economica,
gli insurrezionalisti le utilizzino per trovare lavori a termine. Nel solco
di un progetto (utilizzare il nemico per poi colpirlo) che mira, dopo aver
usufruito dell'intermediazione utile a trovare un'occupazione temporanea, ad
attaccare poi l'agenzia con un attentato dimostrativo. L'8 ottobre 2004,
all'Adecco; il 30 ottobre a Manpower, in due azioni rivendicate dalla
Fai/Cellule Insorgenti Metropolitane.

Marco Menduni